La Primavera - lupara ha eseguito: niente
salve, e niente superstiti. Solo gessetti
a ricostruire la dinamica esatta dell'esplosione,
e i pezzi scampati a ben altri agguati.
Proprio ieri ho trovato una delle tue gambe,
quella che mi abbracciava meglio di Dio,
sul foglio intatto di una poesia; l'ho riconosciuta
dall'ombra, perfetta, lino di nota fattura, uno Yad
per leggerti il corpo, per non incappare in carcasse
di facile ingombro. Ho anche trovato sangue dappertutto,
il sangue che ci schiumava come la risacca, cappuccino
ad ora - scirocco, il nostro sangue gemello mantecato
con semi diversi, ancora imbrattava con il suo corredo
da esule, tutte le vecchie parole, quelle nate nei giorni
da chioccia, frizionate a mo' di lozione da un vento
quanto mai generoso. La Primavera - lupara ha agito
di sera, la luna da palo e quattro di queste maledette nuvole
che fanno finta di essere inverno. Nemmeno l'inverno poteva
aiutarci: il rifugio scuoiato dalla mite smielatura.
Ho raccolto da un libro i tuoi occhi, piegati come
le pansè disidradate dalla voglia - egoismo di trastullare
quelle rigide cosce di carta con il sollievo di una carezza
viola profumo. I tuoi occhi piccoli e neri, raffinata
tostatura aromatizzata all'addio. C'eri tutto là dentro, perfino la bocca.
A bordo pagina. Una farfalla schiacciata dal peso del giorno
durato ormai troppo: la polverina balsamo
sparpagliata dovunque dal killer distratto.
Dunque si muore così? Da un istante all'altro?
E quello che avevamo detto a mandare fragranze,
già è di Signora muffa, di decomposizione annunciata.
Boom. Il colpo preciso.
Gli inutili a cercare la faccia del nostro mandante.
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