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Giornata Mondiale della Poesia | 21 marzo

La Poesia, i Poeti

#poesiapoeti

In occasione della "Giornata Mondiale della Poesia" raccogliamo in un'unica pagina (questa), in tempo reale, i contributi di tutti gli autori sul tema indicativo "La Poesia, i Poeti"; basterà inserire nel titolo dei componimenti, pubblicati nelle diverse sezioni de LaRecherche.it, l'hashtag: #poesiapoeti (esempio, se il titolo scelto per il testo è La primavera, allora si dovrà scrivere: La primavera #poesiapoeti).

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 Poesia [Δ]

La voce
(22/03/2021 22:12:36) »

Gaetano Lo Castro

*

Tutto comincia una strana mattina.

Termina il sonno sentendo chiamare,

con voce dolce, lontana e vicina,

il mio nome come gli echi a mare.

 

Mi alzo, guardo dappertutto: nessuno.

Era sogno, penso, o ora sono pazzo?

Nel bagno il mio capo in acqua tuffo.

Mi vesto e esco di casa come razzo.

 

Tutto continua così sino a sera,

con 'sta voce che chiama sempre me.

"Chi sei? Cosa vuoi?" chiedo pieno d'ira.

 

"Non si sfugge al destin, qualunque è.

E' legge già da quando il mondo gira.

Son la Poesia, e ora voglio te."

 

A -
(21/03/2021 17:46:17) »

Gil

*


Cosi siamo all'ombra di uno spazio vissuti
così nutriti di forme e di parole
così di luci amare che ci svelarono sole
anime all'impresa con il vuoto, disperanti
canti di tamburi a morte. A sorte
venne tirato il nostro destino, corte
braccia per annaspare il vuoto. Moto
di rabbia e di dolore ti rubò le mani,
il tempo consumò in fretta il piacere,
un eros mite che non salvò il domani.

Detto, scritto, danzato
(21/03/2021 17:43:12) »

Rita Stanzione

*



Come se il poeta fosse le sue liriche


la voce nella stanza, sola
si contrae, contorce panneggi
e le finestre slittano da altre finestre

si separa ciò che era unito
e si vive daccapo, si ri- respira il ritmo
-sono io che muovo i fili al pathos
e giro in tondo ai muri
non più perimetri

a un certo punto ci leviamo
vibrato ed arco
quanto più deciso è il vento
che strane cose porta
nell’altalena della persistenza

 

 

Alla Poesia (madre mia) - 21 Marzo 2021 -
(21/03/2021 10:14:43) »

Gil

*


Mi hai dato la fame tra i cancelli,
i salti alle ringhiere, gli amici
spericolati oltre il gioco, i chiodi grandi
- i punteruoli - da conficcare a terra
tra le piante, nelle piccole aiuole ad ornamento.

Ho mendicato la grazia della tua parola
quando m'apparivi già in lontanza
una possibilità di spiegazione o il pane e l'acqua
di quelle grandi fame e sete
che mi divoravano di dentro. Ti ho tirata
per la veste, ti ho spogliata dei tuoi ornamenti
ti ho resa nuda ai miei occhi fino all'essenziale

ho scelto i tuoi capezzoli a mia dimora
scalzo così com'ero mendicai e ancora mèndico
la tua maternità ed io ti porto in dono
il fardello di un'informe figlitudine.




La storia di una Vita
(03/01/2021 17:04:49) »

Emanuela Lazzaro

*

Un bimbo inginocchiato davanti al fuoco,
resta un po’ in ascolto
della madre che legge piano al tavolo:
C’era una volta, no,
c’è ancora, la vita che cresce in una storia,
è la storia di un fuoco d’amore,
in cui l’amore unisce due vite:
a loro un dì, una voce diede la sua luce,
perché iniziasse la Storia scritta dall’uomo.

Il bimbo ora si è addormentato,
sul grembo della madre che l’ha cullato
con la storia della sua vita,
dove al tempo spesso ha sorriso,
con gli occhi, anche tra le difficoltà,
poiché l’amore è come il moto di un fiore,
nasce, prospera e poi muore
ma non s’arresta mai nel suo divenire,
prima di dare un nome a ciò che chiamano Dio.

Acattolico Requiem
(21/03/2020 19:47:47) »

Gil

*


Tornerò a trovarli: Dario, Amelia, Gregory
e gli altri di cui ignoro lì
il loro stare, immobili attese.

Camminerò ancora tra le loro tombe,
leggerò le date, le frasi, guarderò i marmi
pietre di memoria;

perché non muoiono i poeti,
sono ali sospese nell'aria,
incerte se andare o restare.

L’alba sul golfo di Trieste
(19/09/2019 09:55:51) »

Emanuela Lazzaro

*

Quando odo scivolare tra le onde

i sospiri del tempo

e gli informi giochi

di luce a cadere dal cielo,

io chiudo i miei occhi

e sono vacui di inverno,

gli infiniti istanti

carezzati dal gelido vento.

Sul golfo si posa un po' l'anima

e, infine oltre lo sguardo,

stende le sue dita cangianti

una candida pittrice

che il buio non strema.

Orsù, non muore più la mente

sol perché un’ombra si perde.

E tra i mille sussurri del mare,

fluttuano diversi colori

poiché si veste di quiete

un'emozione che più non offende.

Gli occhi del poeta
(22/03/2019 16:56:50) »

Quin

*

GLI OCCHI DEL POETA

 

Li avete mai guardati negli occhi i poeti?

Non dico quelli veri e "laureati"

I raffinati e virtuosi esteti

Che in versi abilmente cesellati

Trascrivono emozioni imperiture

Tradotte in arabeschi delicati,

 

Né dico, è ovvio, le mie rime impure

Per cui non ho che una modesta stima:

Io sono solo uno che "ci prova"

Mischiando narcisismo e umiltà

E per mancanza di capacità,

Svanisce e lascia lì il vuoto di prima

In cui qualcuno a volte si ritrova.

 

Invece lui li ha umidi e svagati

Gli occhi, dico, e non vedono niente

A tratti fissi al vuoto a tratti al cielo

Come smarriti o coperti da un velo

Solo di rado allegri e illuminati

Se d’un tratto la piega discendente

Delle labbra si alza in un sorriso

Contagioso e presto condiviso

Cui sempre resta un fondo un po’ dolente.

 

Gli oscilla il capo dietro alle parole

Che viaggiano nell’aria come in volo

Ci sono solo quelle e per lui solo:

un uomo solo con le sue parole

 

Però quello che dice lascia un segno

Sei lì e ti chiedi se non sia follia

Quel canto altrui che ti porta via

Come fa un’onda col pezzo di legno

 

Ora mi chiedo: è un servo o un padrone

E ciò che canta è suo o è del mondo

E lui subisce solo e non si oppone

O fruga l’universo fino al fondo

 

Dicendo l’io, la vita e anche l’altro,

Che con la morte il cerchio richiude

Con quelle sue poche parole nude

Che sembrano parlare di tutt’altro?

 

Ma poi li chiude gli occhi ed è soltanto

Un cristo appeso alla sua strana croce

E al silenzio appartiene il suo canto

Come al silenzio torna la sua voce.

                       QuinMar18 (a P.S., grato)

 

Quest’opera cortissima
(22/03/2019 11:26:07) »

Rita Stanzione

*

 

 

Non pensare, quest’opera

cortissima

è nata per sbaglio

La primavera stava nelle bocche chiuse

un punto solo era specchio

della luce fuggita dal sonno

orefice del sorriso

che cruda e confusa ritagliavo

dal paesaggio che Pegaso

aveva tenuto per sé

 

 

 

 

La testa di Ennio
(22/03/2019 09:37:13) »

Gian Piero Stefanoni

*

Certo non il nome ma la postura
nell'affanno di dei- e re- a cui più non credi.

E forse hai smarrito anche l'epigrafe
nel culto senza sorriso della forma,
l'esametro- le tre anime- non cantando più uomini,
Scipione sepolto accanto a te sulla via Appia.

Rinascita
(21/03/2019 21:24:18) »

Giulia Bellucci

*

Indecifrabile è giunto quell’alito

possente e consueto

e così ti ho visto rinascere

sui rami quiescenti

che avevo ormai creduto aridi 

nei giorni d’inverno.

 

Hai ricoperto del tuo respiro 

le zolle nude dei campi arati 

che t’attendevano da tempo. 

Ora le feconda lieve 

la pioggerella di Marzo

e tutto rifiorirà intorno.

 

Avremo giornate più lunghe 

per sbirciare l’azzurro

oltre il grigio

che attanaglia ancora il petto

e si dissolverà al nuovo tepore.

 

Erano lunghe le primavere 

da bambina 

ma ora incalzano veloci 

inseguendo l’orizzonte 

verso il crepuscolo

e additando da lontano 

la nuova vita che attende.

 

Onde primaverili
(21/03/2019 20:31:54) »

Franca Colozzo

*

                       Onde primaverili#poesiapoeti

 

 L'immagine può contenere: oceano, cielo, spiaggia, spazio all'aperto, natura e acqua

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                    Ras Al Khaimah (Emirati Arabi Uniti)

 

 

Oscilla il suono com'in conchiglia,

echeggia d'onde.

 

Parla greve il silenzio con voce d'ombre, 

da lontane sponde.

 

Raschia le tenebre sommesso fragore,

oltre cosmica luce.

 

Galoppano idee, selvaggi marosi,

ancora in nuce.

 

S’incamminano pensieri numerosi,

erranti in ogni dove.

 

Arido profumo porta con sé il vento,

aspro di sale.

 

Si frange il mare in un glauco lamento

di tenue schiuma.

 

Sento nell'aria un tono in crescendo

di primaverile fioritura.

 

 

              *

 

 

    SPRING WAVES

 

Rocks the sound as in a shell,
echoes of waves.

 

Silence speaks heavy with a voice of shadows,
from distant shores.

 

Scrapes the darkness subdued roar,
beyond cosmic light.

 

Gallop ideas, wild waves,
still in embryo.

 

My thoughts are moving,
wandering everywhere.

 

Arid scent brings with it the wind,
sour with salt.

 

The sea is fringed in glaucous tear
of soft foam.

 

I feel a growing up in the air
of spring flowering.

 

Free translation by Franca Colozzo

Ad Angela Ferrara nel suo 32’ compleanno
(21/03/2019 20:02:04) »

Marco G. Maggi

*

Un passaggio fugace. appena percettibile,

solo un altro contatto sui social
che mi chiedeva di votare una poesia
quasi con l’insistenza di chi sa
di avere ancora poco tempo e che
i trentadue anni d’età sono una chimera.

 

Mi spiace lontana e sconosciuta amica
di non avere letto più cose di te
magari di approfondire un’amicizia vera
ho rivisto per l’ultima volta la tua foto sui TG:
non ci credevo ma eri proprio tu
nelle pagine più buie della cronaca nera.

 

Così scopro che oggi è il tuo compleanno
un compleanno che passa senza di te
il primo giorno di primavera
tuo figlio non avrà sua madre accanto
trucidata da un marito, un padre,
-un uomo proprio come me-
e la vergogna si trasforma in pianto.

