Ho digiunato dal tuo pensiero.
Un'ora o due.
Fatto cose per riempirmi la bocca
di un sapore che non somigliasse
a quello delle tue spalle,
all'ogiva micidiale del tuo sguardo.
Un'ora o due con le mani messe
in casa, frugandone la pancia;
una mesta levatrice
che scava nel cemento, cavando
figli che non verranno, e nocche,
e piedini scalzi, e guance calde
di sapone, e guaiti che sono di
bestie e mai di labbra.
Da cui l'assillo.
Con il fare dell'avvoltoio,
la Parca piumata,
a sfilacciare tendini
già freddi, ho tirato
via alle mie cose
la tua impronta.
Lo sforzo?
Un sordo,
un'idiozia:
è tuo anche il nodo
dove non ho ancora urlato.
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