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Lettere d’amore

di Gennarino Ammore
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Pubblicato il 01/03/2016 07:54:33

Fin da ragazzo, come tutti quanti noi maschi, penso, avevo ben chiari certi espedienti ai quali si ricorreva per conquistare una ragazza, ingannandola. Che poi non mi è ancora chiaro se loro, le donne dico, amassero, oppure no, essere ingannate in certi modi. Per esempio quello dei soldi, o della bella macchina - oggi sarebbe magari un elicottero o la gran barca -, gioielli e quant'altro.
Bene, pur avendoli chiari questi abominevoli trucchi, decisi di non usarli nella maniera più assoluta. Non mi fu difficile. Intanto i soldi dei quali potevo disporre erano poche migliaia di lire, quelle che mi restavano andando col motorino a consegnare pizze e generi alimentari per conto di Pino il pizzicagnolo. Quella volta che invitavo una ragazza al cinema, poi restavo in bolletta.
La macchina, beh quella non l'avevo, anche se per la verità potevo disporre della mitica Ape Diesel del nonno di Gaetano, un super furgone a due posti che aveva pure la possibilità di chiudere con una tenda verde il cassone, sul quale ci stava comodo comodo, all'occorrenza, un bel materasso a molle. Ma io, fedele assertore che l'amore non vuole inganni, non ostentavo il lusso nel quale potevo navigare, e giravo per Napoli con un motorino che avevo trovato abbandonato giù al mercato.
Era uno splendore. Un Ciaino ultima generazione, di colore rosso fuoco. Lo avevo anche elaborato, con l'aiuto di Ciro il meccanico, soprannominato “pistone magico”, ed avevo montato un sellino in pelle per il passeggero, smontabile in caso di bisogno.
Per “truccarlo”: un cilindro da 65 centimetri cubici, una marmitta ad espansione, la mitica Simonini che aveva un suono argentino da orchestra filarmonica, un carburatore maggiorato, un 13/13 con relativo allargamento del tubo di aspirazione, ed il gioco era fatto; viaggiavo come un Pascià e mi bevevo pure le moto di grossa cilindrata, in ripresa. Chi è che partiva per primo ai semafori, secondo voi? Io! E nonostante la velocità supersonica da Ferrari su due ruote, non ero mai caduto, e non avevo fatto nemmeno un incidente.
Cosa c'è ancora? Ah, i gioielli; quelli li avevo, ma non potevo certo regalarli; erano solo due, e il mio povero nonno me lo diceva sempre: perdi tutto ma non i tuoi gioielli, ti serviranno nella vita. E quando passi davanti a un cimitero, oppure c'è un funerale, stringili bene, con rispetto parlando. Non si sa mai.
E' un'usanza del rione Sanità, continuava, e si dice che lo facesse pure Totò, anche se era un principe. Lui è nato a cento metri da casa nostra, lo sapevi, diceva orgoglioso?
Che bei ricordi ho del nonno, era un buon uomo, e anche spiritoso. No no, nonno, i gioielli li ho, e mi sono troppo cari, non preoccuparti. I tuoi consigli sono oro per me, me li tengo stretti.

