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La luce e la nebbia

di Antonio Zifaro
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Pubblicato il 04/10/2020 18:22:38

Cap. 35

Linda.

La mia gomma da masticare, verde e rosa, sprigiona il suo profumo di menta e di plastica mentre naviga e si spande nella mia bocca. Mi si appiccica ai denti e alle labbra finché non ne ho più voglia e la tiro via. Ma appena la sputo si allarga sorprendentemente fino a disegnare i contorni di un campo di erba verde schiacciato sotto la luce radente di quattro riflettori. I fiati della gente che ansima sugli spalti del grande campo da baseball scaldano la gelida notte. I giocatori sono incollati ciascuno alla propria base. Mi scopro inaspettatamente in mezzo a loro, vestita in pantaloncini e maglietta blu, la divisa del mio college. La visiera di un cappellino bianco mi ripara dalla cascata di occhi che mi spiano e di bocche che mi gridano addosso. Il pubblico è pronto a commentare ogni gesto, a schernire ogni caduta, ad incitarci ad ogni punto. Ecco il problema. Mettere a segno più punti che si può per restare in squadra. Per un minuto di applausi che spariranno veloci nella brina, appena le luci si saranno spente. Un ragazzo alto e robusto, piantato di fronte a me, mi guarda con occhi di sfida, pronto ad effettuare il suo lancio vincente per eliminarmi e per correre poi per primo verso la base. Il suo compagno gli strizza l’occhio con una smorfia, dai che la freghiamo questa dilettante. Resto in attesa, piccola come una formica dentro il catino immenso dello stadio, sotto un cielo lontano dalla cui bocca mi pioverà addosso la pallina bianca che dovrò centrare. Mi sembrano tutti convinti che non sappia giocare una cicca e che l’allenatore dovrebbe sbattermi fuori squadra. Via, fila a casa a guardare la tv, lascia giocare chi è più in gamba e più furbo di te. Cosa devo pensare per farmi coraggio? A cosa devo aggrapparmi? La notte è fredda. La gente non riesco a guardarla negli occhi. E se qualche volta ne incontro lo sguardo, nell’angolo di una gradinata rumorosa, ci leggo dentro soltanto ostilità o indifferenza. Sono tutti pronti ad applaudirmi o fischiarmi per il tiro di un secondo. Non gliene frega niente quanto mi sono allenata, quanta vita ci ho speso, quanto ci tengo. Sbagli il lancio e sei fuori. Devo forse pensare alle stelle? Sono troppo lontane. Ne intravedo una, tremante ai bordi della luce artificiale dei riflettori. Ma perché io sono quaggiù? Perché adesso? Le stelle non hanno risposta. Anche loro sono cadute come tutti noi per caso nell’immenso vortice di vuoto dell’universo. Per quanto durerà? Cosa verrà dopo? Questi pensieri mi riducono ad un granello di sabbia. Non ho altro che me stessa. Non ho altro che scappare tra i cespugli con Mattew per sfuggire alla solitudine e al freddo di questa notte. Come ho fatto ieri sera e l’altro ieri ancora. Ma che senso ha? Alla fine soltanto nuovi problemi che scacciano i vecchi. Proverò con Bakersfield, con il cinema. Ma sarò sempre sola mentre aspetto il lancio tremendo, con una piccola visiera per ripararmi dalla luce accecante dei riflettori. Il mio pugno allora si chiuderà stringendo la mazza e cercherò di tenere le braccia al tempo stesso tese e morbide, per indovinare la misura del colpo. Ascolterò l'energia che pulsa nel mio sangue e colpirò finalmente la palla e la lancerò lontano dove nessuno potrà più afferrarla. Oltre i riflettori accecanti, nel grembo della notte.  

 

Cap. 15

Era così dolce il suo tocco e così belli i suoi occhi che non ho detto niente. Allora si è chinata verso di me, avvolgendomi con la luce sinistra del suo viso bianco. Ho sentito le sue labbra rosse che assaltavano le mie e che ghermivano il mio soffio vitale e al tempo stesso mi donavano il loro. Le nostre labbra si sono abbracciate e confuse mentre ci stringevamo. Non so più dove è caduta la mappa, mentre i nostri respiri affannati battono ormai il ritmo delle pulsioni cieche. Mentre onde profonde ci attraversano e ci ricongiungiamo ad un mondo ancestrale di energia dove siamo noi stessi pura energia. Ricordo solo che ci stringevamo sempre di più fino alla scossa dell’orgasmo che ci ha tolto il respiro, fino a scivolare in una dolce dimenticanza, in un sonno senza sogni.

