Quest’oggi vi scrivo dai lavori forzati,
forzato tra impiegati odiosi,
clienti incazzati,
molti superiori tranne uno, di certo,
inferiori per stazza o passione,
tendenzialmente tutti sprovvisti
dell’idea lapalissiana che nella vita,
nella nostra nelle loro, è, il più delle volte, impossibile
grattar via con un dito la patina opaca che ricopre
e annerisce i desideri.
L’Arlecchino servo di più padroni
che sempre sonnecchia nelle anime degli impiegati tristi
in me non si sente schiavo,
ma canta, e danza
nell’attesa di insidiare donne più giovani
o di occupare gabbie ancor meno spaziose.
[Androgini, 2008]
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