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Rome; 3 metri underground (parte 4)

di Alessandro Porri
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Pubblicato il 27/11/2014 11:10:19

Capitolo XI

 

 

 

Sabato 7 Settembre, ore otto e trenta del mattino.

Antonio De Lellis si appresta a suonare il campanello della porta di Rosa. È lì davanti, indugia, sta cercando di organizzare nella sua mente le parole più giuste da usare. La mano si è alzata più di una volta verso quel campanello ma mai come questa volta, lo stesso sembra respingerla con forza. Io stavo scendendo proprio in quel momento, in casa eravamo rimasti senza latte e stavo andando a prenderlo.

         «Buongiorno signor Antonio, suoni pure, l’ho già sentita parlare prima la signora Rosa, è sveglia non si preoccupi.»

Il signor Antonio fece un salto, si era spaventato, sembrava assente, neanche mi rispose e suonò. Io appena passato oltre rallentai e prima di uscire dal portone, mi fermai a osservarlo di nuovo fino a quando Rosa aprì la porta. Lui la guardò, non disse niente, scosse la testa e abbracciò la cognata. Io osservai tutta questa scena scorrere al rallentatore davanti ai miei occhi. La mamma di Ciccio cacciò fuori l’urlo più agghiacciante che avessi mai sentito prima, poi con una reazione isterica cominciò a colpire sul torace il cognato, finché questi la strinse più forte impedendogli ogni movimento ed insieme sfogarono la loro impotenza in un pianto.

Rimasi pietrificato, era fin troppo chiaro quello che era accaduto. Quell’urlo fece affacciare per le scale altri condomini, tra cui mia madre che sapendo che ero appena sceso pensava fosse accaduto qualcosa a me. Tornai subito su e raccontai a mia madre e agli altri condomini quello a cui avevo assistito. Da lì a un’ora tutto il quartiere sapeva. Saremmo voluti andare tutti a dare una parola di conforto alla signora Rosa, ma in quel momento non era il caso. C’era il cognato con lei e da dietro quella porta si sentivano provenire ad intervalli quasi regolari urla di disperazione.

Tutto il sabato trascorse così, non si parlava d’altro, anche noi ragazzi eravamo in silenzio, nessuno aveva voglia di giocare a niente. Verso le diciotto arrivò Don Erminio, l’unico che ebbe modo di entrare in quella casa a portare delle parole di conforto alla donna. Dopo circa un’ora, anche lui andò via, doveva andare a controllare come proseguivano i preparativi per la festa del giorno dopo in chiesa. Aspettavamo tutti quel giorno per assistere ad un poco di movimento nel nostro tranquillo quartiere, ma dopo quel che era accaduto, era passata un poco a tutti la voglia di festeggiare. Quella notte il signor Antonio e la moglie, arrivata per l’occasione da Parma, dormirono a casa della signora Rosa. La madre di Ciccio avrebbe avuto almeno un corpo su cui poter piangere ma ancora doveva aspettare qualche giorno, il cadavere infatti era per il momento a disposizione dell’autorità giudiziaria.

 

Domenica 8 Settembre, nel quartiere Giardinetti la campana delle ore nove non ha richiamato molte persone. Questa domenica in chiesa i fedeli sono veramente pochi, quasi tutti infatti hanno scelto di partecipare alla celebrazione eucaristica delle undici a cui seguirà la festa con tante celebrità. Alle undici la mescolanza tra sacro e profano raggiunse il suo massimo. Persone mai viste in chiesa, erano presenti vestite in modo elegante, persone veramente credenti a cui tutta questa confusione dava anche fastidio. Ore dodici, inizia la tanto attesa festa alla presenza delle autorità. Il Vescovo, insieme al Sindaco scopre il telo che ricopre la teca interrata al lato dell’altare, un applauso parte da tutta la chiesa addobbata per l’occasione e piena fino all’inverosimile. Ci sono tutti i ragazzi dell’oratorio, il coro dietro di loro su dei sedili rialzati, le personalità politiche e religiose sedute ai primi posti ed i fedeli subito dietro, riempivano tutti i banchi. Una volta scoperta la spessa lastra di cristallo posta a chiusura della nicchia in terra, oltre l’applauso ci fu uno stupore generale, gli oggetti contenuti andavano oltre le previsioni, sia come numero che come qualità, non erano assolutamente due pezzi di coccio come aveva detto mia madre. Presero la parola le varie autorità in una successione ben organizzata di interventi che diede luogo ad una cerimonia della durata di circa un’ora. All’uscita era presente un generoso rinfresco per tutta la comunità, ma naturalmente il primo turno davanti al banchetto era riservato agli invitati speciali.

«Nella chiesa vostra a Villaggio Breda, che attività fanno? C’è l’oratorio?» Chiese Maurizio a Luca che come quasi tutte le domeniche era ospite dai nonni e quindi era all’oratorio.

«Da noi non fanno molte cose per i ragazzi, qui è meglio. L’oratorio c’è solamente due pomeriggi a settimana. Mi sarebbe piaciuto abitare qui ma i miei nonni hanno comprato là un terreno e alla fine i miei genitori e mio zio ci hanno costruito.»

«Lì state proprio in campagna, io non ci abiterei mai da te, hai visto poi, qui ci abitavano gli antichi romani, era un posto importante che credi!» Disse Roberto con un tono un poco altezzoso, diciamo pure che Luca gli era proprio antipatico. A quel punto Luca toccato nell’intimo reagì alla provocazione.

«Adesso c’hanno il Colosseo a Giardinetti! E poi anche da noi hanno trovato delle cose durante i lavori e anche più belle delle vostre.»

«E guarda un po’, hanno trovato tanti oggetti ma sono spariti, ma chi ci crede.»

«Puoi anche non crederci, ma li ho visti un giorno nel garage di mio zio, ce ne erano molti di più dei vostri, solo che lui li ha consegnati al Sindaco senza fare tutte ste feste.»

Il Trabaschi oggi è a pranzo dai genitori, insieme al fratello maggiore che ha moglie e due figli. Raramente s’incontrano la domenica, ma ora il nostro uomo deve filare dritto e fare una vita il più possibile regolare. Visto che i viaggetti domenicali a via Del Babuino sono terminati, ora può anche dedicarsi ad un pranzetto in famiglia.

    «Ago vieni con me, accompagnami,  andiamo a prendere tuo nipote, sarà contento di vederti non sapeva che avresti mangiato con noi.»

