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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Ciao Pa, ci vediamo martedì

di Cristina Pongiluppi
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Pubblicato il 10/02/2016 03:14:31

  Arrivò di corsa, come sempre. Un appuntamento di lavoro lo aveva impegnato più del previsto. Suonò il campanello. Si sentì una voce dietro l’uscio:

- Chi è ?

- Sono io.

Si udì il rumore metallico delle chiavi che giravano nella toppa e la porta si aprì, lentamente un vecchio sorridente fece capolino.

- Ciao papà, come stai?

- Mah, siamo qui. Tu?

- Stanco. Nicolò ha di nuovo la febbre e la notte non si dorme. È già la seconda volta in due settimane.

  L’uomo si tolse la giacca e la posizionò sull’appendiabiti, vicino alla porta. La casa era sempre uguale, non cambiava mai nulla. Il profumo entrando, era sempre lo stesso, quello della sua infanzia. Da quando la mamma non c’era più però, un’atmosfera diversa avvolgeva impercettibilmente le stanze.

- Dì a tua moglie di portarlo un po’ dalla pediatra.

- Si, si l’ha già chiamata, andiamo domani. Ti ho comprato le medicine, tieni.

Posizionò il sacchetto della farmacia sul tavolo della cucina.

- Grazie, quanto ti devo?

- Niente, siamo pari, ti dovevo i soldi del libro che mi hai comprato la settimana scorsa.

I due si misero a sedere in cucina, uno di fronte all’altro.

Il figlio propose: - Facciamo una partita a carte?

- Va bene.

- Le prendo.

L’uomo si alzò, apri il primo cassetto della cucina, accanto ai fornelli, tirò fuori due mazzi di carte e disse: - Scala o burraco?

- Burraco.

- Ok.

Mischiò le carte. – Le do io?

- Va bene, io faccio i mazzetti.

- Hai uno sguardo serio, corrucciato. C’è qualcosa che ti preoccupa?

- Mah, al lavoro le cose vanno così e così. C’è crisi, non so come andrà a finire.

- Dovete andare fuori, all’estero. Cosa ci fate ancora qui?

Guardò il padre, poi distolse lo sguardo. Non ebbe il coraggio di dire quello che stava pensando: “Sto qui per te papà, perché sei tutto quello che rimane della nostra famiglia  e non posso lasciarti solo.” Invece rispose:

- Sai, è per il bambino, non sarebbe facile adattarsi. Dovrebbe lasciare il suo mondo, i suoi amici. Poi Chiara ha la sua attività, dovrebbe abbandonare tutto, su due piedi, dopo tanti sacrifici. Non credo sarebbe d’accordo.

- Siete giovani, se non lo fate ora, non lo farete più. Questo paese non ha nulla da offrire, andate via!

- Papà, temo che la situazione sia ovunque la stessa.

Così dicendo, dopo aver distribuito undici carte a testa, lasciò che il padre iniziasse il gioco. Quando fu il suo turno, pescò una carta inutile dal mazzo e la scartò sbuffando. Il padre raccolse tutto lo scarto ed il figlio disse:

- Prendi tutto?

- Prendo quello che mi serva.

- Papà.

- Dimmi.

- Alla mia età, hai mai avuto paura.

- Spesso. A volte non dormivo la notte per la preoccupazione di non sapere come mandare avanti la famiglia.

- A volte ho l’angoscia di non riuscire, di perdere tutto.

L’anziano, lo guardò di sottecchi, senza sollevare il capo, poi abbassò nuovamente lo sguardo. Fece una pausa e disse:

- Invecchiando ho capito che a tutto c’è soluzione. Sei in gamba, non ti preoccupare. Qualsiasi cosa succeda, te la caverai.

E così dicendo, mise tutte le carte sul tavolo, scartò è andò al mazzo.

- Che fortuna che hai sempre!

- Si, anche.

Il padre sistemò ancora un re e posizionò una scala di cuori sul tavolo. Poi fu il turno del figlio, che pescò e scartò la stessa carta e disse scocciato:

- Tocca a te.

