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La promessa della notte

Saggio

Renato Minore
Donzelli Editore

Recensione di Maurizio Soldini
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Pubblicato il 13/04/2012 12:00:00

La promessa della notte. Conversazioni con i poeti italiani


Che cosa è la poesia? Ma soprattutto chi sono i poeti? I poeti che hanno abitato il Novecento sono stati tantissimi. In un secolo breve ma pure così intenso da aver dato la stura alle visioni alle figurazioni alle poiesi alle prassi e nello stesso frangente a una parola che ha incarnato l’esistenza in un dire che, nonostante tutto, come ha scritto Stefano Verdino, rappresenta una necessità etico - estetica ineludibile dell’uomo, soprattutto quando la parola si fa poesia. Il nostro bisogno di dire e di parlare, anche in versi, è inalienabile: “giacché è pur vero che la sismografia accidentale e frantumata dell'esistere, con i suoi colpi di vento consente anche dati di acquiescenza come "lo sbocciare sempre nuovo / del senso rabbonito della vita", che è anche quanto non inficia il nostro comune destino e giustifica altresì il nostro bisogno di dire e di parlare, anche in versi”. Tra i tantissimi poeti del Novecento italiano ne abbiamo, nel libro La promessa della notte. Conversazioni con i poeti italiani di Renato Minore, critico letterario e poeta egli stesso, una rassegna di ben ventuno tra i maggiori protagonisti della nostra poesia contemporanea. Il libro è strutturato così da offrire per ogni poeta un piccolo ma esauriente quadro introduttivo alla bio-bibliografia di ciascuno di essi. Segue una conversazione con il poeta sollecitato dalle acute domande di Renato Minore, che stimola alla circostanziazione dei vissuti che hanno determinato i topoi e le poetiche di ciascuno senza tralasciare la concretezza offerta dall’aneddotica e dalle memorie di ciascuno correlate ai rispettivi genius loci abitati da quella natura da quelle persone da quei familiari da quei maestri da quegli affetti da quei libri da quelle scuole da quei paesaggi dalle dimensioni e interiori e esteriori dagli eventi della storia collettiva e individuale che hanno dato il là ad una ben precisa poetica. Ecco allora Attilio Bertolucci nella sua tana la casa romana di Monteverde parlare della sua poesia e dei figli ma in generale della sua famiglia che è stato il filo rosso della sua ispirazione. Carlo Betocchi parla dei suoi amici poeti e dell’ispirazione votata alla “poesia come innamoramento dell’universo” con “un senso di riconoscenza verso l’infinito e nell’infinito, scorgendo in esso la religiosità”, quando racconta la genesi della sua prima poesia. Ignazio Buttitta trasuda poesia da tutti i pori, ha fatto della poesia una forza rappresentativa della vita e racconta le sue vicissitudini che l’hanno condotto attraverso la poesia a liberarsi dalla tristezza giovanile. Giorgio Caproni è convinto che “con la poesia, da fatti autobiografici, si scava in se stessi: ma si va proprio in giù, come un minatore, e si può trovare una zona dell’io che è di tutti, che era in tutti, soltanto che negli altri dormiva”. Il poeta per Caproni è lo scopritore di “nodi di luce che sono di tutta intera la tribù”. Nella poesia c’è il paradosso del narcisismo che conduce agli altri. Carolus Cergoly celebra la sua triestinità nell’atmosfera tutta mitteleuropea presenti Joyce Svevo Saba ma con un occhio teso alla poesia dialettale romanesca di Trilussa e Belli. Franco Fortini risponde all’accusa di essere uno scrittore “difficile” con la convinzione che “non bisogna concedere tregua al lettore”. Giovanni Giudici è colto nel suo rapporto sentimentale con Roma; in particolare con la zona di Montesacro,  “quasi al Tufello”, dove è vissuto fino a trentadue anni. Un’adolescenza imbevuta di educazione cattolica che nella giovinezza troverà congiungimenti con la fede comunista. Un percorso di vita e poesia legati nella coerenza di dare senso all’esistenza attraverso una progettualità con l’aspirazione ad una totalità che riesca a dare speranza, soprattutto metafisica, morale, affinchè se profitto ci debba essere, questo appartenga al sentimento, al cuore. Alfredo Giuliani auspica un futuro sonoro per la poesia pensando alla possibilità di ascolto della poesia per radio. Tonino Guerra è colto nella sua lingua vernacolare sanguigna e asciutta, tra i suoi aneddoti, nel suo mondo romagnolo, che sarebbe diventato lo sfondo di tante sceneggiature scritte per Federico Fellini. Franco Loi scrive per lo più in milanese e alla domanda se questo rappresenti un ostacolo per il lettore dice che il problema non è il dialetto, bensì l’allontanamento della gente dalla poesia. Mario Luzi affronta diverse tematiche esistenziali tra fede religiosa e cultura nel passaggio di un tempo caratterizzato dal Concilio Vaticano II. Alla domanda sulla poesia, se conserva ancora fede nella poesia di un tempo lontano, Luzi risponde che la poesia è stata “la ragione di vita. Senza il confronto con la parola, non avrei trovato una possibilità sufficiente d’impegno e di convinzione nella continuità dell’esistere, nell’essere presente nel mondo”. Per Luzi non è pensabile una dimensione dell’esistenza senza la poesia, senza la fede nella