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Metempsychosis (reincarnazio)

di Gennaro Vernice
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Pubblicato il 05/09/2011 09:04:27

Non mi è solito pranzare, dopo il mare al “Jumbo Style”; sulla piazza centrale di Coo, nelle Egadi Meridionali, quando il sole ingiallisce e diffonde, tra gli azzurri, il suo pisolino pomeridiano. Le ore intorno alle quindici, sono l’arco in cui le faretre rimangono a secco e i camerieri delle innumerevoli locande all’aperto che incrocio, ne approfittano per rimpinzarsi e sentirsi un po’ turisti anch’essi. Sui restanti tavoli siedono le mosche e l’aria inghiotte gli ultimi effluvi di una cucina sparsa qua e là, mentre un tovagliolo appallottolato decide di andarsene a zonzo proprio sotto i miei occhi, magari all’ombra, verso l’albero d’Ippocrate tra le foglie verdi decadute. Domani riparto per l’Italia e son felice di aver tralasciato gli altri sulla spiaggia a rimirare il mare. Ho smesso di fumare da qualche giorno e pur di non far del mio cervello un posacenere altruista, ho deciso di percorrere questo chilometro e mezzo senza la distrazione di problematiche e problematici da poco maggiorenni.

L’isola di Coo guarda la vicina Asia minore e assieme, non fan altro che massaggiarsi a vicenda. Il fiato delle reciproche provocazioni come schiuma sulla cresta di onde in procinto d’infrangersi nell’unica vasca da bagno.

I flutti gorgogliano e tutt’attorno rimbalzano le bolle di sapone di quest’estate duemiladue.

 

-«Ricordati che i tuoi profumi d’oriente, son come dire più aromatici o meglio, olezzosi rispetto alla mia umile sudorazione del piede».

-«Ben detto!» - Le risponde la lenticchia con capitale Costantinopoli, rincarando la dose.

-«Se lo chiamassimo conflitto teorico, staresti già bell’e affondata in te stessa!…ma rispecchiati! Più che a ricordarmi un delfino geografico, mi appari come una caccola arida venuta a galla dallo starnuto del firmamento!»

L’atollo ribatte:- «Ma ti dispiacerebbe così tanto scansarti una volta per tutte dal mio orizzonte? Il tuo è solo un nulla che blatera vuoti a rendere!…».

 

Mentre l’acqua fa “cich” e “ciach”, giungo alla meta.

-Posso sedermi qui? La ringrazio.

Il tavolo quadro è per quattro persone ma saremo solo in due a brindare: io, all’ombra e questo sole, che scalda la metà dell’orizzonte che ho di fronte.

Posto ventilato, all’angolo tra due opposte e colorate intermittenze turistiche. Una dozzina di tavoli all’aperto e odori masticati. C’è gente che vedo roteare attorno alla propria pancia, belle donne con l’alito di piombo e bambini assonnati, flosci come palloncini.

 

Pochi minuti e son sempre lì che premo il boccale di birra, tra le mani, sulle tempie. Ho ordinato una Pita, dello tzazichi e un’altra Amstel; la prima mi sta rigenerando.

Scorre fresca nel mio arido esofago e le pupille brillano; e la mia psiche dirama.

Si, certo, il sole è certamente un’entità altolocata ma con chi scambio due stronzate in italiano?

Con la cipolla nella Pita, arrivano i piedi di Ezechiele e Serafino.

 

 

*

 

 

Ore 15:46. Il sole è sul loro tavolo e ci ridono sopra. Serafino, da quanto ho capito, racconta di una macabra vicenda accaduta qualche millennio fa sull’isola nel mare di Kefalos, prima dell’avvento dei preti e del Club Mediterranee.

 

Quasi tremila anni fa, su quell’isola, viveva un uomo senza nome e senza peli sulla lingua. Per riconoscerlo tra i raggi di sole che, toccata terra, a quei tempi formavano come delle stoppe, lo chiameremo Dimitri. Eccolo lì.

Dimitri amava la sua isola, non era un pescatore e viveva solo e spensierato già da quasi tremila anni.

Un giorno l’acquolina andò a fargli visita: planò con le sue ali e gli entrò in bocca.

Dimitri ebbe fame, per la prima volta in vita sua ebbe proprio l’impressione di avere fame. Una fame mostruosa.

Annodando a uno a uno i peli della sua lunga barba, Dimitri decise di costruirsi una lenza e come esca usò un suo dito. A quei tempi, non c’erano mezzi termini.

Lanciò il suo bisogno, con tutta la forza che aveva, annodando, l’estremità all’aria aperta, proprio sulla mano sanguinante.

Passarono gli anni e lui era lì, sul bagnasciuga, eretto, pallido anzi, morto per i suoi tre quarti. Sui suoi piedi prendevano il sole i paguri, senza guscio perché si sentivano al sicuro. Sul suo nuovo metro di barba castana, saltellava il mitico Tarzan, ma che dico, le splendide varietà di Cita che si portava dietro! A quei tempi, la libertà, non era un’opinione.

Fatto sta che l’esca, pian pianino, portata in grembo dalle correnti, raggiunse profondità impressionanti e dove altro avrebbe potuto posarsi se non nel buio più atroce, sotto miliardi di metri cubi d’acqua salata gorgogliante di spugne e pesci d’ogni misura!

 

Dimitri restava sempre lì, impassibile.

Per sembrar sveglio, dato che tutti gli orifizi del suo corpo erano infestati dalle meduse o merde sfuse, respirava col cervello. Quello gli rimase.

Oggi, raggiungendo a nuoto quello splendido atollo marrone, si riceve, dopo che ci son passate così tante lune sopra, una strana sensazione di sollettichio ai piedi. Una sensazione così atipica, che vien quasi da pensare a quel dito medio, così tanto caduto in basso.

-Di questi tempi, è meglio starsene a largo, non è vero Ezechiele?

 

 

 

 



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