- Vedi Luca, la vita è una sorpresa continua. Io ormai sono vecchio e stanco, ma tu hai ancora tutto da vivere e da vedere. Ti succederanno cose che non avevi pianificato  e saranno le più belle, ma anche le più terribili. Tu accogli tutto quello che arriva come un’opportunità. Ci affanniamo per avere mille accessori e poi il mondo è tutta tra due braccia, quelle di tuo figlio, di tua moglie o di un amico. Sono queste le cose che contano, a cui devi dare spazio, che non devi trascurare. Tutto il resto va e viene. Tutto quello che io ho conservato nel tempo, quello che è rimasto con me, sono i miei ricordi, i miei affetti. L’esistenza è un soffio meraviglioso, potessi tornare indietro mi godrei la dolcezza dei momenti che nella quotidianità sfuggono: l’istante in cui ho conosciuto tua madre; la prima volta che ti abbiamo portato a casa; la sera quando ti mettevamo a dormire; la mattina, quando ti venivamo a svegliare per iniziare una nuova giornata; la prima volta che ti sei innamorato; la prima volta che ho preso in braccio mio nipote. E’ stato un viaggio bellissimo, per assaporarlo completamente bisognerebbe affrontarlo una seconda volta. Se tu avessi la mia età, capiresti che tutti i problemi, che in questo momento ti tolgono il sonno, sono fugaci, passeggeri, futili. Di tutto questo ti rimarrà solo il ricordo delle persone cha hai intorno.

Guardò il figlio negli occhi. Chiuse il ventaglio di carte che aveva  in mano, lo posò sulla tavola. Allungo entrambe le braccia, appoggiò le mani sulle spalle del figlio e continuò:

- Vivi figliolo, vivi senza paura. Trova il tempo di ridere, di vedere posti nuovi. Coltiva gli amici, sono importanti quanto l’amore. E poi ricordati di regalare dei fiori a tua moglie, lasciale dei bigliettini sul cuscino, accanto alla tazzina della colazione, dentro la borsa. Dille tutto quello che provi per lei, trova il modo di farla sentire sempre speciale. Anche Nicolò, non sgridarlo troppo. Te lo dico per esperienza, passa sopra a certe cose, non sono importanti, lo capirai col tempo. Ridi con tuo figlio, passa con lui più tempo che puoi, crescerà in un attimo, senza che tu te ne renda conto.

- Tu ora parli così, ma quando ero ragazzo io non la pensavi allo stesso modo.

- Lo so, ma si cambia. L’esperienza ci insegna tante cose. La vita è una maestra inflessibile, impartisce le sue lezioni con perseveranza e cinismo.

Il figlio prese una carta dal mazzo e finalmente fu in condizione di scendere. Posizionò sul tavolo una scala di picche, un tris di assi, quattro sette e una scala di cuori. Forse stava sbagliando gioco, aveva ancora due carte in mano e non riusciva ad andare al mazzo. Non riusciva a  concentrarsi. Scartò e chiese:

- Papà hai paura di morire?

- Alla mia età la morte diventa una compagna. Si è portata via la mamma, i miei fratelli, quasi tutti gli amici. Non la posso temere, quando arriverà ritroverò gli affetti che mi hanno dimenticato qui. Spero.

- Hai mai pensato ad arrenderti? Dico seriamente, staccare la spina, dire basta?

- Credo, credo di no. Ci sono stati momenti difficili, in cui ho creduto di non farcela, ma la resa, credo di no, credo di non averci pensato. Ci siete tu e Nicolò. Perché me lo chiedi?

- Così

- Cosa vuol dire “così”?

- Ultimamente mi capita di chiedermi come sarebbe la vita delle persone che ho intorno senza di me. Secondo te faccio la differenza? Voglio dire, se domani finisse tutto? Se tutto scomparisse, come un’illusione? O meglio tutto continuasse senza la mia presenza, rimarrebbe il vuoto della mia assenza? O lentamente verrei riassorbito dal flusso della vita?

- Ma che domande sono? Figlio mio che pensieri brutti! Certo che si sentirebbe la tua mancanza. In maniera insostituibile.

- Tu dici?

- Io vivo l’assenza della mamma in tutto ciò che faccio. Mi sveglio la mattina, allungo la mano e la cerco al mio fianco. A volte mi sembra quasi di percepire il suo profumo. Mi lavo, mi vesto e mi sembra di sentire la sua voce che mi rimprovera: “Hai lasciato tutto il dentifricio sul lavandino, pulisci per favore!”. Faccio la spesa e scelgo la frutta, i formaggi che preferiva. A volte mi trovo a cucinare i suoi piatti preferiti, solo per avere in casa le stesse fragranze di quando c’era lei. Talvolta sono in piedi, davanti allo specchio, e lei mi parla: “Sistema il colletto e poi butta via questa camicia lisa”. Non mi libererò mai di quella camicia, è stata l’ultima che mi ha comprato. Lei ormai è dentro di me. Per la tua famiglia è la stessa cosa.

