Nella sostanza di una sollecitazione primaria: terreni di sensorialità espandibili
Resoconto di un percorso formativo
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L'impatto sensoriale derivante da una comparsa oggettuale e il confronto con la comparsa di un suono (Prologo di stampo visivo)
Il punto di partenza, per favorire il delinearsi dell'esperimento di carattere composito fatto oggetto del presente articolo, è consistito nel promuovere una possibile suggestione poetica e nello stesso tempo una risposta adattiva corporea (necessariamente relativa anche allo sguardo), mediante la comparsa repentina di un elemento oggettuale in loco, dotato di una notevole pregnanza, dal punto di vista della caratterizzazione visiva. L'oggetto in questione è stato presentato, di per sé, come un fatto vistoso e nitido e, in quanto tale, pronto a trasformarsi subitaneamente in un allettante "detrito" per la vista e per la memoria dei soggetti partecipanti.
Il quesito che ci si è posti per dare inizio all'itinerario - anche di natura riflessiva - è stato il seguente: cosa comporta l'irrompere di un oggetto in uno spazio generico e, tanto più, in uno spazio di natura scenica?
La domanda ha certamente attinenza con l'aspetto percettivo, propriocettivo, sensoriale, psicologico-esperienziale e via dicendo. Da un punto di vista artistico e "costruttivo", l'argomento può direttamente interessare ad esempio registi, coreografi, performer e cineasti intenti a compiere scelte appropriate in relazione ad azioni performative da elaborare e da mettere in forma, con particolare riferimento alla gestione dello spazio. Ma, d'altra parte, la questione può diventare oggetto di interesse e di studio anche solamente su un piano esperienziale, di tipo personale. Per questa ragione il confronto tra spazio scenico e spazio generico - o ambientale che dir si voglia - è stato preso in considerazione ed è anzi rientrato fattivamente nel tragitto di indagine.
Sulla base di tali presupposti, l'esperienza della comparsa (con conseguente gestione in termini visivi e performativi) dell'oggetto prescelto - dinanzi agli occhi delle astanti o degli astanti - è stata vista come un vero e proprio ausilio per lasciare facilmente agire la sostanza di una sollecitazione primaria.
Cosa si intende per sollecitazione primaria?
Si intende naturalmente una sollecitazione non soggetta ad elaborazione sostanziale. La risposta - anche sensoriale - derivante da tale comparsa, in genere, risulta essere improntata a istantaneità e immediatezza.
Delle minime o consistenti ricadute psicofisiologiche (e anche acustiche come vedremo più avanti a proposito della comparsa di un suono o di un elaborato sonoro) sono tuttavia sempre presenti, anche se di natura istantanea o inconsapevole. Esse tendono naturalmente ad arricchirsi, volta per volta, di equivalenti tracce mnemoniche.
La specificità dell'oggetto chiamato in causa: le caratteristiche formali e dimensionali
Andando più in dettaglio si potrà qui riferire come l'oggetto chiamato in causa, per il dispiegarsi della prima parte dell'esperimento, sia stata una maxi-foglia di natura scultorea, di consistenza oltremodo rigida e particolarmente degna di nota, in virtù delle dimensioni rimarchevoli e delle fattezze singolari, assimilabili in toto a un'imbarcazione.
Già da ora potrà essere segnalato come tali caratteristiche, sia formali sia dimensionali, così come la similitudine con l'imbarcazione, abbiano fornito, strada facendo, l'imput per determinare la costruzione (e quindi la trasmissione) di una metafora adeguata, che potesse condurre, più avanti, a descrivere proprio il processo musicale - e la realizzazione ad esso collegata - come un fatto dichiaratamente fluente. Ma non è su questo aspetto che si creerà qui un approfondimento vero e proprio.
Invece, in un clima di attesa e di attenta disponibilità, nella fase iniziale, si è più che altro osservato quale potesse essere l'effetto generato dalla comparsa dell'oggetto suddetto, soffermandosi in modo prioritario sulla sensazione provata nel qui e ora. Una sensazione chiaramente accentuata dal dinamismo dell'azione, collegato a sua volta con la presentazione dell'oggetto medesimo.
Concentrandosi sui riflessi relativi alla soggettività è stato possibile muovere le prime riflessioni ed elaborazioni. Il dinamismo dell'azione è stato in ogni caso - e da subito- visto anche come un fatto ritmico - espressivo. A partire dalla reattività personale in uno spazio generico, il discorso è stato facilmente ricondotto in direzione della complessità che è propria di un'esperienza artistica altamente configurata e, in particolare, ci si è mossi in direzione di un approfondimento concernente uno spettacolo di danza contemporanea, che porta la firma del coreografo Akram Khan.
Si tratta di uno spettacolo sul padre, sulla patria, intitolato Desh. Ho avuto modo, tempo fa, di recensire questo lavoro nel volume intitolato Apparati di suoni metodicamente cruciali (La città e le stelle), nel capitolo Linee di tangenza e ampliamenti della riflessione (Nuovi assetti nella danza e nel gesto). Rimando eventualmente alla lettura delle pag.71 e 72 del volume suddetto. Il titolo del paragrafo è il seguente: Akram Khan in un corpo esacerbato o di contro avvolto di quiete.