Il Trabaschi era innamorato del nipote, lui non aveva figli, non era sposato era una testa matta e le sue continue relazioni duravano il tempo di una stagione.

Agostino ed il fratello entrarono nel cortile della chiesa, si guardarono attorno, c’era una gran calca, non era facile individuare il ragazzo.

«Zio Agostino!» Il nipote vide entrare lo zio con il padre, subito lo chiamò e gli andò incontro.

Io guardai Maurizio, anche lui aveva lo stesso terrore negli occhi.

«Ma hai visto chi è? Anche a te sembra lui?»

«Sì sì è lui, ci ha trovato, me lo sentivo.»

«Ma che dici è un caso, è lo zio di Luca, e poi ricorda non ci ha mai visto.»

«Sarà come dici tu, ma questa cosa non mi piace per niente.»

Nello stesso momento Don Erminio scorge il signor Antonio tra la folla e lo chiama per prendere qualcosa da mangiare insieme alle autorità.

«Maresciallo, Maresciallo De Lellis, venga a prendere qualcosa.»

La voce alta richiamò l’attenzione del Trabaschi che stava dirigendosi verso l’uscita del cortile della chiesa. La figura del signor Antonio tagliò in due la folla, salì i pochi gradini che la separavano dalla zona dove era allestito il rinfresco ed iniziò a stringere la mano a diverse persone. Tutto questo avvenne come avvolto da una nube, il passo del Trabaschi rallentò fino quasi a fermarsi, lo sguardo fu calamitato verso quella scia che avanzava tra la folla…

    «Maresciallo? Merda Maresciallo! Il Professore è uno sbirro, ci ha preso per il culo proprio bene, allora sanno tutto, ma ora questa cosa ce la giochiamo a nostro favore», pensò tra se Il Trabaschi uscendo dal cortile con gli occhi allucinati.

 

 

 

 Capitolo XII

 

 

Lunedì 9 Settembre, ore diciannove.

         «Ago al telefono!» Urlò Er Dentista che aveva preso la telefonata.

«Chi è?»

«Non so, non me lo ha detto.»

«Secco, vieni qua, prendi il mio posto un attimo, guarda che c’hai belle carte vedi di non fare danni, vado a vedere chi è, neanche qui mi lasciano in pace.»

«Pronto con chi parlo?»

«Zitto, vai a prendere il caffè», click.

«Pronto, pronto chi parla?»

Trabaschi rimase un attimo interdetto, pensava di aver capito il messaggio ma non ne era sicuro. La voce sembrava quella di Antico, ma aveva ascoltato solo mezza frase. Poi d’improvviso l’illuminazione. Con calma Ago si dirige verso la porta, guarda fuori attraversa la strada ed entra nel bar di fronte.

         «Un caffè grazie», proprio in quel momento, il telefono pubblico del bar suonò, drin drin.

         «Pronto chi parla? Sì, ora vedo un attimo, c’è il signor Agostino?»

«Sì eccomi, è per me? Arrivo.»

«Ago, hai capito complimenti, pensavo che non ci saresti arrivato.»

«Grazie per la fiducia, ma come mai questo stratagemma?»

«Sveglia bello. Una cosa veloce, siamo a poche decine di chilometri dal confine, fino ad ora tutto bene, domani a metà mattina lo passiamo, così c’è più confusione di mezzi e c’è meno possibilità di essere fermati.»

«Zitto un attimo Michè e ascoltami tu ora …»

La conversazione proseguì per alcuni minuti. I due si misero d’accordo su molti particolari, stabilirono anche le modalità per potersi contattare in futuro.

Erano circa le ore ventidue e trenta quando il telefono del club trillò nuovamente. 

«Ago, per te.»

«Grazie, Bostik lasciamo stare sta partita che oggi non mi lasciano in pace neanche qui.»

«Sì, pronto, ora ti sento meglio, anche se la voce sembra lontana ma dove stai?»

«Vicino al confine con la Svizzera, ma zitto non fare il mio nome.»

«Addirittura già lassù, bene, e quando avete intenzione di passare il confine?»

«A metà mattina.»

«Così pranzate sul lago. Ma che mezzo avete?»

«Un bel furgone frigorifero trasporto latte con due belle mucche pezzate disegnate sopra.»

«Trasporto latte? Perfetto, in Svizzera con tutte le mucche che c’hanno, chi ci farà caso. Il nostro amico è con te?»

«Sì sì, ha già contattato chi di dovere, domani nel pomeriggio portiamo la merce al mercato e poi se è tutto tranquillo rientro in Italia, anche se non credo di scendere subito a Roma. Da te è tutto ok?»

«Sì sì tutto tranquillo qui. Va bene dai ci sentiamo tra qualche giorno o quando rientri, ciao.»

«Oggi sei proprio ricercato eh, le donne! sei proprio un rubacuori.» Disse il signor Antonio ad Agostino.

         «Caro professore c’è chi può e chi non può. Comunque non era una donna era un vecchio amico.»

Il signor Antonio aveva ascoltato chiaramente la telefonata, il locale non era così grande ed aveva capito che all’altro capo del filo c’era Antico. Quello che aveva ascoltato era estremamente importante, si poteva organizzare un posto di blocco mirato per il giorno dopo. Il suo infiltrarsi nel club iniziava a dare risultati importanti.

 

         Appena rientrato a casa Il Maresciallo contattò immediatamente il Tenente Passeri

«Pronto Corrado, scusa l’orario dormivi?»

«Antonio sei tu?»

«Sì Corrado, scusa ma ho notizie importanti da darti.»

«Mi ero appena addormentato, tranquillo ma deve proprio essere qualcosa di importante per chiamare alle…» guardando la sveglia sul comodino, «Una passate.»

«Ci siamo, stavolta li becchiamo e poi andiamo a prendere il Trabaschi.»

«Calmo fammi capire.»

«Ho tutte le informazioni che ci servono. Oggi Antico ha telefonato ad Agostino al club e sono riuscito a sentire particolari molto interessanti bisogna agire subito.»

«Fammi capire meglio Antonio, di cosa si tratta, calcola che mi sono appena svegliato.»

«Domani in mattinata Antico con il suo amico contadino, si fa per dire, passeranno il confine con la Svizzera a bordo di un camion frigorifero adibito al trasporto latte, che naturalmente trasporterà ben altro.»

«Bravissimo, stavolta ci siamo, ora faccio subito trascrivere la telefonata per vedere se escono fuori altri particolari che ci possono essere di aiuto.

