Claude Monet - Mattina sulla Senna, nebbia - 1897
Per carità niente resurrezioni -
un endecasillabo è più onesto,
oggi che non so più dell’altro ieri.
E sì ogni tanto butto giù una riga
quando con l’acquerello non pasticcio.
Non dico che non Dio o che comunque
non altri più adeguati soprannomi
per quel mistero grande che agli inglesi
suona con “awe” e ai continentali
fa dire altro in onomatopee
che sembrano un lungo cinguettio.
Ma torna quell’Osiride smembrato
nelle più cave buche della mente -
così a Gesù viene tradito il passo
tradotto come lento scivolare
sulle acque - quando prestigiatore
fa venir fuori un altro dalla tomba
solo per poi più in là farlo morire.
Silentium! mi direbbero gli antichi
che bene sanno i piani di lettura -
almeno tre, o sette, per andare
giù in fondo o tanto in alto da toccare
quel dolce Ayin che ancora non vediamo -
o forse sì, qualcuno sa ma non può dire
se è personale lo sperimentare
e di ciò che non sai non puoi parlare.
Ma no per carità non ne parliamo -
se nascere si accoppia col morire
quando un amico muore è nel silenzio
che le parole vanno ad abitare.
Che altro sai o puoi sapere - taci,
sperando molto oltre lo sperare -
no, non quel misero credendo fatto
di gesti ripetuti e rituali
che pur essendo nobili non bastano
se tu non senti fino in fondo quello
che squarcia come un fulmine di luce
la scorza del tuo tronco inaridita.
Taci, sperando oltre lo sperare.
Ho le mie serie Netflix, se di sera
mi prende struggimento e al mio caro
dico la buonanotte lentamente -
come una pena di sentirci vivi -
sperando che domani dal caffè
ci nasca nuovo aroma del presente -
e i nostri andati prendano la mano
a chi si era appena allontanato.
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