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Ti ricordi di me?

di Alessandra Ponticelli Conti
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Pubblicato il 13/07/2019 15:19:47

E' magnifico il Béarn.

Specialmente quando il vento del sud, incrociando il foehn che soffia dai Pirenei, illumina di colpo il cielo trasformandolo in una cupola incredibilmente bella.

La prima volta che vidi l'uomo vestito di grigio fu d'estate.

Era luglio.

Apparve, all'improvviso, un lunedì, sopra l'alta muraglia che cinge il piccolo cimitero di Oloron Sainte-Marie dove, ogni anno, vado  a deporre un fiore sulla tomba di Jules.

A dire il vero, non ho mai incontrato Jules di persona. Ma, nella vita, fra le tante cose che accadono, può capitare perfino di voler bene a uno sconosciuto.

Vi è mai successo di amare uno scrittore soltanto per aver letto i suoi romanzi?

A me, sì.

E Jules era uno scrittore.

Mi chiesi, sbalordita, come avesse fatto a salire tanto in alto.

Mi guardai attorno: il minuscolo camposanto, ravvivato da una luce smagliante, era completamente deserto. I riflessi di un sole alto e lucido, che si riverberavano sulla pietra opaca delle vecchie tombe a stele, mi accecarono.

Una sensazione angosciosa mi pervase. Pareva che la morte, inquadrata da quell'esplosione dirompente di luce, mi si fosse parata davanti per parlarmi.

Incredula, mi domandai cosa stesse accadendo.

Ero, forse, impazzita?

Mentre disorientata mi concentravo su quella riflessione, il mio nome risuonò nel silenzio.

Alzai lo sguardo: immobile, l'uomo vestito di grigio mi stava chiamando.

"Chi sei?" Dissi.

"Dovresti saperlo" rispose, fissandomi con i suoi occhi scuri e sottili. "Hai, forse, dimenticato che l'amore per i libri è per sempre?".

Di colpo, un forte odore di carta inondò l'aria.

Mi chiesi, esterrefatta, da dove provenisse quel profumo e come facesse, quell'uomo, a conoscere il mio nome. Spaventata mi diressi, correndo, verso la viottola di ghiaia decisa a raggiungere l'uscita.

"Ti ricordi di me?" Tuonò, mentre con passo claudicante si spostava al centro del muro da dove svettava un'imponente croce in arenaria.

La sua voce cristallina si era trasformata, ora, in cupa e profonda.

Mi fermai.

"E' Jules che mi manda" aggiunse. "Sono Charles. Charles Delsol".

Charles Delsol? 

Intanto che il pensiero correva veloce all'indietro, nel tentativo di recuperare quel nome fra i tanti fantasmi del passato, un dubbio mi assalì.

Come poteva averlo mandato Jules, se Jules era morto il 17 maggio del 1960?

Un lampo illuminò la mia mente.

Adesso, sì. Adesso ricordavo.

Mentre una nuvola sottile e stratificata transitava verso ovest, mi rammentai di lui, dello "zoppo del cielo", di quell'affascinante personaggio di Jules il quale, scoprendosi morto, cerca fra le tante ombre che popolano il cielo, lei, Marguerite, l'unico amore della sua vita.

"Ben arrivata!" Esclamò. "Non disperare" aggiunse. "Io, Marguerite, l'ho ritrovata. Guarda! E' ancora seduta, al suo posto, di fronte a me, nella biblioteca della Sorbonne dove la vidi la prima volta. Vuoi ritrovare anche tu coloro che hai amato? Allora, cerca. Cerca, dentro quella nuvola".

La nube, che nel frattempo si era ingigantita, conteneva tutta la mia vita.

Fu soltanto allora che capii di essere morta.

Come nel racconto di Jules Supervielle, anch'io, come Charles Delsol, lo zoppo del cielo, non sapevo quando né come fosse successo.

Forse era accaduto d'estate.

Forse in una di quelle caldissime notti di luglio nelle quali, seduta sulla mia poltrona, mi addormentavo con un libro in mano.    

   


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