«Che pensi di fare adesso?»

«Non so se riesco ad arrivare su per tempo o se conviene coordinare le operazioni da qui, tu che dici?»

«Secondo me, se c’è a disposizione un elicottero pronto a decollare conviene che vai a dirigere le operazioni sul posto, ti porti anche qualche tuo uomo di fiducia.»

«Sì hai ragione è meglio. Avverto e faccio preparare gli uomini ed il piano di volo. Antonio ti saluto ti tengo aggiornato. Mi piacerebbe ci fossi anche tu, che dici provo a chiedere l’autorizzazione al tuo capitano?»

«Meglio di no, non voglio far saltare la mia copertura, potrebbe ancora esserci utile.»

«Hai ragione. Vado ciao Antonio.»

«In bocca al lupo Corrado e fate molta attenzione.»

Martedì 10 Settembre, ore tre di mattina. Il Tenente Passeri in compagnia del Brigadiere Crescenzi, dell’Appuntato Todde e del pilota Peruzzi sono sulla pista dell’aeroporto di Pratica di Mare pronti al decollo.

    «Pilota Peruzzi 352, dell’aeromobile AB206 Jet Ranger chiede autorizzazione al decollo dalla pista n 2, passo.»

    «Qui torre di controllo, permesso accordato iniziare procedura passo.»

L’elicottero stacca da terra alle ore tre e sedici minuti precisi. I ragazzi sembrano fin troppo tranquilli.

         «Ragazzi o è sonno o vi vedo troppo rilassati. Lo so che non andiamo a prendere Diabolik, però concentrazione anche perché vi ricordo che i nostri uomini non hanno avuto esitazioni nell’uccidere il povero Francesco, perciò in campana.»

         «Qual è il piano preciso signor Tenente?»

         «Tra poco incontreremo i colleghi di Domodossola, ci daranno un appoggio logistico e ci metteranno a disposizione alcuni uomini. Sono già in possesso di tutta la documentazione, le foto dei nostri uomini e la descrizione del furgone frigorifero. Sarete tutti sotto il mio comando. Dall’origine della telefonata che abbiamo intercettato, dovrebbero passare il confine al Sempione, però ci sarà anche un altro posto di blocco nei pressi del Gran San Bernardo, ma è veramente improbabile che decidano di passare da qui. Organizzeremo un posto di blocco con due auto. Ci sarà anche un’altra automobile senza contrassegni un chilometro più avanti, pronta a bloccare la strada se gli venisse in mente di tentare la fuga. Potrà capitare di dover fermare più mezzi prima di beccare quello giusto, una volta visti in faccia, se non sono loro, mandate via il mezzo velocemente, non possiamo rischiare uno scontro con altre persone in mezzo.»

 

 

 

 

Capitolo XIII

 

 

 

Ore nove e quindici, il posto di blocco è organizzato. Due automobili dei carabinieri, due carabinieri pronti al lato della strada con le armi in pugno, altri due con le palette pronti a fermare gli automezzi. Il Tenente in piedi di fianco ad una delle auto lato passeggero con la radio pronta in mano e la pistola carica nella fondina aperta. Il Tenente ha avuto anche l’ok per il decollo di un elicottero, in caso si necessiti un inseguimento. È lo stesso aeromobile con cui sono arrivati pronto ad entrare in azione qualora ce ne fosse bisogno. Più avanti un’altra automobile è pronta.

         «Fermate questo furgone», intimò il Tenente ai ragazzi.

         «Ma è un furgone trasporto carne», replicò Crescenzi.

         «Voglio vedere come ve la cavate, consideratela una specie di prova generale, deve filare tutto liscio, forza.»

La prova sembrò filare tutto bene, almeno secondo i ragazzi.

         «Allora, Todde e te, com’è il tuo nome?»

         «Furlan, signor Tenente.»

«Voi due che siete armati, uno davanti al furgone ma più laterale lato guidatore. Furlan se ti piazzi così davanti, ti prende sotto se scappa. Tu Todde segui Crescenzi con il guidatore che scende ad aprire il portello dietro e lo tieni sempre sotto tiro. Anche gli altri con le palette, pronti, fondina aperta e attenzione.» 

Ore dieci e quindici, si avvicina un furgone frigorifero, sembra avere le caratteristiche segnalate.

«Attenzione ragazzi, fermate questo ora, via», ordinò il Tenente.

La persona alla guida ed il passeggero però, non sono gli uomini che tutti aspettavano.

         «Veloce Furlan, dai un occhio dietro e sgomberiamo in fretta la piazzola.»

         «Tutto ok qua dietro Brigadiere.»

         «Ecco i documenti, tutto in ordine buona giornata.»

         «E con questo sono sei.» Todde non fece neanche in tempo a finire la frase che il Tenente che osservava la strada con un binocolo cambiò il tono della voce ed esclamò.

         «Attenzione, ci siamo mi sembra di riconoscere il guidatore, sembra proprio il nostro antiquario di fiducia, dai, dai, con queste palette.»

Il furgone sembrò rallentare vistosamente a poche decine di metri dal posto di blocco, l’autista si guardava attorno ma non c’era via di fuga.

         «Attenzione ragazzi, stanno rallentando ci hanno visto, occhio alla reazione, massima allerta, vai Crescenzi ora con questa paletta.»

Il furgone venne fermato, accostò e le due persone a bordo si sforzarono di mantenere un aspetto tranquillo, ma si vedeva che erano tese.

         «Buon giorno, patente e libretto.»

         «Signor Sinibaldi Michele, nato a Roma . . .»

         «Il libretto cortesemente, il furgone da quanto vedo non è di sua proprietà.»

         «Potrebbe scendere ed aprire il portello posteriore, grazie.»

         «Sì certamente», rispose Sinibaldi con una strana mimica facciale. In quel momento il Tenente dopo aver messo in preallarme l’auto che attendeva più avanti e l’elicottero, si avvicinò al furgone. Mandò uno sguardo di intesa al Furlan per intimargli di fare attenzione al passeggero e fece cenno a Todde di seguire i due dietro al furgone. Aperto il furgone, una serie di casse lo riempiva tutto sembrava andare per il verso giusto, nessuna reazione e la refurtiva davanti ai loro occhi.

         «Apra questa cassa cortesemente», intimò il Tenente Passeri a Sinibaldi.

