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Cronaca di un disastro annunciato

Argomento: Ecologia

di Giampiero Di Marco
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Pubblicato il 03/02/2012 10:05:54

Cronaca di un disastro annunciato


Scrivo queste riflessioni dopo un periodo di lavoro in Madagascar. Per arrivarci ho fatto un viaggio lunghissimo, dieci ore da Parigi con Air France che serve la linea per il Madagascar con un airbus giornaliero. Poi altre dodici ore di taxi bus collettivo, tra sporte di frutta e gabbie con le galline, dalla capitale Antananarivo fino a Vohipeno nella provincia di Fianarantsoa, città nel Madagascar centromeridionale, che si affaccia sull’Oceano Indiano. Paesaggio monotono sempre eguale fatto di colline verdi, una serie infinita di mammelloni ricoperti di alberi, inframmezzati da corsi d’acqua con risaie nei fondo valle. Strada tutta curve che ti fa rimpiangere una corsa in barca a vela con mare a forza sette. Finalmente si arriva, Vohipeno è una città di circa 30.00 abitanti, ma solo il 10 per cento degli edifici sono in calcestruzzo, il resto sono palafitte di legno che si ergono in grandi quartieri lungo il corso del fiume Matitanana, ricco di acque fangose.
La popolazione del Madagascar è fatta da ben 18 etnie diverse, tra le quali quella che detiene il potere sono i bantu, che provengono dal Mozambico, la seconda per importanza sono i cinesi, il resto sono indonesiani come provenienza e come fattezze, la lingua nazionale appartiene al gruppo kava-kava austronesiano.
Il Madagascar turistico si trova al nord, mentre qui e ancora di più al sud la situazione è difficile.
La gente vive in pratica nella foresta in case che sono delle vere palafitte in legno, rialzate da terra ad evitare l’allagamento possibile per il facile esondare dei corsi d’acqua. Quest’anno mi dicono questa provincia è stata devastata da un ciclone terribile che ha fatto danni enormi. Mi sembra una popolazione che esce direttamente dal neolitico, dai palafitticoli della fine del neolitico, sono in pratica gli ultimi pescatori-raccoglitori, più che cacciatori. Le foreste qui hanno poco da cacciare mentre i corsi d’acqua sono ricchi di pesce. Allevano gli zebù ma questo è un popolo di allevatori che non produce formaggio, persino i mongoli fanno il formaggio con il latte di cavallo, questi invece lasciano il latte al vitello. Gli zebù non gli servono granché neanche per i lavori agricoli, dato che non hanno inventato l’aratro, si limitano a far calpestare il fango delle risaie agli animali prima di piantarvi il riso che poi è l’unica cosa che coltivano. Un risone scuro di colore rosa e di cattiva qualità che mangiano anche tre volte al giorno se ce l’hanno.Sacrificano l’animale in occasione di un funerale, dato che hanno un grande culto per i morti. In genere si limitano a raccogliere quello che una foresta lussureggiante e generosa offre loro, dalle banane, al mandarino, al mango, al cocco, il lichi, il frutto della passione o grenadelle (che poi è la passiflora), l’albero del pane, alla manioca di cui mangiano anche la foglia tritata(che tra l’altro è buonissima con la carne del porco), alla patata dolce, lo zenzero, il caffè, e altri frutti strani come l’ampalibè e la pokanella, che hanno un sapore a metà tra l’ananas e la banana. Tutti spontanei e buonissimi, oltre ad una enorme qualtità di erbe che solo loro conoscono e i terribili peperoncini piccanti. Raccolgono il frutto della palma che gli serve per fare l’olio. Questa foresta così generosa però con l’intenso sfruttamento del bosco, soprattutto da parte dei bianchi per il legname, specialmente il palissandro, il tek, il bois de rose, l’ebano viola ed altri legni pregiati, non sostituiti con un rimboschimento adeguato (che negli ultimi tempi sono state introdotte le piante da conifera che a loro non danno niente), il continuo sfruttamento anche degli indigeni che tagliano e fanno legna da ardere e carbone, hanno da una parte aggravato la situazione oroambientale e idrogeografica con conseguente impaludamento e cattiva regolamentazione delle acque, dall’altra un impoverimento generale. Nonostante tutto, infatti, la potente medicina bianca con gli antibiotici e una timida campagna di vaccinazioni, ha fatto aumentare il numero degli indigeni, e la foresta ora non riesce più a nutrirli con conseguente problema di sottonutrizione e malattie legate alla mancanza di alimentazione adeguata come il kwashiorkor e il beri beri. Questo problema aumenterà con il tempo e tra una ventina d’anni si raggiungerà il massimo di squilibrio di sistema. Si aggiunga che non si riesce a farli diventare agricoltori moderni e a a variare la coltura introducendo nuove granaglie come il mais o il grano. La gente è legata al culto degli antenati in modo incredibile. In genere hanno due strumenti una piccola vanga concava che usano come zappa, vanga, pala, per sarchiare e per tutti i lavori, e il machete che serve per tagliare, come accetta e come falce. Ho visto usare il machete per tagliare l’erba del prato con una perizia sopraffina. Il pesce è abbondante, sia nei fiumi che nel mare, ma anche in questo caso l’uso di prendere in grande quantità i pesciolini piccoli come la nostra neonata e di mangiarli prima o poi determinerà un impoverimento della fauna ittica dei fiumi. I mercati sono pieni di questi pesciolini che si vendono sia feschi, ches eccati al sole.
La maggioranza è animista, poi è molto presente la religione mussulmana, li vedi subito dalla barba che incornicia il mento e poi naturalmente tutte le chiese cristiane nelle loro varie accezioni e già questo poco contribuisce perché tra cattolici, protestanti, metodisti, avventisti del settimo giorno, luterani e perfino testimoni di Geova non credo che gli indigeni riescano a districarsi molto. In fondo la popolazione è rimasta animista col suo culto dei morti, a questo proposito non sono nè inumatori né inceneritori, a quanto si riesce a capire, perché l’argomento è tabù, i morti del clan sono sepolti in una fossa comune. iQuesto luogo è nterdetto alle donne e noto solo ai vecchi, e lì il cadavere viene sepolto, o magari viene messo in una grande buca o una caverna naturale, da cui viene riesumato in occasione di ricorrenze, pulito e portato in giro, gli vengono fatte offerte cibarie e altro.
Dal punto di vista sanitario sono un disastro, già l’igiene in Africa è una categoria dello spirito, ma qui è particolarmente assente, non raccolgono acqua piovana e si accontentano di bere nelle pozze acqua fangosa con conseguenze tipo colera endemico, salmonelle varie, compreso il tifo. Ma il grande problema è il paludismo e la malaria di cui soffrono quasi tutti e che porta la vita media a 50 anni, poi naturalmente la bilharziosi che prendono dalle acque dove si bagnano, e la filaria dato che vanno tutti scalzi. Non manca la lebbra, l’epatite, le varie infezioni da parassiti e chi più ne ha più ne citi. Naturalmente il governo di questi non si prende nessuna cura, la medicina è a pagamento e per quanto costi poco, quel poco è tanto per chi non ha nulla.
Tanto per fared egli sempi un euro si cambia in 2500 ariari la moneta locale, e un mandarino costa cento ariari in città ma i contadini ne vendono 5 per cento ariari. In un ristorante medio di quelli che s’incontrano per la strada, dove ci si può andare senza troppi problemi si mangia con 10.000 ariari, circa 4 euro, il viaggio in taxi bus fino alla capitale costa 30.000 ariari.

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