- Per te è diverso papà, avete vissuto insieme più di cinquant’anni.

- Ascoltami Luca, non farti prendere dallo sconforto. Se qualcosa non va, abbi il coraggio di cambiarla. Se non abbiamo il coraggio di cambiare quando le circostanze lo richiedono, se preferiamo chiudere gli occhi e abbandonarci alla disperazione, piuttosto che lottare per stare bene, la nostra vita perde significato.

- Non è così semplice.

- Invece lo è. Il problema è che quando siamo infelici ci abituiamo all’infelicità e dimentichiamo che la felicità esiste ed è altro.

  Il padre raccolse tutto lo scarto, lo riunì in un mazzetto e poi lo mise con le altre carte che aveva in mano.  Le sue mani erano aggrinzite, tramavano impercettibilmente. La sua vista non era più quella di un tempo. I suoi occhi, una volta limpidi come l’azzurro del cielo estivo, erano annacquati, velati, avevano perso la loro intensità. Sembravano più piccoli, sotto il peso delle evidenti rughe che segnavano la pelle. Del giovane bello, prestante e spavaldo degli anni sessanta non rimaneva nulla. Al suo posto un anziano, incurvato, con pochi capelli bianchi sulle tempie. Il rossore degli occhi raccontava storie di lacrime versate negli anni, ma quando rideva, la sua risata aveva sempre la stessa energia.

  Si leccò l’indice, per separare un sette di denari da un quattro di picche. Fece spazio sul tavolo e poi, una carta alla volta, sistemò una scala di denari, quattro sei, attaccò una pinella alla scala di cuori esistente, scartò l’ultimo tre di fiori che aveva in mano e disse:

- Ho chiuso.

- Uffa, vinci sempre tu! Che ore si sono fatte?

- Non riesco a vedere. Guarda l’orologio sul forno.

  Luca si piegò leggermente in avanti e con le gambe spinse la sedia, mentre si alzava in piedi. Era un bell’uomo. I suoi occhi blu erano intensi, i capelli neri, brizzolati sulle tempie, gli conferivano il fascino dell’uomo maturo, sicuro di sé. Sebbene vestito in maniera informale, era di un’eleganza impeccabile. In questo assomigliava al padre. La polo blu, perfettamente aderente, lasciava immaginare un fisico prestante, modellato da una corretta alimentazione e dalla pratica sportiva. Era molto curato, eppure le sue mani raccontavano una storia diversa: sciupate, le unghie malridotte, lasciavano traspirare ansia e preoccupazione. Alla mano sinistra la fede ed un Hublot, ultimo modello, a rimarcare il suo buongusto.

- Sono le 18:00, devo andare Papà, mi dispiace.

- Non ti preoccupare, vai, vai. C’è la famiglia che ti aspetta. Dai un bacio al bambino e a tua moglie.

- Grazie papà, mi ha fatto piacere parlare con te.

- Anche a me.

- Ti voglio bene papà, anche se non te lo dico mai.

- Lo so. Anche io ti voglio bene.

- Ciao, vado.

Prese la giacca blu dall’attaccapanni. Infilò il braccio destro, quello sinistro e si sistemò il colletto. Controllò in quale tasca fossero chiavi e cellulare, dopodiché allargò le braccia per serrarle dietro la schiena del padre.

  Da giovane, quando lo abbracciava, quel corpo era la sua montagna. Si appoggiava alla sua pancia per essere avvolto e protetto dalle braccia del genitore, per sentirsi al sicuro. Ora, i ruoli si erano invertiti. Nel cingere quel anziano consumato dagli anni, lo sentì fragile, precario, indifeso.

  Aprì la porta di casa. Quando aveva già varcato la soglia, si voltò e disse: - Ci vediamo martedì, se riesco, ok?

Mentre pronunciava queste parole premette il pulsante per chiamare l’ascensore.

- Certo, quando riesci, non ti preoccupare.

  L’ascensore arrivò e l’apertura delle porte fu accompagnata da un suono metallico. Entrò e disse:

- Ciao Pa.

- Ciao Luca.

  L’uomo si voltò e con la mano fece un cenno al padre che sorrideva. Provò una nota di malinconia nell'osservare le porte dell’ascensore chiudersi davanti al vecchio padre.

  Quella fu l’ultima volta che lo vide.


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