 

Apri il guscio #
(21/03/2019 18:50:08) »

Guido Balbo

*

 

Amo la poesia

le sue gocce di rugiada

passi al sole e scivoloni

 

d'arrampicate sugli specchi

il sapore delle perle, luminarie

di armonie leggere

dal senno avvolte o da leggenda

d'irrituali o suoni dolci

succo del Poeta

 

perché cattura l'attenzione

ma non trattiene

da semplice partenza

per vacanza rinfrancante

stacca la spina al libero sfogo

svincolando da tentazione

d'esagerare, poi ...

 

apro il guscio

e gusto il gheriglio.

 

Lettera Tenera
(21/03/2019 07:13:13) »

Gil

*

                                                                                                 

                                                                                                      a Passerottina

 

Verrai all'alba, con un nome nuovo,
sarai della luce il nuovo nome, sarai
il canto dei germogli ed il colore degli uccelli;

mi sarai cielo al risveglio da un sogno,
dove il mio respiro erano le tue labbra
che mi sussurravano l'amore. Così

ho imparato a dare un nome agli alberi
quando torna in me la primavera

 

 

 

Discorso sui massimi sistemi
(21/03/2019 00:17:33) »

Adielle

*

 

 

Di come la vita continui, di questo scrigno lacustre, dirò

la superficie sottile, l'incresparsi delle onde,

riflessi vermigli di cui può ardere la sera in timide gote

se le acque rosee sanno fondersi con un sentire arboreo di fronde

ed il mio sguardo sarà tanto vicino e tanto distante

da non essere altro che un commento a latere:

qui riposo conversando, tra salici.

Il poeta
(27/02/2019 15:12:01) »

Quin

*

IL POETA

 

Cosa cerca il poeta in quel che suole

Senza mai crederci chiamar poesia?

In una forma forse di follia

Di costruirsi un fallo di parole.

 

                               QuinZanziago14

 

Il poeta e la donna
(21/02/2019 14:19:05) »

Quin

*

Quando un poeta, di qualsiasi età,

Volto, voce, comunque un poeta

Vede una donna non è un’ora lieta

Perché lui lo sa che non è lei quella

Neppure veramente così bella

Da così tanto e per sempre smarrita

E in verità mai realmente esistita.

 

Ma sa che neanche questa incontrerà.

 

Sa pure che se uno sconvolgimento

Di ogni ordine dell’universo

Permettesse un accadere diverso

E un nuovo inusitato momento

Lì, in quell’istante, in quella via

Lo cogliesse infine impreparato

Sarebbe la morte di ciò che è stato.

O l’inizio di una nuova poesia.

                                             Qnov14

 

Quando le madri cantavano
(23/02/2018 18:39:11) »

Edi Davoli

*

Neve, voleva essere                       

sotto i piedi, soffice

con lo scricchiolio nel pressarla con le mani. 

Era un rito, riempirne il bicchiere fino all'orlo

con la saba. 

Il freddo e la dolcezza nella gola

insieme, il brivido che avvolge. 

 

Ricordi quegli inverni? 

Le bucce d'arancia sulla stufa

i geloni doloranti e le braci dentro il letto. 

Ci infilavamo sotto

come il pane

da infornare. 

 

Ancora gelo e calore, un matrimonio. 

I contrasti che si spingono nel cuore. 

 

Sono i fossi che creano i confini

le siepi, i cancelli e le bandiere

Ma il manto della neve li ricopre, 

Quanto l'ala della chioccia

accoglie  i suoi pulcini. 

 

Lo sai che ho spazzato via, le foglie

Ormai, non so più, da quanto tempo. 

Ho fatto il bucato anche alla luna

perché tutto sia puro e risplendente 

Perché il biancore illumini i tuoi occhi

Perché siano ripulite le tue pene. 

 

 Come un passero che lascia nella

                             Neve

 Le   impronte delle zampe e non del becco

 Perché non trova mai

                               un altro seme.                                            

 

                                                                                                                              A mia madre

Il canto dell’anima di Kahil Gibran videopoesia
(22/03/2017 10:13:53) »

Klara Rubino

*

 

 

L’arcobaleno
(21/03/2017 23:12:32) »

Rayuela

*

 

 

Esplode il verde
Tra il colibrì e un ramo
l'arcobaleno

 

 

Com’è accaduto
(21/03/2017 16:59:05) »

Loredana Savelli

*

 

È accaduto per strada:

ha trovato il riflesso di un fiore,

ha pensato che fosse un regalo

e lo ha preso.

 

 

l’esercizio della scrittura (a mano libera)#
(21/03/2017 14:54:22) »

Viganò Massimo

*

 

disegno quando scrivo e viceversa

(io) traccio e lascio traccia (fragile

persa)            quando scrivo (di)segno

(e non scrivo) le parole ossi(a)

la lingua stessa che le segna

che (ri)vela le fattezze ed i sensi

ne (di)svela il volto insonne

scrivo e (dunque) come in sogno parlo

              è senso (questo) e segno

di volontà intermittente      lascio

allora (se interrogato) in buon italiano

al disegno lascio alle linee

il compito di svelare le (s)torture

e gli oscuri percorsi

   le linee segrete che sappiamo esistere

   ma non percorreremo

         con ostinazione

e la forma della lingua

la voragine della gola che inghiotte

emergendone l’intenzione

e la forza        e direzione

                       (i sensi) le parole

che a piacere prendono e danno vita

                                      (con)dannando il mondo intero

 

                                      o lo redimano ovvero ne restituiscano

                                      almeno voce

Mentre la luce attraversa le tende
(21/03/2017 10:10:06) »

Klara Rubino

*

 

Vino versato

Velluto rosso

Papavero al tramonto

 

Fiore di pesco al mattino

Lo scoppio di una risata

La rilassante scia di una remata armoniosa

 

La pioggia di notte batte sulla tenda da campeggio

Pietruzze schizzano dalle ruote della bicicletta

E una farfallina bianca circumnaviga l'aria.

 

Sei anima questo

Riflesso sullo specchio antico                 

Mentre la luce attraversa le tende.

 

Poiein- costruire
(21/03/2017 09:43:17) »

Gian Piero Stefanoni

*

L'impostura è nel gesto ripetuto, nel campo uguale a se stesso.

Non ha offerte né adolescenza
la storia nella logica del volto unico.

Poi una sera, chiuse le imposte,
il verso greco lo rivelò:
la stanza è al centro,
la candela spenta, il mondo
ancora lirico nella misura del senso.

Passata è la notte che attendevi.


Primo vere
(21/03/2017 09:38:30) »

Franca Colozzo

*

Primo vere #poesiapoeti »
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Abitammo
(21/03/2016 16:48:58) »

Gian Piero Stefanoni

*



Abitammo.
Dove ventricoli risucchiano città
e lambiscono suoni le fitte coltri di vetri.

Ed accanto il mare dei morti,
il risveglio dell'onda che fu per noi martirio.
Richiamo di voci nascoste, riverbero e parole.

Abitammo, ed il verso fu per noi sostanza.

La Poesia è una rima facile
(21/03/2016 11:50:29) »

Lorena Turri

*

 

 

 

Chiamala voglia d'amore

quella che colma lo spazio

tra l'anima e il cuore.

Il dono fatato della sorte
(24/03/2014 18:59:48) »

Danilo Manocchio

*

La poesia mi gronda dalle mani

con un forza davvero travolgente

alle volte le dico ripassa domani

ma lei resta impressa nella mente...

come posso coi versi campare

benché il dono fatato della sorte

nessun editore vuole stampare

liriche d’anime fra pagine risorte...

solitario penetrando pazze rime

lo spirito diviso dal corpo spazia

però se ogni istante si sopprime

a chi interessa uno stato di grazia...

aspetto che il sogno s’espanda

siccome non sembro ossia sono

viaggio su una vetusta panda

vecchia di quindici anni or sono...

migliori amici un cane e un gatto

insieme a loro gioco all’esistenza

ho già dichiarato d’essere matto

colmo d’un’eterna controtendenza...

vorrei conoscere qualche lettore

dietro le lenti il senso del tragico

magari percepisce nello scrittore

andando oltre soltanto il magico...

ad una giuria d’angeli sottopongo

il mio tracciato poetico particolare

perché col mio sangue compongo

favole quindi ali per poter volare...

talvolta travolge la penna pudica

chiazze d’innominabile vergogna

poi stillando il significato dedica

a ciascun uomo che ancora sogna...

Come un respiro ...
(22/03/2014 17:37:11) »

Giorgio Mancinelli

*

Come un respiro …
l’alito di vento che viene a derubarmi delle mie foglie gialle,
le ultime rimaste d’un inverno senza colori che ha cancellato i miti e i riti d’una primavera che stento a riconoscere mia.
E non posso farci niente lascio che mi derubi,
anzi voglio che mi frodi che mi strazi l’anima quello strapparmi dai rami
e gettarmi a terra nel fango dentro i fossi negli acquitrini d’una volontà non mia.
Così come quel sospingermi in mezzo all’altrui gente,
amata eppur biasimata così prossima al vortice della doppiezza che al dunque non ci rende migliori da ciò che siamo.
Esseri divelti dalle radici eppure conficcati nella nuda terra che ci accoglie,
per questo fragili come foglie separate dai rami dell’esistenza eppur unite nel rancore e portate via dal semplice vibrare delle nostre vite …

E mi manca il respiro …
quando vorrei gridare contro ogni cosa contro ogni essere vivente contro …,
ma la voce si disperde nell’aere della primavera che avanza che mi rinfranca
e suggerisce che d’ogni dolore d’ogni stoltezza infine il ‘tempo’ avrà ragione.
Delle foglie cadute sferzate strappate rubate,
come dei sospiri portati via dal vento dentro quella verità ‘altra’ che non ci
appartiene e che pure ci consola.
Ed è nell’accogliere l’afflato il respiro profondo del mondo,
che ci ritroveremo figli spuri del ‘tempo’ che un giorno fummo foglie
esili fragili vibratili in cerca di un domani.
Allora sarà l’abbraccio dell’Eterno ad accoglierci,
nella primavera dei giorni che siamo stati miriade di polvere plumbea e dorata
che nella ‘vita’ ha rivestito gli elmi e l’armi degli eroi.

Sosta a lungo
(22/03/2014 14:59:37) »

Lucianna Argentino

*

Sosta a lungo nel farsi luogo della parola.
Impara ad accendere fuochi che ripetano sula terra il volto delle stelle,
un loro tratto almeno,
e siano di ristoro allo sforzo di perdurare che ogni cosa ed essere compie.
Insegna al pensiero l’uso domestico e quotidiano del silenzio,
il suo mutare di sostanza attraverso la liquida sonorità dell’inchiostro.

Ars poetica
(21/03/2014 21:54:38) »

Domenico Alvino

*

Un fiato solleva qua e là soffiando

di sotto opaco un mantello, i rialzi

brillanti barlumi svegliando

nella celeste tenebra. Vi rispondono

dalle vie del tempo e

del mondo

voci antiche

vestite a nuovo o con i panni

loro tali che sembri

esserci passata sopra la luna

di stasera, con quel grido

di gufo che ci spaventava

tu scappando dall'albero

e io ridendo invece

dello spavento tuo e mio.

E comunque sia la notte

cambia le sue lingue

la luce non la capisce

se fuggendo il gufo è restata

esente dai barlumi

e tuttavia è diverso il tempo

ha preso odore acuto

di messaggerie cosmiche

e più non tollera pretestuose

bassure o rintanate piccolezze

né più ammette giaciture oziose

o abbandoni alle tombe

se non sono anch'esse tòcche

dal vento astrale

che s'è levato dalle parole

maledetto

maledetto sia.