L'esperienza minima-costruttiva collegata con la reazione puramente individuale e, di contro, l'esperienza complessa (artisticamente configurata e oltremodo strutturata) sono divenute dunque quasi dirimpettaie.
Ciò che mi interessa porre in evidenza, all'interno dello spettacolo di Akram Khan, è proprio l'affascinante forza costruttiva che può emergere, sin dall'avvio. Essa risulta determinata proprio dalla gestione mirabile degli oggetti scenici prescelti e dalla loro apparizione e conseguente stabilizzazione anche in termini visivi. Si tratta, nel caso in questione, di una vera e propria parsimonia di oggetti ovvero una lampada dotata di una tiepida luce e, di contro, un massiccio martello con cui viene colpito vigorosamente il suolo (alias palcoscenico). Sulla base di queste scelte sceniche minime, seppur incisive, va a snodarsi sapientemente l'itinerario coreografico nella sua complessità, mediante la corporeità viva e l'azione fluente del danzatore, impegnato nel suo assolo da inizio a fine.
Un contributo sonoro di natura fortemente iterativa si innesta in tale contesto (il suono è curato da Jocelyn Pook), dando adito alle sapienti evoluzioni del movimento.
È stata proprio la visione condivisa di alcuni frammenti in video dello spettacolo Desh che ha reso possibile l'allineamento di diverse constatazioni, utili al consolidarsi del dibattito in costruzione.
In virtù degli apporti oggettuali, sonori e coreografici, nello spettacolo di Akram Khan, viene dunque restituita una visione caratterizzata da inequivocabile maturità. Questo fatto può condurre più ampiamente a discorrere di parametri stilistici peculiari e di quanto o come possa rivelarsi convincente l'azione scenica o performativa, sulla scorta di una sostanziale efficacia strutturale nonché spaziale. Gli esempi da citare potrebbero essere davvero numerosi.
Ad ogni modo non solo l'oggetto scenico può essere suscettibile di indagine. Seguendo una direzione multicentrica anche l'oggetto d'arte, nella fattispecie, può arrivare ad esser preso in considerazione all'interno di un discorso analitico, per l'appunto fondato su un ampio respiro. Suggerisco vivamente la lettura - a tale riguardo - del volume intitolato Inside the White Cube (L'ideologia dello spazio espositivo) di cui è autore il critico americano Brian O'Doherty. La pubblicazione porta il marchio di Johan & Levi editori. L'introduzione è firmata da Thomas McEvilley, il quale, a proposito dello spazio espositivo, fa notare come, nel corso delle sue evoluzioni, esso sia arrivato tendenzialmente a "fagocitare" l'oggetto in sé o comunque a modificarne il carattere saliente (anche isolabile da un punto di vista concettuale). C'è dunque un chiaro riferimento alle mutazioni del contesto.
In particolare ritroviamo le seguenti parole:
"L'esame degli oggetti in rapporto al loro contesto è stato un tratto distintivo, e geniale, del Novecento che ci ha portato ad attribuire una funzione formativa al contesto e infine a considerarlo come un oggetto a sé stante. [...] Forse per la prima volta nella storia della critica, lo studio si incentra sugli effetti che il contesto severamente controllato dalla galleria d'avanguardia ha avuto sull'oggetto d'arte e sull'osservatore e sul modo in cui, in un momento cruciale per l'arte moderna, il contesto ha divorato l'oggetto, rubandogli la scena".
Il volume si sofferma dunque sul fatto che il white cube (in quanto "camera di trasformazioni") abbia gradatamente iniziato, per l'appunto, a instaurare un legame mutevole con l'oggetto d'arte, incidendo sulle sue trasformazioni, anche in termini ricettivi. Conducendo inoltre verso forme di predominanza o offuscamento, portando verso effettivi ribaltamenti e inattesi posizionamenti (o messe in rilievo).
Da un certo momento in poi sappiamo, infatti, come la galleria possa ritrovarsi, ad esempio, clamorosamente vuota, oppure restare chiusa per tutta la mostra, simulare uno spazio della vita reale, essere impacchettata insieme all'edificio, ospitare tableaux vivants o happenings più o meno scioccanti. Sono questi solo alcuni dei gesti più radicali compiuti e citati, ma anche ampiamente descritti dall'autore. L'elenco anche in questo caso potrebbe di gran lunga essere ampliato.
Di seguito i titoli dei vari capitoli da porre in evidenza : Osservazioni sullo spazio espositivo, L'occhio e lo spettatore, Il contesto come contenuto, La galleria come gesto, Studio e galleria. Il rapporto tra il luogo in cui l'arte si crea e lo spazio in cui viene esposta.
Tornando tuttavia allo spazio scenico, sarà possibile citare en passant anche la maestria di Dimitris Papaioannou, metteur en scène greco, imbevuto di una contemporaneità in parte visionaria.