Questi senza battere ciglio, aprì tranquillamente. La cassa conteneva mele. Poi un’altra, pomodori, un’altra ancora patate.

         «Togliete tutte queste qui davanti, quelle dietro aprite quelle dietro», urlò il Tenente che ormai sembrava aver perso la sua proverbiale calma. Sia Sinibaldi che i carabinieri proseguirono all’apertura di tutte le casse presenti una dopo l’altra. Un ghigno beffardo prendeva sempre più possesso del viso del nostro antiquario. Ancora patate, ancora mele, una addirittura colma di noccioline americane. Ma fu l’ultima a far proprio perdere la calma al Tenente. La cassa, non molto grande, aveva sui lati due strisce rosse simili a quelle presenti sulla divisa dei carabinieri e all’interno trovavano alloggio in bella vista due polli!

         «Penso che non sia reato comprare dei prodotti genuini e trasportarli usando un furgone frigo a noleggio verò? O no? Possiamo andare ora? Sa la nostra merce è preziosa e potrebbe deteriorarsi.»

         «Potete andare, certamente, ma attento Sinibaldi sappiamo bene tutti e due che siamo destinati ad incontrarci di nuovo, non dormirei sonni tranquilli al suo posto.»

         «Ma», guardando con sufficienza il punto della divisa dove sono applicati i grandi, «Tenente vero? Deve stare attento a come parla, queste sembrano essere delle minacce, se mi dovessi sentire, come dire, perseguitato, potrei anche decidere di dar mandato ai miei legali di procedere ad una denuncia, come sicuramente avrà avuto modo di controllare ci hanno provato in tanti a sbattermi dentro ma come vede, ancora sono qui!»

         «Lo vedremo, lo vedremo.»

         «Buona giornata», e passando di fianco al Tenente a voce bassa, «Mi saluti er Professore.»

Mentre il furgone riprese la strada, i ragazzi si guardarono negli occhi e la frustrazione assalì l’intera squadra.

         «Cosa facciamo ora?»

         «Cosa vuoi fare? Ce ne torniamo a Roma anzi aspetta prima voglio fare un ultimo tentativo.»

«Ragazzi, mi sentite, passo

«Sì Tenente, siamo pronti ad intervenire.»

«No fermi, cambio di programma, niente intervento, sta per passare davanti a voi il furgone, seguitelo, non perdetelo di vista, chiamate in centrale e in caso servisse alternate auto diverse nel pedinamento, non devono assolutamente sospettare di essere pedinati.» 

«Sono certo che da Roma sono partiti con la merce, ed ora dovranno averla nascosta in qualche luogo sicuro. Dovranno prima o poi tornare a prenderla no?» Disse a voce alta il Tenente parlando a tutta la squadra.

«Ancora non capisco poi come abbiano fatto a sapere del posto di blocco, ci deve essere qualcuno che li ha informati ma non riesco a capacitarmi chi possa essere stato.»

«Ma le ha detto qualcosa mentre andava via?» Domandò Todde al Tenente.

         «Mi ha detto di salutare er Professore, almeno così mi sembra di aver capito, non so cosa volesse dire ma magari ho capito male. Crescenzi, Todde  che dite, ve la sentite di rimanere qualche giorno qui? E voi ragazzi, se vi autorizzano, vi andrebbe di continuare a seguire questo caso?»

Tutti i ragazzi diedero il loro assenso, lo smacco subito e l’aria arrogante del Sinibaldi fu la leva che fece scattare in loro la voglia di rivalsa.

 

Ore tredici. Telefonata tra De Lellis e Passeri.

         «Ti rendi conto come si è preso gioco di noi, non puoi immaginare che ghigno beffardo aveva stampato in faccia.»

         «Ma come cavolo avrà saputo del nostro piano.»

         «Antonio non lo so veramente, posso solo escludere che ci sia una talpa tra i miei uomini, a te non viene in mente nulla?»

         «Sinceramente no, la telefonata era così chiara e inequivocabile.»

         «Ma non hai avuto il sospetto che fosse fin troppo chiara ed inequivocabile?»

         «Cosa intendi dire?»

         «Non ti sembra strano che Trabaschi si sia messo a parlare così tranquillamente davanti a tutti?»

         «Effettivamente un poco sì, specialmente se ripenso a come si era risentito quando Antico aveva fatto quel commento su Silvan, lui stesso poi mi diventa così imprudente? Effettivamente …»

         «Senti basta con questo Antico, chiamalo Sinibaldi che già non sopporto questo nome, figurati il soprannome.»

         «L’importante è che dobbiamo beccarlo con le mani nella marmellata, questo è troppo furbo e senza prove più che schiaccianti se la caverà sempre. E poi Corrado caro, Antico o Sinibaldi, fosse questo il problema, ormai mi viene d’istinto chiamarlo così, tutti al club ci chiamiamo per soprannome.»

         «E sì che bello come i bambini delle elementari,  te ne hanno affibbiato anche a te uno?»

         «Certamente, con la mia area di uomo di classe non potevo che essere er Professore.»

         «Caz.. che bastardo!»

         «Che succede?»

         «Che succede? Lo sai quale sono state le ultime parole di Sinibaldi? Salutami er Professore! Hai capito ora?»

         «Ci ha preso per il culo dall’inizio, la telefonata era tutta una farsa, pensa anche il Trabaschi che attore. Ed ora Corrado cosa hai intenzione di fare?»

         «Gli ho messo da subito degli uomini dietro, la merce da qualche parte devono averla nascosta e dovranno prenderla di nuovo, io devo assolutamente esserci in quel momento.»

         «Quindi ti fermi su?»

         «Sì insieme ai ragazzi, ma non è che ti avanza qualche giorno di ferie?»

         «Mi stai invitando al mare?»

         «Sì guarda proprio al mare, qui già sembra inverno.»

         «Mi sa proprio che a breve ti vengo a trovare, dammi un paio di giorni per organizzarmi e ti raggiungo.»

         «Grazie Antonio vediamo se insieme riusciamo a beccare questo farabutto.»

Alla fine della telefonata, il signor Antonio rimase interdetto, e rimuginava tra se quale fosse stato il suo errore, non si era mai esposto più di tanto, come diavolo avevano fatto a scoprire la sua identità rimaneva ancora un mistero. Il pomeriggio si recò dalla cognata per comunicarle che sarebbe andato via qualche giorno per cercare di acciuffare l’assassino del povero Francesco. Non fece neanche in tempo a suonare la porta quanto fu circondato da me e da Maurizio.