 

                                          Roma, 4 - 6 - 2003

In Morte di Jan palach
(21/03/2014 20:17:39) »

Teresa Nastri

*

 

I

 

Arde il fuoco suicida,

il vento dell'est strappa

scintille al tuo corpo

nell'alba attonita

sospesa sulla piazza

di San Venceslao

Brucia il vólto quasi fanciullo

il cuore che altre fiamme

scaldavano ancora ier l’altro,

e il mondo si divide in fazioni

ignare del pianto di chi ebbe cara

la tua giovinezza

Fu l’atto di un folle

dicon taluni,

per altri il nobile olocausto

ad una causa eterna

 

II

 

Che sollevi il tuo gesto

un brivido d’orrore

e poi si spenga il mito

nell’incalzare rapido dei secoli,

o che fermenti esso risvegli

più profondi e tenaci,    

chi ridarà la vita

al tuo sorriso spento,

chi pagherà per le gioie

i dolori le speranze

gli amori cui ti sottrasse

l’immatura fine?

In tua memoria, Jan Palach,

piango il dolore dei vinti

che l’amara slealtà degli eventi

spinge a fughe senza più ritorni

 

 III

 

All'esule tuo spirto s’apra

un sicuro asilo

in un paradiso ove non giunga

dell’umano incenso

né di calunnia l’eco…

 

e dove l'Angelo delle Utopie

tesse paziente

e riannoda fili recisi

 

  

(scritta nel 1968, il giorno stesso del sacrificio di Jan Palach - Ricostruita sulle tracce della memoria nel 2007. Pubblicata nell'enciclopedia "La Poesia, L'Uomo, La Città" della Book Editore - coll. Minerva - nel Novembre 2009)

 

Ricordi la bellezza di colui
(21/03/2014 20:15:29) »

*

 

 

Ricordi la bellezza di colui

 

Ricordi la bellezza di colui

che ricercava rose negli abissi –

dimenticando il tempo della caccia

gustava un denso miele di corolle?

 

Se ne andò a quel parco per riposare

lontano io lo portai con frullo d’ali

e pensoso nell’angolo fiorito

ad ascoltare la profonda quiete…

 

Ma il cigno ha ormai lasciato i giochi d’acqua

e dalle pietre al muschio di quell’isola

ha abbandonato il suo collo flessuoso

alle carezze di mani infantili.

 

 

 

 

 

 

Paolo Melandri

21 marzo 2014

 

 

il dono
(21/03/2014 19:25:44) »

Carla de Falco

*

e quando i poeti ancora avevano 
la forza della tigre nell’atto della caccia
con il soffio della speranza tra le vele
abbagliavano di luce l’orizzonte.
le parole erano rivoli d’eterno.

oggi nulla di questo è più possibile:
resta la gloria di un sorriso compatente
e la verità della poesia fatta di istanti.

sarà di poco conto, ma è il mio dono. 

 

Da la voce delle cose, Carla de Falco, Copyright Montag edizioni, 2013 

Per miracolo
(21/03/2014 16:25:00) »

Giusy Frisina

*

 

 

Per  miracolo

 

Avere guance umide e nebbiose

E capelli d’alghe azzurre

Gocciolanti di mare

O anche solo

Immergermi  per cent’anni

Nel mio vaso di miele

Per distillare l’anima lunare

Rimasta conficcata nei ghiacciai eterni

Ritrovare nelle vene dei  legni memori

Il varco disegnato da una ferita nascosta

Dal tarlo misterioso  della poesia

 

da "Il canto del desiderio"(Edarc edizioni,2013)

 

 

 

 

 

 

 

 

C’è una luna splendida in cielo!
(21/03/2014 15:57:36) »

Federico Caruso

*


C'è una luna splendida in cielo!

Manchi solo te amore mio

nella camera...

Ora proverò a cercarti fuori

nel firmamento,e poi nei sogni...

Sono troppo stanco stasera,ma

l'amore nasce dall'inazione, e

presto io e te ci ritrovermo.

F.C

POESIE
(21/03/2014 15:08:33) »

Maurizio Sciascia

*

Poesie

Ognuna

Eterna

Se

Intimamente

Amata

Noi
(21/03/2014 14:30:47) »

Daniela Jaber

*

Lenta una goccia di pioggia

scavando una rosa

mi penetra il cuore.

Annoiata, sperduta,

stanca di noi,

ti guardo allo specchio.

Forse domani sara'primavera.

Tu

sarai ancora

qui,

con me?

Poiesis
(21/03/2014 12:20:35) »

Fiammetta Lucattini

*

Niente celebrazioni

solo per oggi.

Ogni notte sostieni

i miei tristi sonni

fino ad un risveglio

malinconicamente fedele.

E lungo il giorno

ti distendi su di me

come un'amante

appassionata.

Nella sua Vita

sei la mia vita

e se non torni

a visitarmi, o pietosa,

è buio fitto.

forma del levare
(21/03/2014 12:09:44) »

Cristiana Fischer

*

 

non posso parlare con te

sei troppo grande tu

parliamo tra noi con i nomi possibili

si fa eco e lode

 

il signore lontano

non solo parole

d'amore ma aspra materia

mi incalza fragile

di essenza eterna

a modulare

 

inseguo l'accento dove tu

l'intento: è sempre forma

del levare

sul rumore

Primavera
(21/03/2014 12:07:05) »

Maria Teresa Schiavino

*

In questi

giorni di marzo, che la vita

sembra improvvisamente farsi nuova, 

misteriosa agli sguardi e alle parole

 - come non avere mai prima bevuto 

a occhi chiusi il calore del mattino, come non avere mai prima toccato

lungo le oscure vie dei rami

il rapido avanzare di una gemma,

mai prima di adesso

eppure quante volte, prima... - 

In questi

giorni febbrili si fa incerto

il confine fra vita e desiderio,

si aprono nuove

crepe nei muri, vecchie piaghe. 

E come la luce dilata l'orizzonte,

lo mostra vasto e chiaro, 

a nessun vento opponiamo resistenza, 

ogni nave ci mostra nuovi porti.

 

 

Osare
(21/03/2014 11:04:52) »

Roberta Sangriso

*

Osare è avere l’ardire

di scrivere poesia, malgrado

le voci intorno a me

protestino, mute.

Ritmo e pianto

in poesia si elevano

privi di voce

dall’abisso delle emozioni

e stregati invitano la mano

ad andare, scrivere è avanzare

come un funambolo

che sulla fune si destreggia.

Gravoso

è l’equilibrio del linguaggio

la vertigine di un punto

o di una virgola, incerti

sopra l’altezza dei propri sogni.

Treccia delle betulle in fiore
(21/03/2014 09:29:59) »

Paolo Ottaviani

*

Treccia delle betulle in fiore #poesiapoeti

 

 

 

Dormono calde nuvole nei boschi di betulle

dove il cielo s’impiglia tra i pini e le fanciulle,

liete come le nuvole, vanno nella fanghiglia:

il sole silenzioso guarda calmo e festoso.

 

Sembrano volar via su pattini d’argento

leggere e variopinte bambine controvento:

è l’acre profezia delle braci indistinte,

accese nell’assenzio, poi spente nel silenzio.

 

S’accorda alla terra

come inquieto velo

il cielo, poi sferra

sulla terra il gelo.

 

La foresta dispiega la potenza del verde,

una luce s’incarna tra umidi rami, perde

forza il vento. Si piega sulla rossiccia marna

un giovane alberello. Vola raso un uccello…

 

poi s’alza e sfiora il bianco delle betulle in fiore:

è il cerchio che ripete la gioia del colore.

Com’è ferita al fianco la grazia dell’abete!

Un umile lacerto sanguina a cielo aperto.

 

La linea bella

del bosco e del mare

con viva favella

muove a poetare.

 

La placenta della vita #p
(21/03/2014 06:55:20) »

Enzo Rega

*

a mia madre Chiara, in memoria

 

Dal tuo grembo alla luce della vita

                                   (come si dice)

venimmo

per accompagnarti - ieri

fino al grembo oscuro dell'altrove

 

intanto

(nella parentesi del tempo)

insieme

viaggiammo nella placenta della vita

- prima tu tenesti noi per mano

poi la tua mano smagrita stringemmo nelle nostre 

e nel grembo dei

                       nostri occhi

                                        deponesti

i tuoi sorrisi ritornati bambini

                                       madre

 

 

AccesaRealtàTestimoneEccelsa.
(21/03/2014 01:35:52) »

Fortuna Maiolini

*

Così ti ho dato un nome.

Oggi.

Ti chiamo, Poesia. E mi innamoro di te.

Il Silenzio cel'ha fatta. T'ha partorita, distrattamente poi

T'ha presentata.

Mi cimentavo Sulla Morte [...]

E promuovevo sigle di cari saluti 

Allegati.

   <<Il Titolo ogni tanto lo devi mettere in mezzo. Tirarlo giù prima

        che diventi causale,

        custodirlo nel grembo della Festa Privata

        come un invitato a caso>>.

Non c'è stato da ritrarti, da prenderti a punti.

Niente c'era,

Fuorché ogni istante che si è consumato.

Niente è stato.

Solo che nell'Impossibilità oggi Niente fa magicamente differenza.

Così ti ho dato un nome. Oggi

Provvisorio,

Sprovvisto di ogni proprietà.

   <<Gentile è suo padre

        quando mi fa credito dei segreti più violenti.

        Sembra si accosti alla Vita durante le notti,

        soprattutto di recente>>.

 

 

 

Poeta
(21/03/2014 00:40:09) »

Emanuele Di Marco

*

Inutile, inattuale
verga versi
per un mondo
che ha smesso di
chiederne da un
pezzo.
Osceno saltimbanco,
continua a riempire
cassetti, virtuali e non,
di fogli, appunti,
pensieri che nessuno,
nessuno vuole leggere.
Forse, sfortunato egoista,
semplicemente nutre
del fiero pasto
dell’anima sua
il proprio odiosamato
carnefice, l’anima sua
stessa, cane che mangia
cane.
Che tristo, che misero
figuro, il preclaro,
l’altisonante, il sedicente,
il nascosto, lo sconosciuto,
l’oscuro poeta,
pronto, magari, al suicidio
per un doppio genitivo…
Da mezz’ora
è primavera.

Sulla poesia
(21/03/2014 00:13:26) »

Gabriella Gianfelici

*

 

Sulla poesia:

A fiato corto

cercarti poesia

spesso camuffata

senza identità

nascosta nelle pieghe

della terra che non sa più

diventare terra di terra

negli occhi degli umani

che non sono più

gli occhi dell’alba.

Sono nel buio

a cercare la nostra origine

a cercare te.

 

La cucina elabora

la camera è assopita

l’ingresso è deserto

la finestra parla.

Sabbia scende

e diventa parola:

a scavare orizzonte

l’occhio penetra

il più possibile

degli sguardi e

arriva l’amore delle parole.