Da buon napoletano calcolai che avevo bisogno di qualche espediente, diciamo che mi servivano dei succedanei che potessero gareggiare dignitosamente contro gli “status simbol” del momento, denaro e vestiti, automobili e gioielli.
Sì, c'era l'esempio di Gaetano che usava il potere magico dei suoi occhi, e funzionava, eccome, sicché anch'io mi ero esercitato ad impostare il mio sguardo per farlo diventare magnetico. Facevo allenamento davanti allo specchio del bagno, ma era rotto nel mezzo e la vista mi si incrociava. Smisi ben presto, dal momento che stavo diventando strabico.
Perché mi guardi così, dicevano le ragazze, cosa ti ho fatto che mi guardi storto? Meno male che dopo un paio di mesi tornai normale.
Mi sentivo perso, ed avevo già pensato di abbandonare la partita “amore”, rimandandola a tempi migliori, quando fossi arricchito, magari per la classica botta di culo.
Qualche freccia in faretra per diventare ricco l'avevo, per dire il vero: bella voce, da tenore, giocavo bene al calcio ed ero più alto di Maradona di almeno un paio di centimetri, sapevo recitare come comparsa, riuscivo a convincere la gente con la mia faccia d'angelo, insomma se qualcuno mi avesse assunto come commesso viaggiatore a percentuale, avrei sfondato certamente.
Ma in attesa di arricchire, cosa potevo fare nell'immediato?
Ad indicarmi la strada fu un articolo che lessi sul Corriere del Mezzogiorno, in terza pagina, un lunedì mattina che il mercato era deserto: Le donne di Gabriele D'Annunzio, questo il titolo molto accattivante.
Io fino allora non sapevo chi fosse questo Gabriele, ma quando lessi di tutte le donne che aveva avuto, capii che era quella la strada da seguire. Nell'aspetto mi sembrava anche meno bello di me: magrolino, con un pizzetto da capretta tibetana, pochi capelli, basso, anche se il portamento pareva quello dell'uomo di una certa stazza. E poi lo sguardo, niente di che: Gaetano se lo sarebbe mangiato in due bocconi. E allora, come avrà fatto, mi chiedevo. Forse le ipnotizzava.
Nemmeno il suo gioiello era gran che, lo si vedeva da una foto in bianco e nero pubblicata a corredo dell'articolo. In una cosa lo battevo certamente, era già un buon inizio.
Cominciai a leggere l'articolo avidamente, anzi me lo conservai come una reliquia dopo che capii quale era il suo grande potere: sapeva scrivere lettere d'amore e poesie come nessuno, almeno di quelli che conoscevo io a Napoli e che passavano per gran donnaioli.
In quell'articolo di giornale si parlava di una donazione al Vittoriale di Gardone Riviera, la villa che il Vate si era fatto costruire e nella quale scrisse più di cinquecento lettere d'amore.
Un certo Zanetti, mercante e mecenate con il pallino degli studi e della pittura, le aveva trovate sparse per il mondo e ne faceva dono a quello che ormai si poteva definire un Museo, a tutti gli effetti: il Vittoriale degli Italiani.
Sul giornale c'era pure la copia di una lettera, fra le tante, scritta di suo pugno da D'Annunzio. L'incerta calligrafia, degna di essere paragonata a quella di un medico, non mi impedì di fissare alcune frasi significative, che poi io ebbi modo di elaborare così come avevo elaborato il Ciao, nel tentativo di potenziare e personalizzare quelle lettere d'amore.
Eccone una, che diventò il mio cavallo di battaglia amorosa: “ Amica nemica, delizia delle delizie, tormentatrice di là da tutti i tormenti, alla fine dell'ultima lettera mi raffiguri la tua bocca, rossa più dell'inferno... Volevi baciarmi? Sapevi di bruciarmi? Piccola, mia piccola, sono stregato, sono attossicato. Non posso resistere fino a domani. Vorrei cadere nel baratro delle tue braccia, ora, non più tardi, svenire di gioia nella stanza del tuo incantesimo, precipizio di sensi per le mie brame.... Se non vuoi che tutto questo accada, fammi avere le tue ingiurie più sanguinose. Ma se hai il ricordo della pietà che una donna deve avere per un'anima innamorata come la mia, allora rispondimi con un semplice sì, e perdona la mia franchezza di volerti, ad ogni costo, come un fanciullo vuole la sua parte di tenero possesso, fosse anche un cioccolatino...”
A me quelle frasi sapevano tanto d'altri tempi, di esagerazione, di giri di parole atte a circuire la vittima facendole credere di essere pazzamente innamorato, cosa che non poteva essere visto che aveva avuto più di cento donne, questo Gabriele; quando tutti sapevano, per esempio, che mio nonno era stato solo con mia nonna, perché l'amava davvero.
Ma ormai avevo deciso di usare quell'espediente delle lettere d'amore, e ne scrissi parecchie copie, in bella calligrafia, usando la veccia penna di zio Carlo, l'unico della famiglie che aveva studiato. C'erano ancora i pennini e l'inchiostro nella sua stanza e, quando imparai ad usarli, scrissi lettere che il povero D'annunzio se le sognava, specialmente per la chiarezza della calligrafia.
Come andò a finire la storia, vorrete sapere. Male, e come doveva finire. Dopo le prime conquiste, che avevano contribuito a far sì che mi si attribuisse la fama di “femmenarùlo”, feci l'errore di mandare la stessa lettera anche ad una ragazza della quale mi ero innamorato, già impegnata con un bullletto del Rione, per altro. Era una copia delle altre, tale e quale, con qualche vezzo in più.
Quando mi incontrò per strada, Gaia, era questo il suo nome, apparve subito rabbuiata e seria, altro che gaia. Mi lanciò in faccia la lettera e mi disse, in malo modo:
« Pure attossicato sei... me lo avevano detto, girava già la voce... »
Fu così che smisi di fare il Vate, ricadendo nel limbo della solitudine. Ma io Gabriele D'Annunzio lo devo ugualmente ringraziare perché, anche se non ho avuto la possibilità di frequentare le scuole alte, mi sono appassionato alla poesia e alla narrativa e da quel giorno poeti e romanzieri sono diventati i miei idoli da imitare. E perché mai sarei su La Recherche, così non fosse?


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