Al fondo delle cose
trovo sempre la stessa pariglia:
un giorno che è Pasqua e
l'abito che è senza ossa,
corto, mi dà alle ginocchia,
e i fili d'erba su per il Terminio
ritorti dal freddo, gli sprovveduti,
abboccano già secchi all'estate.
Di tutti i tocchi,
rintocchi sul seno,
goliardici quelli addrizzati
sul ventre, rimane più denso
il primo rubato in via della
Falconara con il vento
che sapeva di incenso e
le teste tonde dei mandriani
venuti a spiarci,
nel momento del tic tac,
il meno opportuno.
Al fondo delle cose
stiamo sempre io e te,
e quel nodo caparbio
di braccia e di stoffe
divenute leggere col tempo,
insopportabili all'inverno.
Ci conosciamo con fare da tre
quarti; noi, in fondo, siamo
questo collasso, un biglietto scaduto
e certe vie ammucchiate
nel centro del nulla,
come piacciono a noi.
Complici e svelte.
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