Scrivo cose che non richiedono
partecipazione e non partecipano
ad alcunché, quindi non sono competenti.
Il sillogismo non spiega il termine,
il legno che si accetta è scelto per l’uso,
ogni termine è un buon inizio.
Le parole sono volatili, migratori
soprattutto se le vedi in formazione.
Vanno da un continente ad un altro
che può contenerle. Siamo anche nidi.
Nudi fino a coniugare ascolto a ripetizione.
Con niente vinco la mia sete
ma perdo la misura quando verso.
Per questo indico i taralli: da tempo
conservo i buchi come fatti e li utilizzo
circondandoli di parole che finiscono
tra i denti, masticate a ripetizione.
Uso una lingua a pettine, un parcheggio
da cazzeggio: le papille di dubbio gusto,
la cultura al dente. Bollito, io penso.
Parole come impasto spesso grasso
o scarno per la consuetudine dell’agio
da concedere nell’esposizione, alla luce
dell’avventore. Vento che scuote il senno
per scoprire se contiene il seno.
Contornati i buchi sono vocali
negli abbracci consonanti e la stretta,
la bocca, li forma a ragione.
Fa testo quanto manca.
A Mimì e Cribi, con devozione.
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