poesia. Alda Merini è la favola incarnata in una vita di folle amore per la poesia e per la stessa vita vissuta all’ombra dell’incoscienza dello scrivere, che viene da solo, spontaneamente. Il poeta non deve fare altro che mettersi in ascolto di questa follia e percepirla e prenderne atto. Per la Merini non la poesia, ma la follia salverà il mondo. Elio Pagliarani parla della sua poesia che è la sua vita, della sua vita che è la poesia. Poesia con vezzo estetico ma in una forte intelaiatura etica quella di Pagliarani, che con le sue narrazioni descrive il mondo e la sua realtà con la speranza di trasformazione sociale del mondo. Ma prima di tutto la poesia deve essere letta, gridata, tra la gente. Albino Pierro tra memoria e presenza tra origine tursitana e  stanza romana vissuta all’ombra del mito di Immanuel Kant. La poesia di Pierro non ha bisogno degli esterni, si ciba di sola interiorità, un’interiorità stanziale, acinetica. Con l’ossessione di una lingua dialettale che si fa monumento della storia. Antonio Porta è l’intellettuale che a un certo punto della sua vita si decide solo per la poesia e a questa si vota decidendosi per la felicità. Poeta ottimista, a cavallo di vitalità e felicità, Antonio Porta è convinto che l’arma per sconfiggere l’aura apocalittica sia l’ottimismo. La felicità è possibile. E in questa possibilità il poeta può fare e dare qualcosa di diverso con il linguaggio che deve essere differente da quello mediatico tenendo però sempre presente la necessità di comunicare qualcosa. Il ruolo del poeta oggi dovrebbe essere “ Quello di stare immerso nel linguaggio. Da una parte di interpretarlo, dall’altra di modificarlo. … La poesia fa uscire dall’imposizione piatta del linguaggio dei mass media. Il poeta deve esprimere quel qualcosa che c’è nel tempo, Freud lo chiamava il ‘ già noto ’, ad esempio l’esperienza dell’infanzia”. Giovanni Raboni si picca un po’ nel sentire “linea lombarda”, dice che è un’etichetta di comodo che non dice poi molto, ma inconsapevolmente ne fornisce una lucida definizione quando afferma: “Come cultura in generale, mi riconosco moltissimo nell’essere lombardo che significa rimpianto illuministico, una certa fede scettica nella ragione e un certo attaccamento al reale, al particolare. Ciò significa vedere la città – [la sua Milano] – come modello possibile di vita ragionevole, nonostante tutto”. Amelia Rosselli abita una mansarda di poesia di storia di consapevole inconscio e viceversa vicino a Piazza Navona. Una piccola abitazione con una stanza dalla finestra della quale anziché avere la visione del fasto e della bellezza a portata di mano di una Roma sorniona nella sua eternità si scorgono fughe di tetti e coppi. Le stesse fughe dell’anima in cui si inabissa per risalire la poesia tutta esistenziale e psichica della Rosselli. Una poesia che da sfogo diventa sfocata nel finimento della soggettività nel volere eludere il tu e soprattutto l’io a beneficio del noi. Roberto Roversi sostiene l’impegno civile del poeta che deve avere il coraggio di sporcarsi le mani per tornare a lavarle continuamente con la libertà attraverso il lavacro dell’ironia, del dissenso, attenti a non farsi travolgere dalla stessa libertà. Non dimenticando che la poesia deve avere il suo bell’impegno civile, ma senza disdegnare l’occasione, il canto del contingente, del sentimento momentaneo, di questa necessità di usare la comunicazione in poesia. Edoardo Sanguineti è il bardo di una poesia tutta familiare fatta di esperienza riflessa e sublimata ma sempre attenta ad evitare il manierismo del “poetese”. Maria Luisa Spaziani è poetessa dalla pronuncia nitida con una certezza ben radicata che “la poesia potrà tornare a ricoprire un ruolo centrale nella società del futuro”. Andrea Zanzotto è poeta stretto tra natura e cultura, tra centro e periferia, tra dentro e fuori, tra interiorità ed esteriorità, tra ragione e fede, tra certezze del conscio e incandescenze dell’inconscio, tra scienza e metafisica. E la poesia è per lui “memoria  [di tutto ciò] nel senso più alto del termine”. “La vita tende a darsi una giustificazione, non a togliersela”, ecco il perché la poesia non può tradire quello che la vita chiede e la scienza spesso nega. Ed ecco perché Zanzotto dice: “Non mi convince il ragionamento che dice: va bene, hai voluto vedere come stanno le cose, eccoci a una insensatezza finale, la storia è questa senza né capo né coda. C’è promessa nella notte”. E forse con la poesia l’uomo attua questa promessa tutta orfica di poter sconfiggere il non senso e il nulla. La promessa della notte è un libro molto bello e nello stesso tempo affascinante. Ti consente di entrare nelle fucine e nell’anima di ventuno poeti tra i più rappresentativi del nostro tempo e ti consente di venire a contatto con la metapoesia e le poetiche di autorevoli voci, che Renato Minore ha fatto parlare per noi, regalandoci per ognuno un assaggio dei loro versi, donandoci un vero e proprio monumento di esistenze poetiche e nello stesso tempo di spaccato di storia letteraria. Un libro che non può non essere letto, soprattutto da chi ama la poesia, perché legge la poesia e soprattutto se scrive poesia.



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