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Bla, bla, bla … Tra menzogna e irrealtà.

Argomento: Società

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 28/03/2019 10:06:22

Bla, bla, bla … Tra menzogna e irrealtà.
Diretta dagli scranni del Parlamento.

Il mondo reale esiste e anche quello irreale. Così come esiste un mondo presente fermo sulla realtà e uno parallelo che guarda in avanti alla irrealtà che i signori (ovvio eufemismo) della politica vogliono farci credere. Il gioco di parole proviene da un libercolo che ho recuperato in questi giorni, dal titolo “Tra menzogna e ironia” di Umberto Eco (Bompiani 1998).
La sottigliezza del filologo passa in rassegna quattro ‘scritti’ decisamente letterari, riuniti – egli scrive – presumendo che avessero qualcosa in comune. E di fatto ce l’hanno, come del resto sempre accade leggendo Eco, vanno oltre la data di pubblicazione, per entrare, dopo poco più di venti anni, nel nostro quotidiano (fallimentare): Cagliostro, Manzoni, Campanile, Pratt.

«In un certo senso essi hanno tutti a che fare con strategie di menzogna, travestimento, abusi del linguaggio, capovolgimento ironico di questi abusi.»

L’ironia (della sorte) è d’obbligo se inoltre ad ‘abusi del linguaggio’, si legga ‘abusi di potere’; con la differenza che mentre a suo tempo il professore poteva più o meno scandagliare ‘con ironia letteraria’ in detti scritti; oggi, dagli scranni del Parlamento, gli ‘abusi’ sia del linguaggio che di potere, non divertono nessuno. E più che a rallegrare le orecchie di qualcuno, servono piuttosto a distrarre i molti dai veri problemi quotidiani:

«Che i discorsi mentano, o non possano mai dire abbastanza, pare chiaro. Prova ne è che tanti lettori hanno (ben) capito (e se non hanno capito è solo per ingiustificata pigrizia) […] tutti gli esempi di discorsi inconcludenti, ambigui, confusi, che vivono parassitariamente l’uno sull’altro: le gride.»

Quanto sopra, ripreso da “Il linguaggio mendace in Manzoni”, serve qui da introduzione, per meglio comprendere la mendace posizione dei ‘due’ che siedono in Parlamento se li paragoniamo ai ‘Bravi’ manzoniani; oppure ai ‘Tre Moschettieri’ dumasiani, e se, a quel che spesso si sente dire: “Uno per tutti e tutti per uno”, ma il confronto non regge.
Quindi direi dei due ‘Bravi’ qui presi ad esempio, in fatto di arroganza, turpitudine, limitatezza e meschinità, per così dire di povertà morale. Proprio come i personaggi manzoniani – afferma Eco:

«..parlano col deliberato proposito di usare il linguaggio per mentire, confondere, occultare i giusti rapporti tra le cose, o si scusano e si dolgono per non essere capaci di dire quello che sanno.»

Né di fare quel che fanno in maniera del tutto approssimativa e/o suggerita da ‘altrui’ menti occulte che dietro le quinte manovrano, non poi così segretamente, l’andamento (mai così disastrato) della politica nostrana che vaga tra un’opposizione continua verso tutto e tutti «tra segno visivo e segno linguistico»; e tra raccontare e dare credito a: «..un’evidenza, a una traccia, a un sintomo, a un indizio, a un reperto» che si configuri come una ‘prova certa’ e certificata del loro operato.

«A questo punto (un anno è già passato dal loro insediamento) occorrerebbe ripercorrere tutto “il loro operato” per verificare se l’ipotesi (di governare) tenga, e se a ogni passo si dipani un’opposizione evidente tra semiosi naturale e linguaggio. Basterà, come primo approccio, verificare in qualche episodio essenziale.»

Gli episodi sono sotto gli occhi di tutti e non serve qui elencarli di nuovo e buttare ulteriore benzina sul fuoco, anche se la tentazione di criticare e/o se volete polemizzare su quanto detto e fatto dai due Bravi. È così che negli incontri/scontri tra i due: «...le parole cortesi nel colloquio sono smentite da “il modo in cui erano proferite”» (Manzoni).

Siamo qui in presenza di una incapacità retroattiva agli anni dello studio, alla conoscenza quanto alla coscienza che, non potendo essere mediato verbalmente, viene trasformato nell’evidente mancanza di cultura e quel tanto di esperienza, capacità naturale necessarie per sostenere una dimensione di leader in qualsiasi settore.

Siamo «al delirio e alla pubblica follia», direbbe il professore Eco, (dico io cercando di estrapolare dai suoi scritti una semiotica implicita alla mia tesi di portare acqua al mio mulino:

«..ma immediatamente il linguaggio interviene per coprire la realtà, […] nel raccontare di come il contagio si diffonda (riferito alla peste bubbonica del romanzo manzoniano), e la società intera ne rimuova l’idea, del male.» O di come e quando si costruisca, «..nel senso in cui la stampa può costruire un mostro o un complotto, una vicenda di falsificazione di significati e di sostituzione di significati.»

«L’opposizione tra sintomi-segni e nomi (propri) è evidente. Il significato visivo e naturale viene occultato da un significante verbale che ne impedissce il riconoscimento. In questo intrico di segni visivi confusi da definizioni verbali, pare finalmente a qualcuno che solo la pubblica evidenza visiva possa contrastare i maneggi della parola (e della politica). […] Qui pare che, invece di dispor parole a mascherare evidenze visive, la cattiva coscienza sociale incominci a lavorare per messa in scena (leggi campagna elettorale) di evidenze visive» (personalistiche)».

E i Bravi se la ridono sotto o sopra i baffi, credendo, (meschini loro), d’essere creduti da tutti. Ma tutti non sono affatto paragonabili ai ‘chicchessia’; in molti casi i tutti fanno finta di credere a ciò che ascoltano solo per interessi personali o di per sé inetti a fare diversamente. Così come accettare l’alterazione totale del significato, usando la possibilità che il linguaggio offre loro di modificare la naturale effabilità dei segni visivi e dei sintomi naturali delle espressioni.

Basta una semplice lezione di Cesare Lombroso a dirci che mentono per primi a se stessi, a inficiare coi loro ‘vezzi e lazzi’ fisiognomici di quale pasta son fatti: «..quel comporre la faccia a quiete e ilarità»; significativa di una memoria involontaria che li separa dal dire e fare una minaccia o una promessa che sanno di non poter soddisfare, ora sventolando i fantasmi, ora gli angeli rimossi dei loro puerili desideri di rivincita da un’esistenza miserabile “..nella (pur loro) rara elargizione di follia cosciente” (Proust).

«Sarà, ma io non mi fido degli autori (di se stessi, né dei politici), che sovente mentono. Mi fido solo dei testi» (come degli atti che fanno). Tuttavia, quello che credevo fosse un parallelo non proprio riuscito con i ‘Tre Moschettieri’, ritengo sia invece azzeccato se guardiamo al Trio che abusivamente occupa gli scranni in Parlamento. È un fatto che il ‘terzo incomodo’, alias il ‘signor bugia’ ritiene di aver ultimato anzitempo la sua esperienza di governo, così facendo dando conferma della sua incapacità di ‘affermazione politica’ in contrasto con la parola data con un giuramento. E, cosa davvero di poco conto ormai, celebrando la sua definitiva disfatta di ‘uomo d’onore’.

(Buona giornata, ma fino al prossimo bla, bla, bla dal sapore amaro di cicuta).




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