 

Utopia
(20/03/2014 23:45:29) »

Nicola Romano

*

La mia realtà

non sta oltre i cancelli

o tra i banchi sconnessi del mercato

e neppure

nel caos sparpagliato

delle parole senza epifania

La concretezza mia

non si disperde

nell’illegalità del quotidiano

o tra i budelli tronfi delle strade

dove il sozzo fluire

tracima come pioggia nei catoi

 

La mia realtà

è un’utopia vagante

che forse addenta parte della vita

ma che conduce

autentiche fonìe

a questo assurdo viver da poeta

Scripta manent
(20/03/2014 22:47:18) »

Fabiana Frascà

*

Se pure sparecchiassi

le pagine imbandite

di parole

da tutti i libri,

resterebbero filigrane

di memoria

prive solo

del pigmento

d’inchiostro.

Più forte

della svogliatezza

di risposte,

la parola ci vive

nella carne mortale

e ci dà scampo.

Primmavera
(20/03/2014 22:42:42) »

Anna Giordano

*


‘Nu filo ‘e viento ricama dint’all’aria
‘n’addore ‘e primmavera.

‘Na chiantullella s’arrampica a ‘stu palo
pe’ dà pur’essa ‘nu sciore a chesta vita.

‘Na viola appena sciuta, scuppata miezze 'e foglie,
culora, si pure poco, ‘nu piezzo ‘e ‘stu criato.

‘E mmargherite janche se song ‘mbriacate,
co’ core tinto ‘e vino rallegrano‘stu prato.

‘E rame do’ ceraso se so’ vestute a festa.

‘O pesco annammurato arapre ‘e sciure ‘o sole,
quanno arriva abbrile è musica pe’‘o core!

‘O grano verde ‘e speranza se cunneleia ‘o viento
aspettanne abbundanza.

‘A nucella, a ogni foglia tene ‘nu pendente
me pare ‘na Maronna cull’offerte de’ credenti.

So’ tant’e sciure c’addobbano ‘sta terra
pe’ festaggià l’arrivo ‘e ‘sta criatura.

Guardate quant’è bella!

Arriva ogni vota chiena 'e vita, rire e semmena ‘na gioia
ca’ scoppia dint ‘o core a ogni primmavera.


Traduzione

Primavera

Un fil di vento ricama nell’aria
l’odore di primavera.

Una pianticella s’arrampica al palo
per regalare anch’essa un fiore a questa vita.

Una viola appena nata, sbocciata tra le foglie,
colora, anche se poco, un pezzo del creato.

Le margherite bianche si sono ubriacate,
e con il cuore tinto di vino rallegrano il prato.

I rami del ciliegio si son vestiti a festa.

Il pesco innamorato apre i suoi fiori al sole,
quando arriva aprile è musica per il cuore!

Il grano, verde di speranza, si culla al vento
e aspetta l’abbondanza.

Il nocciolo ad ogni foglia ha un pendente,
mi sembra una Madonna, con le offerte dei credenti.

Son tanti i fiori che addobbano la terra
per festeggiar l’arrivo di questa creatura.

Guardate quanto è bella!

Giunge ogni volta piena di vita,
ride e semina la gioia che scoppia dentro il cuore,
ad ogni primavera.



La Poesia #
(20/03/2014 21:34:42) »

Silvia Rizzo

*

Quando la notte l'ansia tiene desta

la mente inquieta, simile mi sento

ad una corda tesa di violino

che l'urto dei ricordi fa vibrare

traendo dissonanze dolorose.

 

Ma dalla stessa corda può sgorgare

l'accordo arcano che ridoni senso

al rovello e al dolore,

facendone le note di più vasta,

possente melodia.

 

Via il sipario
(20/03/2014 21:32:09) »

Stefano Tosin

*

“ Ho strappato quel telo
che da anni inesorabile
mette fine alle solite scene.
L’ho allungato e steso
sopra i ricordi del passato
colmo di inefficienti radici,
d’amore appassito in lenzuola
raffreddate in poche ore,
bagnate dal dispiacere
della superficialità,
dal dolore dell’assenza,
dal tormento della scelta.
Questo telo grezzo, sbiadito
rivolto al cumulo di storia,
l’altra faccia colorata,
lavorata a moltitudini floreali,
rivolta all’aria, alla vista.
Perché il triste passato
possa essere sopportato
e il futuro crescerà nella gioia
sopra l’errore per soffocarlo,
perché ho imparato.
Raccolgo i miei pensieri
dipingo stabili paesaggi
di un nuovo vivere,
un nuovo pensare,
volere, agire,amare,
saper rinunciare per acquisire,
condividendo l’anima.”

 

© 2010 Stefano Tosin

Il fiore del deserto
(20/03/2014 21:31:49) »

Silvia Rizzo

*

E' come se finora avessi sempre
diffidato di te, o poesia.
Temevo forse di accostar la tua
incandescenza e di bruciarmi le ali
come falena presso alla lucerna.
Ma adesso che all'autunno mia stagione 
volge e si screzia di mille colori,
fui dal tuo incanto infine vinta e presa.
Tu insperata venisti ed inattesa
a dare il tuo conforto in ore oscure.
Aveva la mia colpa ogni valore
tolto alle umane frasi, ed anche al pianto.
Fu allora che il linguaggio tuo divino
le tenebre schiarò con il suo raggio
e serenando vinse la tempesta.
Ed ora quando nella notte buia 
più incalzano i fantasmi,
le paure, le angoscie,
a te mi volgo e nella tua parola
cerco un senso al dolore ed un riscatto.
Tu nel deserto del soffrire umano 
ti schiudi unico fiore e sulle nostre
sciagure stai sospesa e brilli lieve
come l'arco iridato.

Senza titolo
(20/03/2014 21:31:44) »

Angela Caccia

*

Barche di carta sull’oceano. Vele spiegate

vergate da un vento che si spera amico.

 

La notte è salvezza che passa per un abisso

mostra una rotta che il giorno a tratti vanifica.

Si naviga a vista rotolando sull’onda gonfia

 

la più slanciata a lontananze d’orizzonti:

lucciole tremolanti che sfidano chi ha

coraggio e continua il viaggio.

 

Qualcuno approda

dove la coscienza si fa porto.

 

Da Nel fruscio feroce degli ulivi – Fara 2013

Silenzi
(20/03/2014 20:18:23) »

Gaia Ortino Moreschini

*

SILENZI

 
 
Arcipelaghi improvvisi i silenzi
Squarci di influssi
Spaventosamente assenti
 
Onniscienti frastuoni
Umbratili vascelli sulla sera
In naufragio come oblio oltre

 

 

O rosa
(20/03/2014 20:16:29) »

Gaia Ortino Moreschini

*

O ROSA

 
Spoglia degli inutili affanni dell'uomo,
la rosa, in profondissima quiete, 
osa e dischiude in bellezza,
nel palpito d'essere eterna. 
 
Di tutte le terrene meraviglie,
nessuna le s'avvicina.
E man mano che il sole
ne apre le vellutate vesti,
 
il cielo e la natura d'intorno
non sono che ombre
dinanzi al sublime profumo
che sale e, per sempre, posa.
 
O rosa, che questi rovi domi
e trasformi in dolci balzi,
a te asserva l'anima mia persa
tra pruni, sterpi e aguzzi pendii.
 
E muovila all'alto,
tra le più belle cose,
a quell'altissima quiete
che tu sola rivesti.
 
 
 

La notte è così bella
(20/03/2014 20:13:58) »

Gaia Ortino Moreschini

*

LA NOTTE È COSÌ BELLA

 
Soffia un vento
che induce al sonno l'oceano. 
Spente nell'aria,
capriole di nubi
seguono il fischio d'un treno.
La chioma della notte
s'adagia su nuovi sogni,
cessa di segnare il tempo.
 
La notte è così bella.
Non conosce fine.
Ogni volta,
la terra s'unisce al cielo. 
Il suo volto si specchia nell'ascolto. 
E l'orizzonte vuoto,
che tace e nella natura si schiude,
è vita legata ad un sorriso. 

Il Poeta ha suonato la tromba
(20/03/2014 20:03:02) »

Maria Musik

*

Il Poeta s’abbracciava

Mentre la voce impostata

Tinteggiava i suoi versi

Rubando la scena al violino.

 

S’abbracciava, il Poeta

Ai suoi figli

Ma guizzava lo sguardo

Ed il piede, nervoso, incurvava.

 

Ad un tratto s’azzitta il violino

E la tromba annuncia la carica.

Il Poeta non può più tacere

In assolo, a tre ottave è l’acuto.

 

Non si può bestemmiar la Merini

Né nominare Mondadori invano.

Ma che vuole, un intero scaffale?

Vuole, forse, di destra una quinta in vetrina?

 

Non pretenda la carta, la foto

Copertina ed esergo.

Quelle sono dei Grandi.

S’accontenti del blog che gli spetta.

 

I Poeti son grandi se morti

O se amici di Amici

Od almeno invitati, per cena

ma soltanto se sanno Che tempo fa!

Il crepuscolo
(20/03/2014 19:50:00) »

Mariano Menna

*

Muore lentamente tra le acque un bagliore:

è fuoco che si spegne all’imbrunire.
La luce indietreggia al cospetto del tempo, 
s’inchina alla notte, elegante signora,
lasciando nel buio le sue lacrime lucenti:
lucciole cosmiche che danzano nel cielo.
Nell’immensa quiete crepuscolare
prendono vita i melanconici pensieri,
infinite tracce dell’umana ragione:
la loro notte calerà col nuovo giorno,
con il risveglio di spaventosi automi,
con i rumori del quotidiano incedere.

Una piccola bestia di gioia
(20/03/2014 14:50:57) »

Amina Narimi

*

Stringeva tra le mani  come un canto

una piccola bestia di gioia, consumata, 
con la nuvola la cima il gambo, l'ho seguita.
Entrando  nello spazio stretto dedicato ai libri,
con un ritmo che nasceva da lontano
ho percepito un movimento sacro di saluto
 
Tutto di lei è muto, tranne quelle mani
nelle pause di ogni libro, come dicesse delle cose
con qualcuno che le scorre in fondo al sangue
che si effonde nel fiato e d’improvviso
mi è parsa saltare sulla terra, così leggera, 
al gioco del mondo, in cima a tutto lo scaffale,
nella rayuela, continuo a sentire  più forte
il jazz del suo  silenzio. Si allunga con le braccia
come immersa in un'acqua veloce
e gli occhi grandi ondeggiano tra i pesci
di De Luca. Nelle sue infinite forme
si guarda risplendere e nuotare
fino al giardino dei pensieri, a Pennabilli,
assottigliando i piedi  a farsi niente. È ferma
tra i frutti dimenticati e le corsie
 
s'illumina la pelle, al contatto della costa, 
quando sfiora la polvere di stelle,
posati i propri nervi sulla neve,
di  Tonino Guerra. Raccoglie  un nuovo libro
ora, come un velo, lascia andare gli occhi 
con i miei
 
è ricordo ciò che chiama, nella calma
unisce due lembi tra le pagine,
mi apre un varco  al collo 
senza ali  né vocali 
avvicina la memoria. Entra tutta in una stanza
a non sentir più niente di com’è
là fuori il mondo. Trema nell’abisso
con Primo Levi nell'ombra si copre il viso,
se questo è un uomo, sussulta a un cuore così bianco
e danza con tutti i figli di dio, danzano
insieme al percorso dell’amore in un tempo differente,
e un pezzo di strada con qualcuno. Due passi ancora,
accarezza  Il suo vero nome in copertina 
disegnando un otto con le dita,
senza curarsi di nessuno
quando porta alla bocca  il libro 
con l’eleganza di una curva
mettendo un bacio tra le pagine di mezzo..
 
ma più di tutto sono state le sue lacrime
a fermarmi, incontrando la Szymborska,
con la Gioia di scrivere piegata in mezzo al seno:
ha premuto tanto forte quelle uniche poesie
ricoverate nella  stanza,  così piccola
da sembrare  un animale nella tana
quando gli esce il nato fra le zampe.
 