Contrario a una danza "decorativa" situabile all'interno dei musei, egli elabora un pensiero di certo controcorrente. E di questo ci parla Marinella Guatterini nell'introduzione al catalogo apparso per Silvana editoriale. La pubblicazione è incentrata sullo spettacolo Sisyphus/ Trans/ Form svoltosi per la Collezione Maramotti di Reggio Emilia. Il titolo dello scritto introduttivo è Non vivere tristemente.
I cinque performer implicati sono stati visti come creature pronte a diventare sculture e ad essere in procinto di trasformarsi in opere d'arte. Per evitare ambigui parallelismi, negli spazi della Collezione Maramotti, Papaioannou ha deciso di coprire ogni pezzo in esposizione. Nel suo caso dunque l'oggetto-scultura diviene fattivamente il corpo.
O meglio, i corpi - nella performance in questione - sono, in tutto e per tutto, simili a presenze spettrali "che si aggirano nello spazio, in cerca di un anelito di vita". I progetti di Papaioannou in verità non sono mai immobilizzati in una forma predefinita. Il sincronismo tra corpo ed energia assume una valenza fondamentale e l'alone portato dall'azione o dal contributo site specific diviene oltremodo costitutivo. E il tutto nel segno di una ricerca improntata a "funambolico equilibrio".
La relazione tra sfera visiva e uditiva
Il gruppo coinvolto nell'esperimento era stato sin da subito preparato ad affrontare l'ipotesi di un possibile e diretto confronto. Un confronto tra la comparsa istantanea di un oggetto e, viceversa, di un suono o elaborato sonoro, in modo tale da rapportarsi con una specifica forma di reattività, volutamente in relazione a due differenti sfere sensoriali, distinte e distinguibili.
Ricapitolando, il binomio tematico ha condotto strada facendo a collegare agilmente un insieme di riflessioni generate dall'impatto derivante dalla comparsa di un oggetto (per una messa in rapporto tra oggetto di natura generica e oggetto scenico) con il corpus di riflessioni ulteriori generate dall'impatto derivante dalla comparsa e dall'istantaneità di un suono e/o rumore specifico, di carattere conclamato, isolabile e sopraggiunto come evento inaspettato. Il passo successivo è stato dato dall'ascolto di un brano dalle caratteristiche salienti ed evidenziabili.
L'entrata all'interno di un gioco sinergico di tale natura è stato l'assunto di base intorno a cui è stata fatta ruotare la seconda fase dell'esplorazione in corso.
E tale gioco sinergico è stato nuovamente fondato su una variegatezza di stimoli, a partire da un impulso iniziale, legato per l'appunto all'immediatezza. Un'immediatezza sorretta in primis dall'azione e da una conseguente reazione ad essa correlata.
Ogni passaggio effettuato è stato seguito da una zona appropriata di riflessione. Silenziosa e personalizzata o, al contrario, opportunamente condivisa.
Le sollecitazioni sonore a differenza dell'elemento oggettuale, presentato in modo frontale, hanno avuto luogo anche di spalle, lateralmente e in forma parzialmente nascosta rispetto ai fruitori.
A ben vedere anche un brano musicale può giungere alle nostre orecchie come un fatto improvviso e inaspettato, soprattutto se inquadrato come un fatto esogeno, vale a dire portato al nostro cospetto dall'esterno o generato da una circostanza parzialmente o totalmente aleatoria.
Potrebbe infatti non esser presente la scelta deliberata di ascoltare volontariamente quel brano specifico.
Eppure la realtà contingente in vari casi ci dà modo (o può darci modo) di usufruirne e di riceverne un'effettiva consistenza.
Come nel caso della sollecitazione visiva si è optato per un confronto serrato tra realtà sonora quotidiana (quasi vista come un fatto pre-linguistico) e realtà sonora saldamente articolata e variamente configurata, dunque ricevibile come un fatto compatto e strutturalmente compiuto.
Partendo dal presupposto che uno strumento musicale sui generis (anche un singolo strumento in verità) all'interno di un ensemble misto oppure all'interno di un'orchestra vera e propria sia in grado di generare talvolta un'inusitata sorpresa, si è affrontata un'appropriata sessione guidata di ascolto.
L'ascolto analitico ha fatto leva sulla composizione di Philippe Manoury intitolata États d'alerte, dove compaiono inaspettatamente dei fragorosi e inebrianti fischietti, affidati ad alcuni degli strumentisti intenti a suonare, di pari passo, i loro strumenti abituali, in seno al corpo orchestrale.
Il brano ha una durata di oltre 20 minuti
Ed è sempre interessante notare come l'oggetto, tratto dalla realtà sonica quotidiana, compia un passaggio determinante e decisivo nel momento in cui si ritrovi ad essere incorporato flessibilmente all'interno della struttura compositiva vera e propria.
Esempi analoghi, nei repertori contemporanei, li ritroviamo con grande frequenza.
Il Poème simphonique di Ligeti, che vede come protagonisti dei metronomi schierati quasi in forma corale, è di certo un caso emblematico, su cui portare l'attenzione visiva e uditiva.
(fine prima parte / la seconda e ultima parte verrà pubblicata entro giugno 2025)
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