         «Signor Antonio, signor Antonio aspetti», strillò Maurizio.

         «Salve ragazzi, come va? Volevate dirmi qualcosa?»

         «Sì, ma lei domenica non lo ha visto? Perché non lo ha arrestato?»

         «Calma, calma ragazzi spiegatemi bene.»

         «Domenica alla fine della cerimonia, quando tutti eravamo nel cortile della chiesa, è arrivato il padre di Luca per chiamarlo perché era l’ora di andare a pranzo dai nonni, insieme con lui c’era lo zio, e sa chi era lo zio?»

         «Calma Maurizio, chi è questo Luca?»

         «Luca è un nostro amico dell’oratorio che viene qui solo la domenica perché qui ci abitano i nonni.»

         «Insomma Maresciallo, lo zio di Luca è l’autista del camion, quello che ci ha fatto vedere nelle foto», aggiunsi io.

         «Tranquilli, lui non vi ha mai visto, non sa che avete collaborato con i carabinieri, è stata una coincidenza e basta», poi rallentando parlando dentro di se, «Una coincidenza che deve avergli permesso di capire chi sono realmente, più di qualcuno mi avrà chiamato Maresciallo, poi Don Erminio al rinfresco ha proprio urlato, ora è tutto più chiaro.»

«Maresciallo! Ci ascolta, allora noi siamo tranquilli?»

«Sì ragazzi non vi preoccupate.»

«Un’altra cosa Maresciallo, Luca ci ha detto che proprio in casa dello zio, ha visto tanti oggetti come quelli che hanno messo nella teca della nostra chiesa, ma poi lo zio li ha consegnati al Sindaco, lei ci crede?» Aggiunsi io.

«Questa è una cosa veramente interessante, avevamo capito che c’erano degli oggetti di valore al centro di questa vicenda, ma non avevamo pensato che addirittura si trattasse di cose così antiche e preziose.»

«Adesso faremo anche noi delle nostre indagini e se dovessimo scoprire qualcosa, glielo faremo sapere», aggiunse Maurizio.

«Calma ragazzi, non è il caso che voi rischiate, già avete fatto tanto, state tranquilli, se poi questo Luca di sua spontanea volontà racconta qualche altro particolare allora memorizzate tutto e raccontatemelo la prossima volta che ci vediamo. Ora devo proprio andare ciao.»

«Arrivederci signor Antonio.»

Io e l’inseparabile Maurizio decidemmo di fare qualcosa di più concreto per aiutare il Maresciallo nelle indagini. Decidemmo insieme a Roberto, di andare a vedere come funzionava l’oratorio di Villaggio Breda.

 

 

  Capitolo XIV

 

 

 

Mercoledì 11 Settembre. Alle ore sedici io, Maurizio, Roberto e anche Gianni, che si aggiunse all’ultimo momento, prendemmo il trenino direzione fuori Roma e scendemmo alla fermata più vicina a Villaggio Breda. Dopo dieci minuti percorsi a piedi giungemmo nei pressi della chiesa. Non era molto grande ma molto ben fatta. Di fronte si potevano osservare delle case ben tenute, ordinate tutte in fila, tipo una grande colonia con dei grandi cortili centrali. Attorno a questo che sembrava veramente un villaggio, vi erano varie case a uno o due piani, venute su in modo alquanto disordinato, frutto di cantieri quasi esclusivamente abusivi e proprio per questo non erano molto belle esteticamente. Il mercoledì ed il venerdì erano i giorni in cui la chiesa aveva organizzato alcuni momenti per i ragazzi della zona, chiamiamolo oratorio, ma in realtà era tutt’altro. Nel cortile posteriore della chiesa c’era solo lo spazio per un campo da basket. I ragazzini lo usavano per giocare comunque a pallone, utilizzando le basi che sostenevano i due canestri come piccole porte da calcio senza il portiere. Don Gino in pratica aveva inventato nel 1974 quello che poi sarebbe diventato lo sport più praticato dagli anni novanta ossia il calcetto. Intorno al campo c’era una striscia di terreno larga una decina di metri, rivestita di mattonelle ben levigate che veniva utilizzata per pattinare.

«Luca!» Gridò Maurizio

«Eih! che ci fate qui», rispose Luca venendoci incontro.

«Ti siamo venuti a trovare ti dispiace?»

«No, non me lo aspettavo, dai entrate due per parte, don Gino questi sono miei amici di Giardinetti.»

«Ben venuti ragazzi, quando volete qui c’è posto per tutti.»

Io pensai subito tra me e me, «Infatti, proprio tanto posto, siamo in venti dentro un campo da basket, stanno proprio messi male qui.» Dopo più di un’ora di calci dietro al pallone non ce la facevamo più.

«Basta», dissi io, «Sono morto, io mi fermo.»

Quasi tutti gli altri, la pensavano come me. La fontanella fu presa d’assalto dalla comitiva e stavamo quasi per tornare a casa quando Luca ci chiese, «Volete venire a fare merenda a casa mia è proprio qui dietro?» Io risposi subito, prima che qualcuno potesse dire di no.

«Sì dai, ancora è presto e poi un poco di fame ce l’ho, ma tua madre non dice niente che ti presenti con tutti questi amici?»

«No tranquillo, è abituata.»

Arrivati da Luca, vedemmo che a differenza delle altre, la sua casa era molto bella. Una piccola villa bifamiliare con un bel giardino.

«Mamma, ci sono alcuni amici, ci fai una merenda. Sono della parrocchia di nonna mi sono venuti a trovare.»

«Avanti ragazzi, allora siete compagni dell’oratorio? Be da voi funziona molto bene è organizzato, qui un poco meno, la chiesa non ha molto spazio. Forza dai sedetevi in giardino che vi porto qualcosa da mangiare.»

«Cavolo che bello qui», disse Maurizio.

«E sì è una delle case più belle della zona.»

«Ma chi è quello che confina con voi? Peccato c’ha il giardino pieno di impicci non vi conviene alzare il muro tra i due giardini?»

«È il fratello di mio padre, mio zio Agostino. Lavora nei cantieri si porta sempre impicci a casa.»

Io presi subito la palla al balzo, abbassai il tono della voce e chiesi: «È quello zio che aveva trovato degli oggetti antichi che poi aveva consegnato al Sindaco?»

«Sì bravo è lui.»

«Chissà come mai non ha pensato di donarli alla chiesa, come hanno fatto da noi.»

