:: Pagina iniziale | Autenticati | Registrati | Tutti gli autori | Biografie | Ricerca | Altri siti ::  :: Chi siamo | Contatti ::
:: Poesia | Aforismi | Prosa/Narrativa | Pensieri | Articoli | Saggi | Eventi | Autori proposti | 4 mani  ::
:: Poesia della settimana | Recensioni | Interviste | Libri liberi [eBook] | I libri vagabondi [book crossing] ::  :: Commenti dei lettori ::
 

Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

Sei nella sezione Recensioni
gli ultimi 15 titoli pubblicati in questa sezione
Pagina aperta 1291 volte, esclusa la tua visita
Ultima visita il Sat Jun 8 00:52:00 UTC+0200 2024
Moderatore »
se ti autentichi puoi inserire un segnalibro in questa pagina

Crème Caramel

Poesia

Tina Emiliani
LietoColle

Recensione di Gian Piero Stefanoni
[ biografia | pagina personale | scrivi all'autore ]


[ Raccogli tutte le recensioni scritte dall'autore in una sola pagina ]

« indietro | stampa | invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi | Commenta » | commenta con il testo a fronte »




Pubblicato il 01/12/2015 12:00:00

 

Libro d'amore e dunque libro di vita, di una vita insieme intensamente promessa, accarezzata e recisa per la scomparsa improvvisa del suo lui, dell'amato bene che a meteora ne ha attraversato il cuore e il cielo, questa nuova prova di Tina Emiliani, autrice romana qui al suo quinto lavoro. Così nella resa è proprio bruciante l'aggettivo che meglio va a descrivere il libro nella varietà delle sue incisioni. Sì, bruciante perché arco bellissimo di un dono e di un incontro inaspettato nella reciprocità di corpi e anime finalmente libere e per questo ancora caldo nella sua fine della densità di promesse e dolcezze infinite e poi dunque sempre più fermo, fisso nel dolore alto della mancanza e dello svuotamento, nel sapore amaro di una ferita cui solo il ricordo può arrecare con sé lenimento. Ed è la poesia allora a raccogliere fin dall'esergo da Neruda ("Voglio che ciò che amo continui ad esser vivo/ e te amai e cantai su tutte le cose"), nelle istanze che la distinguono il racconto che nel detto, nella pronuncia può in qualche modo scuotere raccogliendo sotto diversa luce passioni ed emozioni chiuse dal grido di morte. Nel viatico del diario a ritroso la Emiliani ci riconduce tappa per tappa entro le stazioni di una stagione e di un'anima che le ha cambiato, stravolto ma innamorato la vita alla ricerca strenua, sanguinosa, molto, molto femminile di ritrovare, trattenere qualcosa che quella stessa vita e quella stessa anima possa come detto salvare. In un' estenuante rincorsa ecco sfilarci davanti innamoramento, passione, conoscenza e cura reciproca, progettualità e vita in comune e poi l'ospedale, l'angoscia, la fine e l'onda di azzeramento che nel travolgerla la strattona e la inchioda, nell'assimilazione la penetra ma nel miracolo dell'unione (quel fiore, quella rosa che lui amava tanto donarle) comunque non la infrange, non la vince. C'è infatti qualcosa che ha del cristallo in questa scrittura limpida, densa, chiara in cui anche lo sgomento, il ventre colpito e lasciato solo nella regione del lutto dove il terreno frana aiuta a sopravvivere, a ricucirsi sempre, a cercarsi sempre- ché qui poi è l'umana ragione. Scrittura, ancora, in un esercizio di fede che per affidamento e stupore, nella confidenza con la solitudine del male che ogni donna porta con sé, la consegna in alcuni tratti -e non sembri un azzardo nell'equilibrio del paragone- ad alcuni esiti cari ai lirici greci per quel sole e quella luna alle cui scie si rivolge nell'intreccio maestro di aspirazioni e ricordi. Nudità esposta che quotidianamente proprio nei suoi affondi, proprio nell'oro di certa ordinarietà perduta la rinnova: giovani coppie tra abbracci ed effusioni pubbliche, luoghi e gesti cari del ricordo che le fanno sentire, oltre l'intensità dei primi lunghi impatti, più forte la presenza del suo amore bello "che vince il buio" ed il cui calore come l'amore stesso appunto non morendo "lieve si innalza/ e si espande, e fiori gli rubano il profumo". Il grido imploso così piano piano si sfibra, non più mozzo a risuonare entro sé come un gemito, confessa la propria felicità di ricordo libero, intatto, puro a vincere rimpianti di insufficienze e incomprensioni e senza più necessità di costruire mondi di separazione tra richiami e realtà di morte a dimostrazione infine che l'impasto dell'antico lievito "è rimasto vivo", l'uomo non più perduto ma accanto a sé ("e che importanza ha se gli altri non ti vedevano") sul Ponte Carlo a Praga nell'esaudimento di un comune sogno. Un testo in conclusione assai degno in cui la poesia in assunzione catartica porta anche teneramente, disperatamente, finalmente diremmo, in superficie quel po' di valore terapico che è nelle sue corde.

 

 


« indietro | stampa | invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi | Commenta » | commenta con il testo a fronte »