Parlare di poesia non è mai facile, tantomeno parlare dei poeti, ancora meno parlare degli esordienti. È il caso di Luca Buonaguidi, che si inserisce nella comunità poetante con questo suo I giorni del vino e delle rose. Non è facile parlare di un esordiente perché egli si aspetta complimenti e incoraggiamenti, non certo critiche, il rischio è quello di alimentare vanagloria o, nell’altro caso, tormento. Ho letto con attenzione questa raccolta e devo dire che c’è materiale poetico, quindi direi che, potendo esprimere un giudizio (ahimè anche la poesia si giudica) riguardo la poesia, direi bene; tuttavia, essendo il poeta agli inizi, e giovane, mi sento di dare alcune indicazioni di lavoro… infatti c’è del lavoro da fare, questa raccolta è un inizio, non solo come prima opera edita ma anche un punto da cui iniziare un cammino del buon materiale tra le mani. Non spetta a me incoronare poeti, è certo, ma quello che devo fare è essere onesto, questo, prima di tutto, per me stesso come lettore, non sono un critico, e per coloro che sono lettori attenti alla poesia.
Le poesie di Buonaguidi sono buone, ma ancora lavorabili nella forma, sicuramente. Ravviso qua e là sovrabbondanze, troppo detto, molti versi sarebbero tranquillamente eliminabili, a mio avviso, e le poesie ci guadagnerebbero in forza espressiva. Un poeta deve manifestarsi, prima di tutto, con uno stile chiaro, se vuole lacerare il velo che lo separa dal lettore più esigente, da colui che legge poesia con interesse e scelta, e non perché gli capita per caso tra le mani in libreria un libretto con versi d’amore.
Per quanto riguarda i contenuti ce ne sono e anche ottimi: l’inquietudine del vivere, l’amore, la nostalgia, la fragilità sentimentale ed esistenziale, l’anelito al bene in conflitto con il male della sofferenza, una certa calibrata trascendenza che non dispiace, insomma vi sono contenuti che sono punti di forza di questo libro e sicuramente della personalità dell’autore, per i quali devo complimentarmi e invitare alla lettura della raccolta; si percepisce un’anima piena di vita, di stupore e di volontà a comunicare e a esprimersi nell’arte poetica, nella scrittura. Tuttavia la raccolta, e anche certe singole poesie, andrebbero lavorate e rese uniformi nello stile, abbandonando decisamente certi lirismi, le inversioni tra i nomi e gli aggettivi, ad esempio, vanno calibrate, eseguite ad opera , altrimenti si rischia di dare un senso di classico ma annacquato, poiché del classico non c’è la metrica. Ravviso una tenue scia luminosa che scaturisce dai poeti maledetti francesi e un po’ della Beat generation… insomma diversi stili troppo evidenti, talvolta stridenti tra loro, non ben miscelati.
In conclusione, complimenti per l’esordio ma il consiglio è quello di lavorare per trovare un proprio stile coerente e un poco più moderno, sono certo che questo autore, se si lancia in se stesso, osando un lavoro coraggioso sulla forma della sua poesia, ci farà il dono di una grande poesia… leggere leggere e leggere, contemporanei.
Riporto qui, per contraddire me stesso, una poesia molto bella, per la quale direte ma che cosa ci ha raccontato? Eccola, da pagina 41:
I giardini trascurati della notte
Il dolore scalfisce
ogni mia nuova àncora,
il fango confuso
pervade ogni nostro
residuo di purezza
e le mie vecchie utopie
hanno smarrito
il loro giaciglio originario.
Navigo il mio corpo
spingendomi avanti
a forza di bracciate in solitudine
come il nuotatore che mira la boa
per quotidiana abitudine.
Getto àncore ovunque
come un vascello notturno
che rientra al porto
dopo una mareggiata.
L’aria che stanotte
mi pesa sulle spalle
e ha la parvenza
di qualcosa che è assente.
La notte,
coi suoi giardini trascurati
di solitudine e compassione,
con quel suo sapore
che chiede asilo
alle mie vene.
Complimenti all’autore, assolutamente da leggere per certe sue gemme poetiche.