La fisso. Aspetto che si giri verso me,
dove finirà la pagina, di sentire il suo respiro
che non smette più di andare, di vedere.
 
Nell’atto di volgersi
tocca la sua  lingua con un dito,
stringendo l’aria prima dell’incontro,
e si offre allo sguardo.
 
Non credo cercasse qualcuno
nel riflesso del mio silenzio
se non quelle carezze sui capelli,
mettendo fine ai suoi  pensieri
un nuovo nascere,
come si fa correndo verso il bosco
andando a trovare gli alberi
 
 

Cluetrain
(20/03/2014 13:13:53) »

Chanteloup

*

«Only by speaking in a real voice, and by engaging people rather than delivering messages to them».

(Markets are Conversation, Doc Searls and David Weinberger - The Cluetrain Manifesto)

 

 

mi prendi e mi emozioni con un abbraccio rubato
accanto a me, sedia a sedia fianco a fianco
tra le voci urlanti di laureati
e affanni di laureandi in estasi
compositiva
sono qui che scrivo
nella biblioteca scenario
dei nostri amori bisticci
m'imbatto per due volte
nello stesso sguardo di ieri
un addio scritto di fretta
tra gli umidi baci studenti
e la primavera scorre
e corre come le parole
di foglio bianco in excel
e word
non ho più parole da scrivere
ma da dire e soffiare

alla nebbia di questa

primavera

Chante!
(20/03/2014 11:51:34) »

Chanteloup

*

Je Chante

Tu Chante

Il ou Elle Chants

nous chantons
vous schantez 
ilsetelle chantent

 

 

cantano i lupi e le farfalle
tra le ferie di agosto e falò settembrini
cantano le spoglie le gambe nude
alla prima sabbia e onda
di acque fredde di marzo
canta tutto
la pelle assonnata
l'occhio lento
la scarpa lesta
cantano le formiche sul tavolo
gli occhi tamburellanti
sul tram
e cantano
cantano le parole
le favole assorte e i silenzi
nudi
cantiamo

Perchè poesia?
(13/11/2013 14:42:56) »

Jacob l.

*

.... e così mi sono chiesto oggi

a che serve  scrivere

poesie.

Poesie, pensieri,

strofe in rima o libere

da vincoli di metrica, di musica.

A che serve in fondo,

forse a noi stessi?

alle nostre anime  un pò

troppo sensibili?

perchè qualcuno legga e si distragga un pò

dai suoi pensieri?

oppure alla nostra segreta vanità?

Perchè poesia?

Eppure io credo

che  poesia sia, come dire?

sunto di ogni attività intellettuale

così scarna, essenziale, insomma

una ardua prova finale.

 

 

 

 

 

il navigante del plenilunio
(29/05/2013 17:03:27) »

Valter Casagrande

*

Voglio viaggiare

ai bordi del mondo,

la dove il mare

si tocca col cielo,

per rinnovare

tutte le vecchie

certezze.

 

Voglio sfiorare

i margini dell’universo

con una vela

iridescente

gonfiata

dal vento incrollabile

delle convinzioni.

 

Voglio raggiungere

il lato nascosto

dell’isola oscura

vestendo gli abiti

e le sembianze

del navigante

del plenilunio.

 

Lui, nelle notti

più chiare,

raggiunta la faccia

da sempre

nell’ombra,

insegue

il bianco dorso

di un sogno

che giganteggia

nei suoi pensieri.

 

Ma i sogni

non fuggono più,

il posto della penombra

è il loro rifugio

finale

e quando finisce

l’inseguimento

arriva la luce

ad illuminare

il reale. 

Queste parole
(17/03/2013 12:29:14) »

Luigi Maffezzoli

*

Che sono queste parole
troppo normali per accreditarsi poetiche
troppo ingenue per dotti o filosofi
che sono
mentre ci navigo dentro
o forse ci annaspo
cercando un senso che sfugge oltre ogni scoglio raggiunto
che lascia i suoi segni di rughe
e ti dice
«È solo il tuo tempo
che passa.»
Che sono queste parole
senza neanche un po' di musica a darle colore
così tristi e con così voglia di vita
mentre ci affogo dentro
gli anni passati
non cambieranno il futuro
non saranno maestri
dalla finestrella filtra un raggio ancora bambino
di primavera ormai stanca d'attesa
sgorgano le parole e prendono il sopravvento
le lascio fluttuare le ascolto scrivendole
al loro servizio
l'ultima è più incerta
resto solo
a guardarle.

Ebbi una visione
(25/11/2012 16:10:07) »

Gianni Godi

*

Ebbi una visione

 

Ero piccino allora vidi la mia anima.

Non stava al centro bensì spostata a sinistra.

Lattiginosa sottile frastagliata un poco porosa

quadrotta bidimensionale in luogo incolore forse grigio.

Da quando la notai la prima volta è sempre lì

ogni tanto la vedo fluttuare.

La mia anima è staccata dal cervello

sembra stia davanti alla zona del cuore.

A volte assomiglia a quei riccioli

di ferro prodotti dal tornio.

Io so che dentro la mia anima non c'è niente.

Altre volte pare un buco attorcigliato tipo ombelico.

Non è bella la mia anima non è niente.

Per vederla ci debbo pensare.

 

Gianni Godi

Poeti e ballerine
(14/09/2012 09:16:06) »

Francesca Cannavo

*

 

 

I poeti assomigliano a ballerine

esercitano i passi con fatica

e le labbra contano pochi numeri

ripetono insaziabili le orme della perfezione

estenuando pignole le dita della musica

e girano e volteggiano e piegano

per tutta la vita su piedi incantati

che vogliono volare baciando la terra

Le ballerine assomigliano ai poeti

vezzosi ed eleganti  tenaci ed ostinati

esercitano con leggerezza i versi dei passi

contati e strabilianti con i piedi malati e stanchi

librano sulle nuvole sognando la terra

e sudano e tempestano parole mute

sommuovono visioni e terre spaccate

irrompono sul palco ignavi di sguardi

Le ballerine danzano nella testa dei poeti

spensierate e consenzienti 

I poeti parlano nelle gambe delle ballerine

muscolosi e invadenti

I poeti e le ballerine

sentono l’affanno e l ‘orgoglio

e stremati attendono la prossima scrittura.

In morte di un poeta
(06/02/2012 00:03:18) »

Luciano Lodoli

*

La tua poesia osserva domanda e tace

e si cura di cercare mai

una possibile

ipotetica risposta.

 Aforismi [Δ]

Primavera
(21/03/2017 18:15:14) »

Franca Colozzo

*





La primavera e la poesia sono unite da una linea sottile che definisce il passaggio dalla cupezza invernale alla solare metamorfosi del cielo, dove le rondini, al pari dei pensieri, son libere di sfrecciare nell’aria tiepida e profumata.

La parola dei poeti
(21/03/2016 11:35:46) »

Laura Turra

*

La parola dei poeti è il respiro che muove il foglio.

 

La poesia
(21/03/2014 10:49:50) »

Anna Giordano

*


"La poesia è l’emozione che ti permette di volare alto nello spazio di due versi."

"La poesia è l'umiltà dell'anima, spoglia dei veli il pensiero e casta si offre al cuore."

"La poesia è il pensiero che attraverso l'anima del poeta si veste d’emozione. "

 Prosa/Narrativa [Δ]

 Nessun testo di prosa/narrativa pubblicato [Δ]

 Pensieri (opinioni/chiacchiere/discussioni) [Δ]

Un piccolo aiuto
(21/03/2016 18:40:37) »

Venti Normali

*

La Poesia è il tuo alibi perfetto per capire la compagnia migliore per te.

 Articoli [Δ]

A proposito di Dio abbandona Antonio
(22/02/2019 22:17:43) »

Argomento: Letteratura
Quin

*

A proposito di

Dio abbandona Antonio

 

di Konstantinos Petrou Kavafis

(o di Plutarco, Shakespeare, Borges, Cohen e di noi altri)

per la cena dell’oca di Lelo dic 14

 

Vorrei dirvi qualcosa, non più che qualcosa, sulla poesia. Non so come sarà. A voi che con sopportazione dettata più che dalla curiosità dall’amicizia, avete già prestato con bel garbo orecchio ai miei miseri tentativi poetici e a chi, novizio e foriero per me d’imbarazzo, questo cordoglio non ha mai incontrato ma che se è qui è disposto, mi auguro, ad assaggiare tentativi ed errori, a entrambe le specie dico: non so se sarà interessante o noioso, fatemelo capire. Io l’ho trovato bello, voi mi saprete dire.

Per citare una delle menti non so se più brillanti del secolo ma fra quelle che mi sono più care: “Cari compagni, condividere non è il senso della vita?”

 

 

IL MESTIERE DEL POETA

 

Cosa fa il lettore, l’esegeta

il traduttore, se non incontrare

quello che avrebbe anche lui potuto dire?

E qual è mai il mestiere del poeta

Se non dar voce al mondo, purchessia

Usando ciò che riesce a sentire?

Vorrei provare stasera a raccontare

Dove un verso, una canzone, una poesia

Nascono e dove vanno a finire

Io che poeta non sono affatto

Ma so nuotare nel vino e nel mare

Forse per questo un poco sono adatto

A mostrare, nient’altro che mostrare.

Con poca scienza, ma davvero poca:

Dieci minuti poi passiamo all’oca.

                          Qdic14 Per la cena dell’oca di Lelo, 20 dic 14

                                                    

POETI

 

Dei mediocri poeti il dio    

Giurando sennò di farmi zittire     

Un bel giorno mi ingiunse di dire

Quel che da tempo sapevo già io:

Non è cosa tua la poesia

Che in stupida e vuota aerofagia

Rigurgita parole a non finire.

Non siamo così tanto diversi

Non sei tu a dar vita ai tuoi versi

Ma gli altri che li stanno a sentire

                                          Qdic14

 

 

Notte fra il 31 luglio e il primo agosto del 30 a. C.. Alessandria, città della più grande biblioteca del mondo e di un faro che si vede a 25 miglia dalla costa.

Siamo nella reggia di Cleopatra, nella stanza di Antonio.

Giulio Cesare è stato assassinato da quattordici anni, la supremazia a Roma, su Roma e sul mondo, si decide nella guerra civile fra Cesare Ottaviano e Marco Antonio. Anzi, si è già decisa, con una battaglia che poteva essere vinta e invece è stata una disfatta.

Ma vediamo da cosa nasce proprio questa notte.

La Vita di Antonio è la più bella tra le Vite di Plutarco: c' è un fantastico equilibrio tra racconto biografico e storico, ottenuto mettendo insieme la storia con l’attenzione ai piccoli aneddoti rivelatori ma anche agli aspetti mitici della natura di Antonio.

Mitici, perché secondo la tradizione, Antonio discende da un dio e da un semidio: Dioniso ed Eracle, come Alessandro Magno. Tutta l'esistenza di Antonio vive sotto il segno di Dioniso. L'ubriachezza a tutte le ore, le spese eccessive, il suo avvoltolarsi tra le donne; l'amicizia coi mimi, i buffoni, i giocolieri, gli attori.

