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Io, sulla mia croce

di Davide Rocco Colacrai 2
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Pubblicato il 03/06/2009 20:32:19

Io, sulla mia croce

Anche l’ultima candela si è spenta poi
Col fumo che sale sinuosamente in alto
Verso quell’immensità che provo ad acchiappare, io
Come un bambino che vuole quel che vede
Eppure le mie mani restano vuote – sfiorate dalla silenziosa solitudine
Che riempie questa stanza, invisibile tuttavia percepibile
Le mie mani restano lì allora,come impalate in aria
Mentre l’ultimo fumo si dirada definitivamente – come un addio mancato
E lacrime di malessere colano improvvisamente
Al richiamo strozzato d’affetto o d’amore o di quel che sia
Un richiamo che proviene da quel vuoto stesso
Che dentro di me m’ha stretto violentato e ucciso
Eccomi dunque, un fantasma che si ostina a blaterale ancora – rendendosi ridicolo
Mille bugie che mi hanno donato un vestito di cartapesta
Con cui coprirmi in quei grigi giorni di desolazione
Ma eccomi nudo, invece – mentre tremo
Crocifisso su legno grezzo o diamanti appuntiti – tanto non v’è differenza
Per non volermi piegare al volere del destino
Quel destino che mi ha rubato persino l’ultimo afflato di fantasia
Eppure una storia è già stata scritta per me – a prescindere che io sia d’accordo o meno
Una storia destinata a mescolarsi ad altre mille e mille ancora
Per poi ritrovarsi sempre ed inesorabilmente da sola
Sotto pallidi soli o solitarie lune – come pensieri fuggiti oltre la percezione
Al pari di me, su quella croce – là, da qualche parte tra straniere nebbie
Quante domande senza risposta
E quante risposte vane o inutilmente attese
Che bruciano là – non molto lontano dalla verità
Senza poter avere nuove possibilità
Non c’è mai una seconda volta
Specialmente quando non c’è mai stata la prima
E le preghiere non servono a niente
E appaiono come parole di fumi puzzolenti soltanto
Rintocchi di campane severe mi spaventano
E pianti dimenticati tornano a farmi visita – in questo presente sfocato
Mischiandosi a sacrifici che si levano al cielo
Per divenire lotte contro le oscurità della mia anima
Come pugni battuti su porte chiuse
Lasciando impronte che sanno di sangue
Che restano lì, anche nel domani – disegnando figure contorte
Che solo il cuore avrebbe potuto interpretare
Ed io
Io continuo a battere i pugni contro quelle porte
Alle quali s’accompagnano grida dal mio animo
Che fanno emerge quell’animale solo e ferito che c’è in me
Come di chi sta per morire
E vuole lasciare un ultimo lamento
Che il mondo – quel mondo così lontano e sconosciuto per me
Possa ricordare un giorno qualsiasi
Lotto e combatto e mi ritrovo sempre allo stesso punto
Come un angelo ancora lontano dal trionfo
Perso nelle supposizioni evanescenti di un amore proibito
E contornato da mere superstizioni umane
Dove niente ha senso – neanche il mio nome
Perché solo la pazzia sfiora quella cecità indotta
Nella quale vivo perennemente, io
Dove le scuse pungono con i loro aghi delicati tutto quel che è rimasto
Tramite le proprie recriminazioni inespresse
E quelle condanne che m’hanno torturato già
Mi sfondano il cuore una volta per sempre, in maniera così desolata
Che non posso non farmi uccidere una seconda volta – sperando sia l’ultima
E la strada, la mia strada – di asfalto bagnato
È ancora lì, vergine – in attesa di essere percorsa da me
Ma io
Relegato nell’ angolo più tenebroso della mia stessa prigione
Fuggo da tutto e tutti perché niente ha più un significato per me
Niente è più in grado di farmi restare attaccato all’ultimo filo di vita
Che mi sta abbandonando, oramai
Come un aquilone perso che vola verso nuvole distanti e famigliari
Dietro ad ogni cosa vedo inganni soltanto
E dietro gli inganni ci sono solo perfidi ghigni da pagliacci
Che seguono lo scoccare delle ore – ore che passano, semplicemente
E allora non mi rimane che appassire sulla mia stessa croce
Per l’incapacità di accettare di attendere e di piegarmi
Per non essere capace di recitare una parte che non è la mia
Io, come il primo dei veri peccatori – o l’ultimo, forse.

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