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di Alessandro Porri
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Pubblicato il 15/11/2014 11:06:05

                                                       

 

C’era una volta uno scrittore, la cui passione per l’arte dello scrivere, saturava in modo assoluto ogni sua cellula. I suoi neuroni si dedicavano in modo assai frettoloso ai compiti “istituzionali” in modo d’avere molto più tempo libero da dedicare al pensiero. In tutto quello che faceva, era distratto e frettoloso ma, quando si sedeva al tavolo, con davanti agli occhi un foglio bianco, sia si trattasse di prosa sia di poesia, era come se il tempo attorno a lui rallentasse, fino a fermarsi completamente. Amava trasportare nelle sue storie, la realtà che lo circondava, niente era più divertente ed intrigante del vero. Era capace di girare giorni e giorni per le vie della città, alla ricerca di strani e preziosi personaggi da incastonare come gioielli nelle arzigogolate trame dei suoi racconti. Camminava tra i banchi dei mercatini, ascoltava venditori e compratori, tutti caoticamente alle prese con le stesse difficoltà economiche, era divertente percepire come nella realtà, disegnassero gli estremi di uno stesso problema. Frequentava alcune botteghe artigiane, dove alcuni personaggi, che avevano abbondantemente superato l’età della pensione, portavano avanti dei mestieri prossimi all’estinzione, era come trovarsi di fronte a dei veri e propri panda di città. Tappa fissa erano Savino il ciclista, i fratelli tappezzieri Primo e Quinto, Franco, uno degli ultimi norcini rimasti in città e Luigi il falegname, la cui unica attività, era rimasta quasi esclusivamente quella di lucidatore di vecchi mobili. Queste botteghe, negli anni, erano divenute una sorta di luogo d’incontro, dove dei malinconici vecchietti raccontavano aneddoti del passato, sempre gli stessi ma stranamente sempre diversi in qualche sfumatura, ad ogni narrazione. La giornata non poteva che finire con il momento che il nostro scrittore definiva ”Il momento del si stava meglio quando si stava peggio”. Tutti insieme si celebrava la bellezza dei tempi andati, e si cercava di interpretare in qualche modo, i segni del presente, sempre più distante ed enigmatico. Il nostro scrittore poi, proseguiva le sue camminate ispiratrici, sostando per molti minuti sulle panchine dei giardini pubblici, al solo scopo di osservare e ascoltare la vita vissuta raccontata direttamente dalla bocca dei protagonisti. Il parco era i luogo ideale per affinare la conoscenza dell’universo femminile, scoprirne le virtù, le debolezze, i dubbi e le certezze. Il posto più ambito dal nostro scrittore era quello vicino alle giostre dei bambini, lì, le mamme, ferme ad osservare i loro figli giocare, si lasciavano andare alle più intime confidenze. Le donne che si incontravano al parco la mattina, erano rappresentate da alcune categorie ben distinte, di solito erano casalinghe, nonne con i nipotini o baby sitter, nel pomeriggio, invece, il giardino era frequentato soprattutto da donne lavoratrici e da papà. Strane trame si intrecciavano il pomeriggio tra sessi opposti, i bambini sicuramente erano meno controllati, c’era un tasso di cadute e incidenti assai maggiore! Il massimo del divertimento, per chi osservava dall’esterno questo microcosmo ispiratore, era la domenica mattina. I due gruppi si trovavano tutti assieme con l’aggiunta di soggetti assenti durante il resto della settimana. Un vero spettacolo, persone che fingevano di ignorarsi, erano poi tradite da sguardi lussuriosi che lasciavano intravedere complicità mal celate. Donne in carriera che pendevano letteralmente dalle labbra di casalinghe dispensatrici di consigli culinari. Uomini, di tutte le formazioni culturali che, davanti all’argomento “pallone” regredivano letteralmente all’età della pietra e, abbandonate in ufficio le loro responsabilità dirigenziali, si lasciavano andare ad accese discussioni da bar. Uno spaccato trasversale della società che finalmente aveva modo di confrontarsi nonostante le forti differenze, grazie ai bambini, l’unica cellula capace di unire il tutto.

Tornando al nostro amico scrittore, ultimamente era alle prese con una sfida che lo intrigava molto; lui estremamente prolisso, doveva partecipare ad un concorso letterario il cui regolamento recitava:inviare non più di un'opera per autore, di lunghezza non inferiore alle 5.000 battute e non superiore alle 12.000, spazi inclusi. Amante com’era dell’aggettivo insolito, del sostantivo bislacco, delle sfumature e dell’effimero particolare, non era abituato a confrontarsi con certi problemi di spazio. Inizialmente aveva provato a fare il lifting a vecchie storie, ma il risultato era stato quello di svuotarle del colore originario. Bisognava scrivere qualcosa di nuovo, specificatamente per quest’occasione. Un'idea le venne in mente, mettere per iscritto le difficoltà di uno scrittore alle prese con uno spazio limitato, ma la cosa le prese la mano e volle andare oltre sfidando se stesso a rimanere entro il limite minimo. Proprio quando l’idea cominciava a prendere forma, si rese conto di essere arrivato a quota 5000 spazi inclusi.


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