Contemporaneamente, Antonio è un generale brillante, un condottiero che sa farsi amare dai suoi uomini e vincere le battaglie difficili.

Viene il giorno della morte di Cesare, con Antonio che accusa Bruto fingendo di non volerlo accusare, istrione in realtà meno dionisiaco che calcolatore, come ce lo mostreranno Plutarco e poi Shakespeare.

Poi l’incontro con Cleopatra, a Tarso nel 41 a.C.

Nella vita di Antonio, Cleopatra è la rivelazione. L’amore della vita.

Plutarco ricorda che, malgrado la leggenda, Cleopatra non era bellissima ma la sua conversazione aveva un fascino indescrivibile, possedeva la seduzione della parola. Si adattava al carattere di Antonio e alla sua volgarità soldatesca e alla sua passione dionisiaca, che condivideva come una devota.

Secondo Plutarco, Antonio amava profondamente Cleopatra, e ne era dominato e soggiogato.

Al Dioniso che viene da occidente si era aperto l’oriente.

Un anno dura la loro vita insieme poi i loro destini si dividono. Antonio sposa la ragion di stato, Ottavia, la sorella di Ottaviano. Anche i rapporti con Ottaviano si stringono.

Antonio scrive ad Augusto in modo confidenziale:

« Che cosa ti ha cambiato? Il fatto che faccio l’amore con una regina? È mia moglie. Non sono forse nove anni che iniziò [la nostra storia d'amore]? E tu fai l’amore solo con Drusilla? E così starai bene se quando leggerai questa lettera, non ti sarai goduto Tertullia, o Terentilla, o Rufilla, o Salvia Titisenia o tutte. Importa forse dove e con chi fai l’amore? »(Svetonio, Augustus.)

Giocano insieme a sorte, a dadi, o fanno combattere i galli e le quaglie. Antonio perde sempre, sempre. «Il tuo Genio - dice ad Antonio un indovino egizio - teme il suo Genio e, orgoglioso e fiero quando è solo, diventa più umile e ignobile quando Ottaviano gli è vicino».

Malgrado la mediazione di Ottavia, tra Antonio e Ottaviano scoppia la guerra, fra occidente e oriente, fra il romano fedele e il traditore, fra Apollo e Dioniso.

Dopo anni di scontri, alla fine, ad Azio (vi ricordate il mare interno di Preveza, sotto Igoumenitza? Con alcuni di voi ci abbiamo navigato.) dove le veloci e leggere navi di Augusto sopraffanno le pesanti navi di Antonio, Cleopatra fugge improvvisamente con la sua flotta, Antonio la segue. Sette giorni lo aspetterà il suo esercito di terra, di gran lunga superiore per numero a quello di Ottaviano, prima di capire di essere stato abbandonato e arrendersi.

Perché è stata persa questa battaglia ve lo racconterò un’altra volta.

Cleopatra e Antonio si rifugiano per un anno nella reggia di Alessandria.

Di nuovo, sotto il segno di Dioniso, conviti e baldorie. Cleopatra gioca a dadi con Antonio, beve con lui, si traveste da servetta e con lui va in giro per strada a molestare gli Alessandrini. Poi arriva la notte

E ora Plutarco, testuale:

 

Si racconta che in quella notte, verso la metà della notte, mentre la città era immersa nel silenzio e nella tristezza per la paurosa attesa del futuro, improvvisamente si udirono suoni armoniosi di strumenti di ogni sorta e il clamore di una folla con grida e danze di satiri, quasi fosse un corteo dionisiaco che si snodava tumultuante. E sembrava che procedesse attraverso il centro della città verso la porta esterna, rivolta dalla parte dei nemici e che là il tumulto, dopo aver raggiunto il massimo grado, cessasse. Agli alessandrini, che ascoltavano in silenzio, parve un segnale: Dioniso, il dio più imitato da Antonio per tutta la vita, lo stava abbandonando.

 

Il giorno successivo, il 1º agosto del 30 a.C. Ottaviano invade l'Egitto ed entra ad Alessandria. Non avendo vie di scampo, Antonio si suicida. Pochi giorni più tardi, Cleopatra ne segue l'esempio.

 

1600 anni dopo, un uomo - o una terna d’uomini, due a scrivere e uno a portare in teatro, che importa? - fanno cenno alla stessa scena:

 

SCENA III - Alessandria. Davanti alla reggia

Entrano due SOLDATI per montare la guardia

1° SOLDATO - Buona notte, fratello… Gran giornata, Domani è il giorno.

2° SOLDATO - Sì, in un verso o l’altro, tutto sarà risolto. Buona notte. Nulla di strano, in giro per le strade?

1° SOLDATO - Nulla. Perché?

2° SOLDATO - Mah! Saran solo voci… Buona notte, compagno.

1° SOLDATO - Buona notte.

Entrano altri due SOLDATI

2° SOLDATO - Salute, camerati, e buona guardia.

3° SOLDATO - Anche a te. Buona notte. 2° SOLDATO - Buona notte. (Si piazzano ai quattro angoli della scena)

4° SOLDATO - Noi qui. E se domani la giornata sarà propizia per la nostra flotta, son sicuro che sulla terraferma il nostro esercito ce la farà.

3° SOLDATO - È un esercito forte e ben deciso. (Musica di oboi, da dentro, come se provenisse da sottoterra)

4° SOLDATO - Silenzio! Che cos’è questo rumore?

1° SOLDATO - Udite!

2° SOLDATO - Attenti!

1° SOLDATO - Musica dall’aria…

3° SOLDATO - No, da sotterra.

4° SOLDATO - Sarà segno buono?

3° SOLDATO - No.

1° SOLDATO - Ma che vorrà dire?… Zitti, dico!

2° SOLDATO - Sarà forse la voce del dio Ercole, che Antonio amava, e che adesso lo lascia.

1° SOLDATO - Vediamo un po’ se gli altri della guardia odono anch’essi ciò che udiamo noi.

2° SOLDATO - Ehi, voi, compagni! TUTTI - Ehi, là, sentite niente?

1° SOLDATO - Certo ch’è strano.

3° SOLDATO - Lo sentite o no?

1° SOLDATO - Seguiamo il suono fino dove arriva la nostra guardia. Vediamo se cessa.

TUTTI - D’accordo, andiamo. Ma che cosa strana! (Escono)  

 

Di passaggio, non dimentichiamo che di quell’uomo, che per certo ha scritto queste parole – in versi, si badi – un altro uomo di sterminata cultura e di non poca poesia scriverà 300 anni dopo:

 

 

Everything and nothing

 

Nadie hubo en él; detrás de su rostro (que aun a través de las malas pinturas de la época no se parece a ningún otro) y de sus palabras, que eran copiosas, fantásticas y agitadas, no había más que un poco de frío, un sueño no soñado por alguien. Al principio creyó que todas las personas eran como él, pero la extrañeza de un compañero, con el que había empezado a comentar esa vacuidad, le reveló su error y le dejó sentir para siempre, que un individuo no debe diferir de su especie. Alguna vez pensó que en los libros hallaría remedio para su mal y así aprendió el poco latín y menos griego de que hablaría un contemporáneo; después consideró que en el ejercicio de un rito elemental de la humanidad, bien podía estar lo que buscaba y se dejó iniciar por Anne Hathaway, durante una larga siesta de junio. A los veintitantos años fue a Londres. Instintivamente, ya se había adiestrado en el hábito de simular que era alguien, para que no se descubriera su condición de nadie; en Londres encontró la profesión a la que estaba predestinado, la del actor, que en un escenario, juega a ser otro, ante un concurso de personas que juegan a tomarlo por aquel otro. Las tareas histriónicas le enseñaron una felicidad singular, acaso la primera que conoció; pero aclamado el último verso y retirado de la escena el último muerto, el odiado sabor de la irrealidad recaía sobre él. Dejaba de ser Ferrex o Tamerlán y volvía a ser nadie. Acosado, dio en imaginar otros héroes y otras fábulas trágicas. Así, mientras el cuerpo cumplía su destino de cuerpo, en lupanares y tabernas de Londres, el alma que lo habitaba era César, que desoye la admonición del augur, y Julieta, que aborrece a la alondra, y Macbeth, que conversa en el páramo con las brujas que también son las parcas. Nadie fue tantos hombres como aquel hombre, que a semejanza del egipcio Proteo pudo agotar todas las apariencias del ser. A veces, dejó en algún recodo de la obra una confesión, seguro de que no la descifrarían; Ricardo afirma que en su sola persona, hace el papel de muchos, y Yago dice con curiosas palabras no soy lo que soy. La identidad fundamental del existir, soñar y representar le inspiró pasajes famosos.

Veinte años persistió en esa alucinación dirigida, pero una mañana le sobrecogieron el hastío y el horror de ser tantos reyes que mueren por la espada y tantos desdichados amantes que convergen, divergen y melodiosamente agonizan. Aquel mismo día resolvió la venta de su teatro. Antes de una semana había regresado al pueblo natal, donde recuperó los árboles y el río de la niñez y no los vinculó a aquellos otros que había celebrado su musa, ilustres de alusión mitológica y de voces latinas. Tenia que ser alguien; fue un empresario retirado que ha hecho fortuna y a quién le interesan los préstamos, los litigios y la pequeña usura. En ese carácter dictó el árido testamento que conocemos, del que deliberadamente excluyó todo rasgo patético o literario. Solían visitar su retiro amigos de Londres, y él retomaba para ellos el papel de poeta.

La historia agrega que, antes o después de morir, se supo frente a Dios y le dijo: Yo, que tantos hombres he sido en vano, quiero ser uno y yo. La voz de Dios le contestó desde un torbellino: Yo tampoco soy; yo soñé el mundo como tú soñaste tu obra, mi Shakespeare, y entre las formas de mi sueño estabas tú, que como yo eres muchos y nadie.

 

Non vi fu alcuno in lui: dietro il suo volto (che anche attraverso i cattivi ritratti dell’epoca non somiglia a nessun altro) e alle sue parole, ch’erano copiose, fantastiche e agitate, non c’era che un po’ di freddo, un sogno sognato da nessuno. All’inizio pensò che tutte le persone fossero come lui, ma lo stupore di un amico a cui aveva iniziato a commentare questo vuoto, gli rivelò il suo errore e gli lasciò sentire per sempre che un individuo non deve differire della sua specie. A volte pensò che nei libri avrebbe trovato una cura per la sua malattia, e quindi imparò il poco latino e meno greco che avrebbe potuto parlare un contemporaneo; poi considerò che nell'esercizio di un rito elementare dell'umanità, poteva ben esserci quello che cercava e si lasciò iniziare da Anne Hathaway, durante un lungo sonnellino di giugno. Ai venti e rotti anni fu  a Londra. Istintivamente già si era addestrato nell’abitudine di fingere di essere qualcuno, perché non si scoprisse la sua condizione di nessuno; a Londra, trovò la professione a cui era predestinato, quella dell’attore, che su un palco gioca ad essere un altro davanti ad un concorso di persone che giocano a prenderlo per quell’altro. I compiti istrionici gli mostrarono una singolare felicità, forse la prima felicità che avesse mai conosciuto; ma applaudito l’ultimo verso e ritirato dalla scena l’ultimo morto, l’odiato sapore della irrealtà ricadeva su di lui. Cessava di essere Ferrex o Tamerlano e tornava ad essere nessuno. Braccato, si diede a immaginare altri eroi e altre favole tragiche. Così, mentre nelle taverne e nei bordelli di Londra il suo corpo compiva il suo destino di corpo, l’anima che lo abitava era Cesare, che ignora il monito dell’augure, e Giulietta che aborrisce l’allodola, e Macbeth, che dialoga nella landa con le streghe che sono anche le parche. Nessuno fu mai tanti uomini come quell’uomo che, come l’egizio Proteo, poté esaurire tutte le apparenze della realtà. Talvolta lasciò  in qualche piega della sua opera una confessione, certo che non l’avrebbero decifrata; Riccardo afferma che nella sua sola persona interpreta la parte di molti, e Iago dice con curiose parole ‘non sono quello che sono”. L’identità fondamentale dell’esistere, sognare e rappresentare gli ispirò passaggi famosi.