«E che c’entra, mica li ha trovati nel terreno della chiesa, li ha trovati qui sotto e quindi appartenevano al comune.»

«A sì hai ragione, che scemo, che c’entra la chiesa.»

Il giardino confinante era in realtà per buona parte ben curato, ma proprio a ridosso della palizzata di divisione, era stato accatastato un po’ di tutto. Quando notai questo, lo chiesi anche a Luca, «Ma perché tutta questa roba non la mette da un’altra parte o vicino dove parcheggia il camion, qui è proprio brutta.»

«Ma che ne so, prima era proprio tutto il giardino incasinato, poi ha pulito, ma qui è rimasto sempre così. Mio padre glielo dice sempre che bisogna far sparire tutto una volta per tutte.»

«Marco dai è ora che andiamo che si sta facendo tardi», disse Gianni.

«Sì avete ragione, allora grazie ci vediamo domenica.»

«Se volete, potete tornare anche venerdì.»

«Merenda compresa? Scherzo, non so, ora vediamo. Arrivederci signora, grazie della merenda.»

«Ciao ragazzi, grazie a voi della visita.»

Mentre i ragazzi escono dalla casa, una bella auto entra, guidata dal padre di Luca che alza una mano in segno di saluto, è in divisa dell’ATAC porta i tram al centro di Roma ed ha da poco finito il turno di lavoro.

Sul trenino di ritorno i ragazzi scambiano alcune parole.

«Che bella casa cavolo, quello l’oratorio ce l’ha in giardino», disse Maurizio, «Chissà che lavoro fa il padre? Aveva una bella divisa avete visto.»

«Guarda che è la divisa dell’ATAC, come quella di mio padre, e ti assicuro che quella casa e quella automobile con i soldi dello stipendio non te li puoi permettere», risposi io.

«Cosa intendi dire», chiese Gianni.

«Che secondo me, tutta la famiglia è coinvolta in qualche traffico strano, proprio come diceva il Maresciallo. Mi piacerebbe proprio andare a frugare in quel giardino, secondo me esce fuori qualcosa.»

«Ragazzi il Marco mi è diventato coraggioso. Io ci sto.» disse Maurizio.

«Anch’io risposero insieme Roberto e Gianni.»

«Be ora aspettate, ho detto che si potrebbe…»

«Eccolo è tornato cacasotto», subito mi interruppe Maurizio.

«Ok va bene, appena si crea l’occasione si va.»

Mentre i ragazzi facevano andare le loro fantasie, a circa seicento chilometri di distanza, nelle vicinanze di Domodossola il Tenente Passeri ascoltava il primo resoconto dei suoi ragazzi.

    «Siamo certi di essere passati inosservati. I nostri uomini alloggiano nella pensione Cecilia a Bognanco una frazione tranquilla, poche case tanta campagna. Diciamo che nelle vicinanze, posti dove nascondere la merce ce ne sono molti.»

«Ma cosa combinano tutto il giorno?» Chiese il Tenente.

«Assolutamente nulla, colazione pranzo e cena sempre nello stesso locale, passeggiate a piedi e dormite. È chiaro che stanno facendo calmare le acque. Siamo andati all’autonoleggio dove hanno preso il furgone frigorifero, anche lì niente di particolare, ha pagato il nostro antiquario dando un regolare documento.»

«Forza ragazzi non bisogna mollare, prima o poi dovranno prenderla questa merce e noi saremo lì, dietro di loro.»

«Tenente ma non ha considerato la possibilità che loro non prendano più la merce?»

«Cosa intendi dire Todde?»

«Intendo dire che potrebbe essere direttamente il compratore ad andare a ritirarla.»

«Hai ragione, ci ho pensato, però se l’accordo ci fosse stato, avrebbero già lasciato la zona. Se quello che dici te è vero, dovranno comunque contattare questo compratore per i dettagli dello scambio. Dovete avere cento occhi e orecchie. Cercate, senza insospettirli, di visitare lo stesso locale che loro frequentano, fingetevi clienti, se vedete strani movimenti cercate di raccogliere delle foto. Mettiamo subito sotto controllo il telefono della pensione, del bar ristorante e le cabine pubbliche nelle vicinanze.»

 

Venerdì 13 Settembre, ore nove e trenta. Due uomini che conosciamo molto bene, si recano al solito locale per fare colazione. Defilati in un angolo, seduti con caffè e giornale davanti, ci sono già Furlan, per l’occasione un poco camuffato, ed un collega. Antico e socio si siedono ad un tavolo distante da quello dei due carabinieri, sorseggiano il loro caffè, mangiano una brioche e commentano i recenti fatti di cronaca. Tutto sembra scorrere normalmente. Ad un certo punto l’uomo che accompagnava il Sinibaldi si avvicina al bagno ed entra. I due carabinieri iniziano ad insospettirsi, sono già passati quindici minuti e l’uomo é ancora lì dentro. Sono circa le dieci quando la porta del bagno si apre, l’uomo esce, fa un fugace cenno a Sinibaldi, ed insieme lasciano il bar.

         «Io esco e li seguo, tu Banfi non ti muovere da qui per almeno mezz’ora e non staccare gli occhi dalla porta di quel bagno.»

         «Dal bagno? Che vuol dire?»

         «Fai come ti dico, e tieni pronta la microcamera.»

Furlan segue i due che si dirigono in tutta fretta verso la pensione dove alloggiano. Banfi è in procinto di lasciare il bar, quando la porta del bagno si apre, esce un uomo di una certa età che si dirige verso un tavolo dove aveva lasciato una borsa, la prende, si avvicina  all’uscita, salutando il barista.

         «Tank you, bye bye.»

Banfi non aveva fatto caso a quella borsa sopra quel tavolino in fondo al bar, quell’uomo quindi era lì già prima del loro arrivo e ciò voleva dire che era stato in bagno un tempo esagerato. Durante questo spostamento nel bar, Banfi aveva potuto scattare con la microcamera alcune foto dell’uomo. Il sospetto era quello che nel bagno ci fosse stato uno scambio di qualcosa o di qualche informazione. Banfi uscì velocemente e riuscì a fotografare anche l’auto con cui l’uomo si allontanò. Immediatamente Banfi con la trasmittente chiamò Furlan.

