:: Pagina iniziale | Autenticati | Registrati | Tutti gli autori | Biografie | Ricerca | Altri siti ::  :: Chi siamo | Contatti ::
:: Poesia | Aforismi | Prosa/Narrativa | Pensieri | Articoli | Saggi | Eventi | Autori proposti | 4 mani  ::
:: Poesia della settimana | Recensioni | Interviste | Libri liberi [eBook] | I libri vagabondi [book crossing] ::  :: Commenti dei lettori ::
 

Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

Sei nella sezione Recensioni
gli ultimi 15 titoli pubblicati in questa sezione
Pagina aperta 1209 volte, esclusa la tua visita
Ultima visita il Sat Jun 8 00:17:00 UTC+0200 2024
Moderatore »
se ti autentichi puoi inserire un segnalibro in questa pagina

Squame

Poesia

Clara Nubile
LietoColle

Recensione di Gian Piero Stefanoni
[ biografia | pagina personale | scrivi all'autore ]


[ Raccogli tutte le recensioni scritte dall'autore in una sola pagina ]

« indietro | stampa | invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi | Commenta » | commenta con il testo a fronte »




Pubblicato il 19/01/2016 12:00:00

 

Quarantenne traduttrice editoriale e scrittrice che vive fra l'Italia e l'India dopo alcuni romanzi e una raccolta di racconti Clara Nubile esordisce ora anche in poesia con un testo che ha al centro appunto il subcontinente asiatico, luogo all'autrice evidentemente caro non solo per motivi professionali. L'occhio, l'anima però che guidano i versi entro un andamento prosodico segnato da ricchi spunti lirici sono quelli di una vita ai margini dalla Nubile e l'amore cui si accompagna scientemente desiderata, aggredita e perseguita a fondersi in una quotidianità di estrema povertà e violenza per gravità di squilibri sociali e una natura anch'essa ora avvolgente ora inquietamente incalzante. A determinarne la direzione (ma in questo caso sarebbe meglio parlare di non direzione per il carattere di un esistenza sovente priva di logica e di quell'ordine forse agli occhi dei più necessari) è un imprinting ramingo che non tiene conto di ferite e smarrimenti ma che pare nutrirsi costantemente di un qualcosa di inesprimibile (squame appunto?) ricco di evocazioni e arcaiche suggestioni più che del mondo condiviso che li attraversa (e che attraversano) di un sé piuttosto scongelato, libero di agire al bisogno in consonanza alle rincorse dei propri sogni e ribellioni. Un addestramento questo che avviene allora entro una grammatica interiore che rifugge dall'ordinarietà di una vita incapace "di stabilire diottrie,/distanze" , di possedere decaloghi in un consumo che stordisce quasi sotto quel cielo di un Dio avvertito come anoressico e sazio, quel cielo meridionale di un Salento anche che sovente si riaffaccia tra echi di compressione e ancestralità di ritorno nel dilatarsi delle quotidiane reincarnazioni ( "E le ossa buie dei nostri antenati/- o erano forse gli ulivi?-/ci facevano da ombrelli,/e su di noi non pioveva mai"). Nell'irregolarità di un antagonismo che come per febbre ne altera il battito vediamo allora le due figure, tra boschi e balconi , spostamenti e sconfitte provare a diluirsi come gocce entro un amore che ricercato "venerando il tempo della polvere" li salvaguardi per confidenza solo con la severa bellezza della natura (in quella cosciente illusione che è la forza vera del testo) da una tecnologia e da un'età maledetta (incisiva in questo senso i versi in "Scardinati" dei reparti oncologici). Così il salto dai boschi della prima parte ("Boschi" ne è infatti il titolo) nella seconda ci immerge direttamente tra le strade di una Bombay (secondo la vecchia nominazione) oscura e violenta ma comunque sempre disperatamente sacra. Sacralità che nella dominazione asfissiante di un aggressività maschile (a parte l'avvocato musulmano che tenta di proteggerli) ora sottesa ora spregevolmente diretta (bambine "violentate dagli dei azzurri" a chiedere pietà o rupie) sembra preservata in questi versi dalle tante figure femminili che s'intrecciano nella presenza a regalare grazia nella miseria delle strade (esemplare in tal senso in "Kalina-Kurla road" la donna che "c'era sempre", "trionfale sul suo letto di ferro battuto" con attorno "un Impero di carta straccia" a tenere sempre con sé un librino "fra le gambe scavate dai secoli", "un breviario dei sogni" o "bestiario"). Uno sguardo allora quello della Nubile fermamente radicato nella terra (tante tra l'altro le immagini delle notti e dei sonni a dimenticare il proprio nome a contatto stretto col legno o col suolo) nella nota a perdere su tanta disperazione per uomini e dei che a suo dire continuano a sbagliare. Desolazione nel proseguo (e che ha nella bella immagine della città vista con gli occhi di un cane una compiuta descrizione) che si dilata nel sapore dell'annuncio dell'Autunno di un tempo (anche del proprio amore) e di una parola ormai estinta e comprensibile, forse, solo dai morti che "chiocciano dentro di noi" ("macchie su vestiti di seta,/quelli che non nascondiamo: l'unto/che rimbomba fra carne e apocalissi"). Andando a concludere allora è un buon testo, poco ordinario questo della Nubile, ricco per autenticità di dettato e per franchezza di scrittura ma che non sempre emoziona e coinvolge difettando a volte di un eccesso di autoreferenzialità che limita la lettura. Ma che comunque merita.

 

 


« indietro | stampa | invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi | Commenta » | commenta con il testo a fronte »