Per venti anni persisté in quella allucinazione guidata, ma una mattina lo sopraffecero il disgusto e l’orrore di essere così tanti re che muoiono di spada e di tanti sfortunati amanti che convergono, divergono e melodiosamente agonizzano. Quello stesso giorno risolse la vendita del suo teatro. Prima di una settimana era tornato al suo villaggio natale dove recuperò gli alberi ed il fiume dell'infanzia e non li vincolò a quegli altri che aveva celebrato la sua musa, illustri di allusione mitologica e di voci latine. Doveva essere ‘qualcuno: fu un impresario in pensione che ha fatto fortuna e a cui interessano i prestiti, le liti e la piccola usura. In questo carattere dettò l’arido  testamento che conosciamo, da cui deliberatamente escluse ogni traccia di pathos o di letteratura. I suoi amici da Londra erano soliti visitare il suo ritiro e per loro egli riprendeva il suo ruolo di poeta. La storia aggiunge che prima o dopo la morte si seppe alla presenza di Dio e gli disse: “Io, che tanti uomini sono stato invano, voglio essere uno e io”. La voce di Dio gli rispose da un turbine: Nemmeno io sono; io ho sognato il mondo come tu sognasti la tua opera, mio Shakespeare, e tra le forme del mio sogno eri tu, che come me, sei tanti e nessuno.

 

Jorge Luis Borges (El hacedor ,1960)

 

 

 

Ma torniamo a noi, anzi, a Antonio, a quella notte.

300 anni dopo un uomo di 50 anni che da sempre vive ad Alessandria, che ricorda bene il suo Plutarco ma anche la propria vita, divisa fra il suo proprio Dioniso e la monotonia delle sue giornate da impiegato altezzoso, la propria solitudine, (uno che peraltro scriverà una poesia dal titolo: “Aspettando i barbari”, dando da pensare da una parte al Buzzati de “Il deserto dei tartari”, dall’altra al Le invasioni barbariche (Les Invasions barbares)  film canadese del 2003, scritto e diretto da Denys Arcand, scrive:

 

 

 

Dio abbandona Antonio

 

Σαν άξαφνα ώρα μεσάνυχτα ακουστεί

αόρατος θίασος να περνά

με μουσικές εξαίσιες

με φωνές την τύχη σου που ενδίδει πια

τα έργα σου που απέτυχαν

τα σχέδιατης ζωής σου

που βγήκαν όλα πλάνες

μη ανωφέλετα θρηνήσεις

προπάντων να μην γελαστείς

μην πεις πως ήταν ένα όνειρο

μάταιες ελπίδες τέτοιες μη καταδεχτείς

σαν έτοιμος από καιρό σαν θαρραλέος

σαν που ταιριάζει σε

που αξιώθηκες μια τέτοια πόλη

πλησίασε σταθερά προς το παράθυρο

κι άκουσε με συγκίνηση

αλλ’ όχι με των δειλών τα παρακάλια

και παράπονα

ως τελευταία απόλαυση τους ήσους

τα εξαίσια όργανα του μυστικού θιάσου

κι αποχαιρέτα την την Αλεξάνδρεια που χάνεις

 

Quando d'un tratto a mezzanotte si udirà

invisibile passare un tiaso

con voci e musiche incantevoli

non piangere invano la tua fortuna che ripiega,

i progetti della tua vita che furono solo errori.

Come pronto da sempre, come sono i coraggiosi,

da' un addio all'Alessandria che ti sfugge.

Ma più di tutto, non ti illudere,

non dire che fu solamente un sogno,

che il tuo udito si è ingannato:

non degnarti di simili speranze vane.

Come pronto da tempo, come sono i coraggiosi,

come si confà a chi fu degno di una città sì grande,

saldo t'accosta alla finestra,

e ascolta con commozione sì,

ma non con le preghiere e lo sconforto degli abietti,

i suoni come ultimo piacere,

i sontuosi strumenti della brigata misteriosa,

e da' l'addio all'Alessandria che stai perdendo.

                                                          Constantinos Kavafis

 

Si parla di un Dio che abbandona un uomo o di una vita che se ne va, di una Città o di un amore perduti? Non lo so bene. So però che settanta anni dopo (e duemila dopo quella notte) nel 2001, un altro uomo, di 68 anni, bravo con le parole e con una splendida voce, un canadese di Montreal complesso e affascinante, che ha amato, (credo con miglior fortuna ma in amore si soffre sempre se non lo si sfugge), le donne come Kavafis i ragazzi, uno che ricorda bene il suo Plutarco, il suo Shakespeare e soprattutto il suo Kavafis, che come Kavafis usa un linguaggio banale e a tratti ricercato, scrive, e canta:

 

  

 

Alexandra Leaving

 

Suddenly the night has grown colder.

The god of love preparing to depart.

Alexandra hoisted on his shoulder,

They slip between the sentries of the heart.

 

Upheld by the simplicities of pleasure,

They gain the light, they formlessly entwine

And radiant beyond your widest measure

They fall among the voices and the wine.

 

It's not a trick, your senses all deceiving,

A fitful dream, the morning will exhaust

Say goodbye to Alexandra leaving.

Then say goodbye to Alexandra lost.

 

Even though she sleeps upon your satin

Even though she wakes you with a kiss.

Do not say the moment was imagined

Do not stoop to strategies like this.

 

As someone long prepared for this to happen,

Go firmly to the window. Drink it in.

Exquisite music. Alexandra laughing.

Your firm commitments tangible again.

 

And you who had the honor of her evening

And by the honor had your own restored

Say goodbye to Alexandra leaving

Alexandra leaving with her lord.

 

Even though she sleeps upon your satin

Even though she wakes you with a kiss.

Do not say the moment was imagined

Do not stoop to strategies like this.

 

As someone long prepared for the occasion

In full command of every plan you wrecked

Do not choose a coward's explanation

that hides behind the cause and the effect.

 

And you who were bewildered by a meaning

Whose code was broken, crucifix uncrossed

Say goodbye to Alexandra leaving.

Then say goodbye to Alexandra lost.

 

Say goodbye to Alexandra leaving.

Then say goodbye to Alexandra lost.

 

Alessandra che se ne va

 

Improvvisamente la notte è diventata più fredda.

Il dio dell'amore si prepara a partire.

Alessandra issata sulle sue spalle,

Scivolano tra le sentinelle del cuore.

 

Sorretti dalla semplicità del piacere,

Guadagnano la luce, si allacciano senza forma;

E radiosi al di là di ogni tua misura

Cadono tra le voci ed il vino.

 

Non è un trucco, i tuoi sensi tutto ingannano,

Un sogno incostante, la mattina si svuoterà -

Di’ arrivederci ad Alessandra che se ne va.

Poi di’ arrivederci ad Alessandra perduta.

 

Sebbene lei dorma sopra il tuo raso;

Sebbene ti svegli con un bacio.

Non dire che il momento fu immaginato;

Non piegarti a strategie come queste.

 

Come qualcuno a lungo preparato a che cio accadesse,

Vai con fermezza alla finestra. Bevila.

Musica squisita. Alessandra che ride.

I tuoi solidi impegni sono ancora tangibili.

 

E tu che hai avuto l'onore della sua sera,

E con l'onore hai avuto il tuo ricostruito

Di’ arrivederci ad Alessandra che parte;

Alessandra che parte con il suo signore.

 

Sebbene lei dorma sopra il tuo raso;

Sebbene ti svegli con un bacio.

Non dire che il momento fu immaginato;

Non piegarti a strategie come queste.

 

Come qualcuno a lungo preparato per l'occasione;

In pieno comando di ogni piano che hai fatto naufragare

Non cercare una spiegazione di un codardo

Che si nasconde dietro la causa e l'effetto.

 

E tu che eri confuso da un significato;

Il cui codice era rotto, crocifisso disincrociato

Dì arrivederci ad Alessandra che parte.

Poi di’ arrivederci ad Alessandra perduta.

 

Di’ arrivederci ad Alessandra che parte.

Poi di’ arrivederci ad Alessandra perduta.

                          Leonard Norman Cohen (Montréal,21 settembre1934)

 

 

 

 

Alessandria per Leonard Cohen è diventata Alexandra, il dio è ora certamente Eros.

E’ cambiato qualcosa? Tutto naturalmente, ma è molto di più ciò che è rimasto uguale, ciò che c’è sotto e sopra, sotto e sopra Cohen, sotto e sopra Kavafis, sotto e sopra Shakespeare, perfino sotto e sopra  Plutarco.

Poeti: sotto il vino, l’acqua, il mare. Il mare, questo mare su cui noi nuotiamo, nella schiuma delle nostre parole.

 

Dove va oggi la poesia?
(21/03/2014 11:34:04) »

Argomento: Letteratura
Francesca Luzzio

*

                                                   DOVE VA OGGI LA POESIA?

 

 

 

Dove va oggi la poesia?

E’difficile dare una risposta a questa domanda.  Dopo lo sperimentalismo della Neoavanguardia e l’impegno ideologico degli anni sessanta e settanta, sembra calato il silenzio e  vige un costante imbarazzo da parte della critica di fronte a un panorama fluido, cangiante nelle tematiche e negli stili, ora legato ancora a moduli ermetici, oppure neoavanguardisti-sperimentali, ora a moduli molto filosoficamente elaborati. In tutti questi casi, la poesia presenta l’utilizzo di un linguaggio difficile, talvolta completamente destrutturato ed incomprensibile, che ha finito per allontanare il pubblico dei lettori dalla poesia contemporanea e, di conseguenza,  i grandi editori che, agendo inevitabilmente secondo la logica di mercato, non pubblicano ciò che non si vende.

 Neppure la ripresa delle strutture metriche della tradizione può risultare efficace, perché esse, se usate con rigore, sono comunque una remora all’espandersi dell’ispirazione artistica.

 Allora che fare affinché la poesia non continui a vivere nel limbo ?  Forse bisogna innovare il linguaggio perché parafrasando Pirandello ” il problema è tutto qui,  nelle parole”, ma non perché ognuno vi attribuisce il significato che vuole, secondo il relativismo gnoseologico del citato drammaturgo, ma perché  il lettore non le  comprende affatto sia nel sema specifico, quanto talvolta nell’irrelata disposizione logico-grammaticale che esse assumono nel verso.