         «Avevi ragione, dopo un po’ è uscito un tizio dal bagno che non abbiamo mai visto entrare, deve essere un complice, almeno spero, ho anche la foto dell’auto con la targa, lì come va, dove sei

         «Sono di fronte alla pensione sono arrivati qua tutti di corsa, eccoli eccoli, hanno i bagagli, questi tagliano la corda e noi non possiamo fermarli cavolo, penso proprio che ci sia stato il contatto al bar. Sento il Tenente, non so se seguirli o no, mando qualcuno a prenderti così sviluppiamo subito le foto

         «Io comunque chiamo la centrale, la targa la ricordo a memoria così intanto iniziano le ricerche sull’auto

Il Tenente ordina a Furlan di rientrare tanto è inutile seguire i due, non hanno prove per fermarli.

Dopo un’ora sono tutti riuniti con già le foto stampate davanti agli occhi.

         «Eppure questa faccia io l’ho già vista da qualche parte, prima o poi mi verrà in mente ne sono certo», disse Passeri.

         «Non so se può essere utile Tenente, ma quando è uscito ha salutato in inglese, magari bisogna allargare le nostre ricerche aggiunse Banfi.»

         «Aspetta ora che mi dici così, voglio controllare una cosa. Crescenzi vammi a prendere quel fascicolo che abbiamo portato con noi, quello sui traffici d’arte è nell’altra stanza in fondo, quella che ci avevano dato il primo giorno, forse mi sono ricordato.» Dopo due minuti, «Eccolo è lui, si tratta di Alex Symensth, vedete la foto, questo è un catalogo di una mostra che aveva curato a Milano. Se si sposta lui personalmente, la merce deve essere di grande valore. È risaputo nell’ambiente che quando è così, non si fida neanche dei suoi uomini, tanto meno di fotografie. Va a visionare di persona e spesso organizza subito il trasporto per paura che le merci, all’ultimo momento, vengano sostituite con dei falsi. L’altro uomo deve essere sicuramente un suo scagnozzo.»

         Bussando alla porta già aperta, «Allora posso anche andare, avete capito tutto ormai.»

         «Antonio, ciao, ben arrivato, sono contento che tu sia qui, ci serve giusto un uomo della tua esperienza.»

Il Tenente mise al corrente il collega appena arrivato dell’evoluzione delle indagini, specialmente delle importanti novità dell’ultima ora. Dalla targa dell’automobile si poté accertare che si trattava di un’auto presa a noleggio.

         «Io penso una cosa», esclamò Todde.

         «Dimmi, dai che ogni tanto il ragazzo qui ha buone intuizioni», rispose Passeri riferendosi principalmente a De Lellis.

         «Symensth se vuole trasportare la merce, non potrà sicuramente farlo con quell’automobile, avrà bisogno di un mezzo più grande. Ora pensavo, non sapendo di essere stato riconosciuto, la cosa più normale da fare sarebbe quella di riconsegnare l’auto e nello stesso posto magari prendere a noleggio un furgone o una cosa simile. Che ne dite?»

         «Caro Antonio, te lo avevo detto che questo giovane ha proprio l’intuito del buon investigatore.»

         «Bravo ragazzo», rispose il Maresciallo. «Corrado, andiamo a fare due chiacchiere all’autonoleggio, vediamo se la teoria di Todde è giusta.»

         «Voi ragazzi continuate a girare per la città con gli occhi ben aperti.»

 

         A Roma erano le nove e trenta, io e la solita combriccola decidemmo di andare a trovare Luca. Volevamo dare ancora un’occhiata a casa sua, e specialmente a quella dello zio. Se fossimo andati il pomeriggio, sicuramente la maggior parte del tempo lo avremmo passato all’oratorio, ma noi volevamo altro. Arrivati davanti alla casa, suonammo al citofono.

         «Chi è?» Domandò la madre affacciandosi dalla finestra a piano terra.

         «Buongiorno signora c’è Luca, siamo gli amici di Giardinetti», risposi io.

         «Ciao ragazzi ora ve lo chiamo, si è alzato da poco, ma entrate dai accomodatevi pure in giardino.»

Dopo una ventina di minuti Luca venne fuori.

         «Ciao, ma vi alzate presto voi eh!»

         «Inizia ad abituarti che tra poco ricomincia la scuola.»

Mentre le chiacchiere andavano avanti, la mamma di Luca uscì e si rivolse al figlio.

         «Io vado da zia a dare una mano per i dolci, visto che ci sono i tuoi amici tu rimani qui, mi posso fidare sì?»

         «Sì mamma stai tranquilla, tanto stiamo qui a giocare in giardino.»

         «Ragazzi, io devo andare da mia sorella maggiore, festeggia le nozze d’argento e domani sera faremo una grande festa da lei. Luca in frigo ci sono i succhi di frutta, più tardi offrili ai tuoi amici. Ciao.»

Passammo l’intera mattinata a giocare a pallone in giardino, ad un certo punto io, diciamo “per sbaglio”, mandai il pallone dall’altra parte della palizzata.

         «Vado io», urlai, non diedi neanche il tempo a Luca di rispondere che già ero dall’altra parte. Una volta nel giardino dello zio, recuperai la palla e dissi agli altri.

         «Perché non ci spostiamo un poco più giù, lontano da questo macello e giochiamo a pallavolo?»

         Luca mi rispose, «Va bene dai vengo io dall’altra parte.»

Tutti cercavamo di osservare, di trovare qualche particolare, ma in realtà non è che si riuscisse a vedere molto d’interessante. Maurizio ed io spesso sbagliavamo intenzionalmente, mandavamo il pallone verso la casa o verso la cantina dello zio di Luca per poter buttare un occhio dentro. Ad un certo punto, andando in dietro senza vedere per prendere la palla, acciaccai la coda ad un gatto che scappò giù nella cantina. Alla cantina si accedeva mediante una porta che affacciava in giardino, da qui partiva una scala ripida che finiva sottoterra.

         Era poco prima delle tredici quando la madre di Luca rientrò a casa e ci trovò ancora a giocare.

         «Luca dai venite di qua, sai che tuo zio non vuole che giochi dalla sua parte.»

         «Sì lo so, lui dice che ha paura che mi possa fare male con i suoi impicci, ma noi ci siamo spostati più giù.»

         «Va bene dai tanto ormai è ora di pranzo, evitiamo discussioni con lo zio, tornate di qua.»

         «Mi ha detto che domani lavora solo di mattina ed il pomeriggio inizia a togliere questa catasta di roba.»

         «Avrai capito male, guarda che domani anche zio è invitato alla festa di zia Luisa, non ha proprio il tempo di lavorare in giardino.»

