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Racconto di Natale

di Valentina Grazia Harè
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Pubblicato il 25/12/2012 11:12:11

Parlando con chi incontravo sul cammino divenuto ombra, i miei verbi si rifiutavano di essere al passato. Mio padre è la casa, la famiglia, il cuore.
E'... cioè era un tesoro, ma è più giusto secondo la legge dell'amore, dire tutto al presente per evitare di negarlo alla vita di nuovo.
Ora l'albero di Natale continua a brillare e a diffondere una soffusa atmosfera natalizia. Io lo sto a guardare, e sembra che i miei occhi non siano abbastanza: le luci che si accendono e spengono sembrano il linguaggio della speranza, mi conforta l’allegria un po’ sbiadita di questo Natale, il malinconico svegliarsi delle luci nelle case, il sapore di forza e abbandono, dell’intermittenza del vivere. Ora papà semplicemente gioca a nascondersi, nelle foto, nell’anima, nelle nostre parole , laddove risiede, regina, anche una grande energia, e di questa ci serviamo per muovere i nostri passi.
Mi faccio coraggio e guardo i vasi da cui stanno nascendo i gelsomini, con tutta la delicatezza che appartiene a loro.
Nascono e lui lo sa, forse lui è nella stessa delicatezza di questi fiori, si nasconde nel loro profumo e si fa accarezzare da noi. Chissà, forse lui ora è diventato un tramonto, e ripete l'atto di salutarci all'infinito. Fiore di veronica ogni giorno.
Io e la moglie di mio padre lo facciamo rinascere a ogni abbraccio, a ogni carezza.
Ora dobbiamo pensare a come non pensare sempre ai ricordi. E con i rumori di piatti e stoviglie coprire il silenzio che... potrebbe parlare dell'assenza.

Ma mai l'assenza potrà ingoiare quello che ricordo di lui, fresca nella mia mente è l'immagine della fiducia che lui aveva per me e per i miei scritti. Rivedo i momenti in cui, nella sua stanza, gli leggevo racconti e poesie e lui in un sussurro, a questo era umiliata la sua voce, mi diceva: "mi piace molto". Mentre lo diceva, sorrideva con gli occhi e con la bocca e poi, sempre sorridendo, abbassava lo sguardo.
Io vagavo in così tanta dolcezza, nei suoi campi radiosi e morbidi, e uscivo da quella stanza con la forza che quell'uomo, così debole in quell'insulto di letto, mi dava.


"Indovina cosa ti ho regalato?", sussurro a Paterina, e lascio cadere la domanda sul letto dove si addormenta la curiosità, e mi addormento anch’io, spento l’interesse del mondo. Quando mi sveglio penso subito al regalo: mi vengono in mente tante cose che possono essere utili alla casa.
I sogni scendono sempre su di noi come una benedizione di poesia dorata.
Nel sogno infatti si susseguivano a mo’ di placante risposta al mio interrogativo una serie di regali: oggetti per la casa, libri, vestiti. Tutte cose che però sfuggono al cuore: non sono proprio queste le cose che voglio regalarle.
Penso di regalare una me stessa nuova, più dolce e comprensiva, e nello stesso tempo ospitare senza paura la sensibilità che è a sua volta un regalo di mio padre.
Una me stessa così esiste, più che in altre cose, nel magico specchio del foglio che premia il dolore con la bellezza.
Ciò che sto scrivendo è il regalo che sento più di ogni altro.
Lei saprà sorridere leggendo, penserà che ancora si sia salvato un amore, in questa vita che minacciava di portare tutto via con sé, con lui che non c'è più: nel doppio senso tra realtà e linguaggio. Tra quello che ci dice il silenzio e i ricordi che parlano.
Oggi è la vigilia di Natale: stamperò questo racconto, aggiungerò un sorriso e una lacrima nell'oggi dove un allegro e anche triste ieri sopravvive. Ma noi chiudiamo la porta a ciò che è triste. Facciamo accomodare a casa tutto ciò che è sacro: i veri amici, le fotografie col suo dolcissimo sorriso, i suoi libri che mi avvicinano ancora di più a lui.
Scriverò alla fine del mio racconto di Natale: "A Paterina, i miei auguri e la mia gioia di sentirla accanto, e se non riusciamo a usare verbi al passato parlando di lui, vuol dire che lui stesso non vuole, e che sarà continuamente un giorno di festa: noi tre insieme, come oggi, come sempre. Non ci sarà temporale che potrà dividerci, perché il calduccio della casa ha lo stesso dolce tono della voce di papà: le cui parole offrivano rifugio alla gente che disperava, o che era un po’ spaurita di fronte alla montagna della vita, quando si è tristi. Ora c’è solo una lunga distesa di pagine da riempire, con l’antico inchiostro. Una storia nuova e vecchia, qualcosa che non dimentica, ma che chiede di essere, di continuare a essere, con poesia, con forza

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