Insomma è necessario tornare ad una lingua semplice, normale, ad una strutturazione grammaticale-sintattica logica, che rende fruibile ad una  prima lettura il senso generale della frase e dei versi, affidando la dimensione poetica dell’espressione alla musicalità delle parole, al ritmo, a sporadiche rime o quasi rime, a tropi  connotativamente rilevanti, ma facilmente decodificabili, per dirla in breve ad alcuni di quegli elementi retorici e metrici della  tradizione letteraria che rappresentano un’inesauribile ricchezza a cui bisogna attingere non in modo indifferenziato, ma gestendola adeguandosi alla realtà della comunicazione odierna.

A tal riguardo appare opportuno evidenziare, sebbene dovrebbe essere superfluo considerato quanto suddetto ,che “adeguarsi” non è detto nel senso di utilizzo del linguaggio iconico e mozzo dei messaggi telefonici, ma di non rinunzia  a quella oraziana medietà linguistico-formale che, pur non rinunziando a qualche “callida iunctura”, garantisca al verso la comprensione dei significati insieme al godimento estetico, caratteristiche che, secondo il nostro punto di vista, dovrebbero considerarsi gli elementi necessari perchè la poesia continui a d essere letta e riacquisti quella popolarità che la caratterizzava nel passato.

Per concludere, non si preconizza per la poesia un futuro di letteratura di consumo grazie ad un cannibalismo espressivo, ma di ripensamento della forma per favorire la  ricezione quasi immediata dei contenuti, dei significati siano essi espressione dell’interiorità individuale o della realtà storico-sociale che viviamo.

 

 

 

 

                                                                         FRANCESCA LUZZIO

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  Poeti estinti, filosofi, preti
(21/03/2021 11:29:21)

Walt Whitman

*

Poeti estinti, filosofi, preti,
martiri, artisti, inventori, governi d’un tempo,
forgiatori di lingue su altre rive,
nazioni un tempo potenti e ora indebolite, contratte o desolate,
io non oso procedere finché non v’abbia rispettosamente dato credito
di quanto avete lasciato sparso quaggiù,
io l’ho esaminato, riconosco che è ammirevole,
(essendovi passato in mezzo,)
penso che mai nulla potrà essere più grande,
nulla potrà mai meritare più di quanto
esso meriti, mentre lo contemplo con attenzione,
a lungo, e poi lo congedo,
io sto al mio posto coi miei giorni qui.

Qui terre femminili e maschie,
qui eredi e ereditiere del mondo, qui la fiamma della materia,
qui la spiritualità mediatrice, apertamente riconosciuta,
sempre protesa, il risultato delle forme visibili,
colei che soddisfa ed ora avanza dopo la debita attesa,
sì, ecco avanzare la mia signora, l’anima.

  da Poesia come arte che insorge
(22/03/2019 13:43:21)

Lawrence Ferlinghetti

*

Osa essere un guerrigliero poetico non-violento,
                                                           un antieroe.
Controlla la tua voce più incontrollata con
                                                    compassione.
Fai il vino nuovo con gli acini della rabbia.

Ricorda che gli uomini e le donne sono esseri
infinitamente estatici, infinitamente sofferenti.

Solleva i ciechi, spalanca le tue finestre chiuse,
                                                  solleva il tetto,
svita le serrature delle porte, ma non buttare via
                                                                i cardini.

 

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  Percezioni dell’invisibile
(21/03/2014 12:00:00)

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AAVV a cura di Giuseppe Vetromile - Poesia - Edizioni L’Arca Felice

 

Nel nuovo quaderno collettivo della collana Coincidenze de L’Arca Felice Giuseppe Vetromile ci presenta con il supporto di sette ben comprovati autori un’indagine in versi sulla natura rivelatoria ed epifanica della poesia, sul carattere extrarazionale dei suoi rivolgimenti e dei suoi orizzonti secondo un procedere - ed un assumere - più per interrogazione che per acquisite risposte. Tema, come ricordato nell’introduzione, già “caro ai simbolisti francesi del XIX secolo”, che ha nell’invisibile il quid di riferimento tra le maglie del procedere, nel confidamento paziente e incerto- e per questo faticoso- nel rigurgito illuminante di quello spazio sempre sotteso, e in attesa in cui, perché trasfigurato e nudo, in qualche modo l’uomo pare compiersi nell’osservazione dell’incontro e del moto che subito lo reinveste. Verità di sé nel mondo, e del mondo, che quasi in uno sdoppiamento ha piuttosto (per apparente e sublime contraddizione) valore di unità ricomposta nel seno di immagini il cui pensiero si specchia e si dilata ogni volta nello spazio del solo tempo e della sola visione possibile, pensiero- ancora- e dasein finalmente, apertura ritrovata nella perpetua e attiva genesi di tutti i sensi. E però, a scanso di una modalità meramente nella sua accezione più romantica della conoscenza poetica, in queste pagine i vari autori si provano direttamente, sulla scorta del proprio personale concetto di visibile e invisibile oltre che di scrittura, secondo una modalità di percezione legata sì alla materialità, corporeità e quotidianità del tempo storico proprio (perché di partenza) ma nella prospettiva del suo superamento, come correttamente osservato nell’introduzione , nell’assunzione comunque di una nuova soglia, di una terra diversa nell’ eventualità dei ritrovamenti. Ed è dunque questo il bene primo del testo, in una progressione dell’incisione che va di pari passo con una meditazione a tratti metapoetica di se stessa nel prezioso lascito novecentesco di ripartenza. Sette dicevamo gli autori, con una prevalenza netta di presenze femminili in un’ edizione come al solito ben curata e corredata dalle fotografie della cara e brava Gabriella Maleti. Serie dunque aperta da Lucianna Argentino la cui raffinata navigazione è qui testimoniata per prosa poetica in terza persona da testi in cui l’autrice romana rivede, ripassa a ritrosi l’arco della propria personale esistenza sotto la lente di un sé bambina in acquisizione di scrittura e di qui nella scoperta di vita che può appunto essere reinterpretata dalle proprie mappe e dalle proprie chiaroscurali intersezioni in riscrittura stessa (secondo un’intuizione poetica abilmente riportata ora da adulta in frammenti per un’autobiografia postuma) ; diario e già liturgia di memoria nella garanzia della salvezza che in sé in quanto affermazione ha comunque il dire, il registrare, nel cucire e scucire delle parole nella “qualità evangelica della luce” : nel ritmo sì divino in cui risonanze e silenzi si attraggono e respingono tra le figure care di luoghi e familiari (il nonno, il fratello, ma soprattutto il padre nella prossimità del dolore condiviso). Dell’autore seguente, l’ischitano Pasquale Balestriere, si ricorda invece, come felicemente sottolineato da Vetromile, “il lato silenzioso e spesso ombrato della vita quotidiana che si conduce, sovente, senza il prezioso riferimento a radici e valori fondamentali dell’esistenza: come la memoria storica e sociale, il sentimento familiare e l’amore per la natura” che qui trova struggente e intenso intreccio soprattutto nel brano in ricordo del fratello (“Sull’orlo della vita soli fummo/ e non ci fu pietà pei poggi in fiore”). Anche se, a ben dire, altrove un eccesso di aulicità linguistica rischia a tratti di inficiarne il risultato (“Orfica” ad esempio). Con la poliedrica Floriana Coppola, che ha nei collages di poesia verbovisiva uno dei punti di forza, traspare invece nei testi tratti dalla silloge già edita “Sono nata donna” lo sforzo e la ricerca del superamento dell’immediato reale, “dell’immanenza” come lei stessa avverte, alla luce di una traccia che allo stesso tempo apra e trasfiguri i mondi, in cui le stesse ferite umane “nel tunnel di volti” non sono che segno di “un regno perso” forse ma sempre presente- e riflesso- nell’impasto di terra e cielo entro cui disparate e disperate presenze cercano nome e fuoriuscita e che ha il suo suggello, nel sillabario di permanente ricominciamento, in “Elogio del margine”. Piuttosto è con la traduttrice e narratrice oltre che poetessa Giovanna Iorio, nomade acrobata e indagatrice dell’ombra per rimestanza erratica tra le apparenti banalità e bucce del quotidiano e sue necessità di visione, il primo esplicito riferimento al divino tra negazioni e aspirazione d’assunzione nell’altalena di un umano “vivere/senza lasciare impronte”. In più, però, la percezione poetica si nutre, ha bisogno di cura, di veglia: lo sa bene Ketti Martino, di formazione filosofica non a caso, che nel vibrante trittico di cornici consequenziali nel dialogo con gli spazi e le brezze della natura si offre alle sue voci, ai suoi intagli nel riflesso del reciproco riconoscimento (“Delle ombre riconosco il verso/ uguale agli stessi miei rosari”). Amore certo che nella dolcissima, tenace, onniradicata Cinzia Marulli Ramadori si fa chiave di volta, grimaldello di decodificazione e reindirizzo civile del reale, memoria e intreccio salvifico dalle viscere di un umano non espunto ma cullato e ripulito dalle offese (vedi, da leggere nel tremito tutta di un fiato, la bellissima “Pensieri” dedicata alla madre). Indagine chiusa infine da Marco Righetti che dimostra con efficacia, subito, direttamente dove la meditazione e la lingua poetica, che non sono altro dal mondo ma esse stesse compiutamente Mondo per scavo e liturgia dei frammenti, hanno per forza di prossimità e radice luogo e battesimo principe : qui nel cuore dell’esplosione che ha disperso il sogno e la vita di Melissa Bassi, la ragazza di Brindisi che nel maggio del 2012 fu uccisa nell’attentato alla sua scuola. Qui, nell’elegia delle parole dell’adolescente a sua madre, a ricordare la potenza di una scrittura che rompe il marmo del tempo dai cui spaventi e dai cui traumi non si lascia vincere ma muovere in ricomposizione perché, come avverte la stessa Melissa a proposito del suo assassino, la vita vale più del male fatto. Ed è giustappunto nel seme di questa circolarità, innaffiata, offerta e condivisa nel segno pieno di ogni autentica poesia che, in conclusione, andiamo a segnaliamo per ricerca la lettura di questo indicativo quaderno.

 

  Eventi [Δ]

  Alfabeto di primavera: P
(21/03/2021 18:22:46)

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21 marzo | Giornata mondiale della poesia ✒️

🌳🌾🦄 P come Poesia 😉 e Parole, quest’ultima è la parola scelta da Mariella Bettarini per la quale ha scritto i cinque haiku presenti nel libro in corrispondenza della lettera P.

Amo parole
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o voi – parole

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  Roma, 28/03/14: La bellezza non si somma in Campidoglio
(16/03/2014 12:00:00)

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Fuori il libro!

Rassegna a cura di Roberto Raieli e Marzia Spinelli

 

28 marzo 2014, ore 17.00

Comune di Roma – Sala della Protomoteca

Roma, piazza del Campidoglio

 

Roberto Maggiani

presenta

 

LA BELLEZZA NON SI SOMMA

(italic, 2014)

 

 

Introduce

Dario Nanni

 

dialogano con l’autore

Elio Pecora e Annamaria Ferramosca

 

Attori

Cinzia Mirasolo

Fabrizio Calimera

 

Ingresso libero

 

www.facebook.com/labellezzanonsisomma

www.robertomaggiani.it/la_bellezza_non_si_somma.asp

 

Terre Vivaci: www.terrevivaci.com

Italic Pequod: www.italicpequod.it/italicpequod

LaRecherche.it: www.larecherche.it

 

  

 

  Video [Δ]

  Che cos’è la poesia? #poesiapoeti
(20/03/2014 23:58:50)

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