Tornato nel giardino di Luca ci salutammo, stavamo apprestandoci all’uscita quando vidi una cosa che richiamò la mia attenzione. Il gatto che poco prima avevo infastidito e che era fuggito giù in cantina, stava venendo fuori venti metri più avanti da sotto quella famosa catasta di cianfrusaglie.

 

Durante il breve viaggio di ritorno, sul trenino per tornare a casa, ci scambiammo impressioni sulla mattinata.

         «Ma voi non avete fatto caso al gatto?»

         «Sì io sì», disse Roberto.

         «Anch’io», aggiunse Gianni.

         «Perché il gatto che c’entra?»

         «Ti pareva, non hai visto da dove è sbucato mentre stavamo andando via?» Domandai a Maurizio, «È entrato dalla cantina ed è riuscito da sotto quella montagna di robaccia, venti metri più lontano.»

         «Ci sarà una finestra della cantina attaccata al muro che rimane coperta», disse Gianni.

         «No io per recuperare il pallone che era finito giù sono sceso ed ho visto, la cantina sarà al massimo lunga una decina di metri ma anche meno.»

         «E allora?»

         «Allora ci deve essere qualche passaggio segreto da qualche parte, o magari un piccolo passaggio dove solo un gatto riesce a passare. Dopo questa apertura ci deve essere o un’altra stanza o un cunicolo lungo almeno atri dieci metri o che ne so è talmente strano.»

A questo punto il coraggio di Maurizio uscì fuori.

«Domani sera nelle due case non ci sarà nessuno, che ne dite di fare un piccolo sopralluogo nella cantina misteriosa?»

«Ma come facciamo, dobbiamo aspettare che faccia buio, i nostri genitori non ci permetteranno mai di uscire tardi», disse Roberto.

«Io ho un’idea esclamai.»

Dopo un breve conciliabolo trovammo la soluzione, certo un poco rischiosa ma era l’unica possibile.

 

         «Buongiorno», disse il Tenente Passeri accompagnato dal collega De Lellis.

         «Buongiorno a voi in cosa posso esservi d’aiuto?» Rispose il ragazzo, figlio del proprietario dell’autonoleggio.

         «Io sono il Tenente Passeri lui è il Maresciallo De Lellis, ci occorrevano delle informazioni su un’automobile che avete noleggiato e che è finita nelle nostre indagini.»

         «Se posso, dite pure.»

         «L’automobile in questione è questa», disse Passeri mostrando una delle foto scattate da Banfi.

         «Sì, sì è una delle nostre.»

         «Noi vorremmo sapere che tipo di accordi avete con questo signore, quando verrà a riconsegnarla e se ha in mente di noleggiare altri mezzi.»

         «Be, voi capirete bene che queste sono informazioni riservate, non posso tradire la fiducia di un cliente.»

         «Lei faccia pure come crede, potremmo tornare magari tra un giorno con un’autorizzazione che ci permetterebbe di consultare i vostri registri e magari sfogliando chissà quante belle irregolarità troveremo, sa a volte uno se cerca bene trova tante cose», disse Passeri con un tono particolare della voce.

         «E sì, poi potremmo anche piazzare un’auto fissa qui davanti e fermare tutte le macchine che escono da qui e magari far perdere un’ora a tutti i vostri clienti», aggiunse De Lellis.

Il ragazzo fu preso un poco alla sprovvista ed andò a chiedere lumi al padre. Dopo avergli illustrato i fatti tornò insieme a lui.

         «Buongiorno, sono Balselli, il titolare. Mio figlio mi ha accennato qualcosa, chiedete pure a me.»

         «Ecco lei signor Balselli mi sembra un poco più disponibile del ragazzo, le avrà detto che ci servono alcune informazioni per le nostre indagini.»

«Sì mi ha accennato qualcosa, di quale auto si tratta?» Guardando la foto «A quella. Sì ricordo bene, la pratica l’ho seguita personalmente. Si tratta di un signore straniero con accento inglese, anche se comunque parla qualcosa di italiano. Dovrebbe riconsegnare l’auto domani in mattinata.»

         «Le ha chiesto di poter noleggiare un altro mezzo?»

         «Sì, come fate a saperlo?»

         «Non si preoccupi di questo, ci dica piuttosto di che tipo di mezzo si tratta?»

         «Mi ha chiesto un mezzo che potesse trasportare della merce, un furgone o similari lo desiderava però con riconsegna in Svizzera. Noi siamo una piccola impresa e non abbiamo questo tipo di prestazione. Siamo rimasti che mi sarei informato da alcuni miei colleghi che fanno questo tipo di servizio e lo avrei fatto accompagnare direttamente da un mio autista quando mi avrebbe riportato l’auto indietro.»

         «Ha già trovato quello che cercava il nostro uomo?»

         «Sì, un mio amico a Domodossola può accontentarlo.»

         «Ci dia gentilmente l’indirizzo e domani ci chiami appena quest’uomo esce di qui.»

         «Ma è una persona pericolosa? Sa, pensavo di farlo accompagnare da mio figlio.»

         «Se vuole, potremo far fare questa operazione ad un nostro uomo.»

         «Sarei più tranquillo.»

         «Va bene, domani, all’apertura, arriverà un nostro uomo che provvederà al tutto.»

         «Vi ringrazio.»

         «Grazie a lei, buon lavoro, stia tranquillo e, mi raccomando, non una parola con nessuno.»

Una volta fuori i due amici colleghi commentano quello che è appena accaduto.

         «Ci mandiamo Banfi qui domani mattina, così conosce bene le strade.»

         «Ma non lo avrà visto al bar?»

         «E anche se fosse, un autista non può prendere un caffè la mattina?»

         «Be hai ragione Corrado non ci avevo pensato.»

         «Prepariamo poi almeno due auto pronte a seguire Symensth non appena entra in possesso del furgone. Potrebbe agire veramente in poche ore e prendere subito il largo.»

         «Speriamo che ritiri la merce al più presto, così lo becchiamo in flagrante e questa storia finisce.»

         «Antonio dimentichi che poi dobbiamo andare a prendere Sinibaldi e Trabaschi, è uno di loro che ha ucciso tuo nipote.»

         «Non lo dimentico assolutamente, ho promesso alla madre che farò giustizia ed intendo mantenere la parola.»

         «Speriamo che una volta preso, Symensth collabori senza fare troppe storie.»


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