 

Cap. 1

La strada sinuosa striscia lungo le dorsali scure di una pianura che galleggia ondulando come una barca, circondata dal rombare e dallo schiumare del mare. Sotto squarci di cielo blu elettrico, brillano improvvisi in verde acido larghi fazzoletti di terra. La massa d’acqua scura allunga le sue dita mentre avanzo verso nord scalando le curve di una sottile lingua di terra umida. Erba bassa che nasconde sassi, pietre miliari e profondi silenzi spaccati dal fragore improvviso dei tuoni che scuotono per un momento le lamiere e il motore di un’utilitaria presa a noleggio. Solo un’ora fa ho lasciato la larga strada che dal sud dell'Inghilterra conduce verso Richmond, per imboccare poi una via secondaria che si addentra nel ventre della brughiera solitaria, verso la cittadina di Whitby. Impercettibilmente la terra si è fatta più sottile e il cielo e il mare più vicini. Incrociare una macchina ormai è un caso raro, soprattutto alle undici di sera, quando la notte ha chiuso nel suo pugno l’arcata bassa del cielo. Il rimbombo dei tuoni è adesso un'eco continua, che mi accompagna mentre la pioggia investe il parabrezza con uno scroscio diffuso. Rari alberi svettano solitari sotto le raffiche d’acqua che si intensificano, le masse nere dei rami e delle foglie si slargano e si allungano fradice. Ma altre ombre sembrano correre insieme a me verso nord. Macchie sottili, quasi impercettibili, che per un secondo attraversano un angolo di paesaggio e si dissolvono. Forse sono solo allucinazioni dovute ai fulmini e alla pioggia, ai giochi di luce tra la campana del cielo notturno e la costa che precipita. Un cartello stradale sospeso nel vuoto mi indica che sono arrivato alla mia destinazione: la Contea di Coldnight. Con questa pioggia preferisco fermarmi a dormire in un posto qualsiasi e per tutto il resto ne riparliamo domattina. Nel buio della strada si affaccia un’insegna col disegno di una finestra trifora, sotto cui è scritto The secret window, illuminata dal fioco riflesso di una lampada che oscilla nel vento. Forse ho trovato una locanda. Fermo la macchina nel primo spiazzo disponibile, al lato del piccolo casolare a due piani, e mi incammino a passo svelto verso la porta di ingresso, cercando di non rimanere impantanato nel cortile che è ormai una palude fangosa. Mentre apro il portone per entrare, una nuova ombra impalpabile e informe scivola dietro la bassa costruzione di pietra. Un riflesso che attraversa la notte come un pipistrello per poi tornare nella brughiera selvaggia.

 

Cap. 6 Cronache della brughiera.

Negli anni venti del diciottesimo secolo, spiccava nella contea, per grazia e bellezza, una ragazza sui vent’anni di nome Julie, dalla pelle chiara come il ghiaccio e dai capelli nerissimi che le incorniciavano il viso armonioso, caratterizzato da occhi grandi e da labbra socchiuse in un’espressione costantemente in bilico tra la meraviglia e la malinconia. Insieme ai suoi due fratelli, era l'erede della casata dei Castlered, facoltosi possidenti locali. Julie, assetata di emozioni e di libertà, amava attraversare la brughiera nelle dolci e paurose ore dell’inverno e della bruma, tanto che gli abitanti della Contea di Coldnight giurano che puoi ancora vederne l’ombra nelle notti di nebbia. Fin da piccola possedeva un’intelligenza fuori dal comune e se a questo sommiamo la possibilità di accedere all’immensa biblioteca di famiglia e la solitudine della brughiera, possiamo capire come divenne una sognatrice ed una appassionata. Allo stesso tempo si rese conto ben presto di non avere intorno a sé nessuno all’altezza del proprio spirito e della propria cultura. I suoi sentimenti verso coloro che la circondavano potevano così oscillare tra la benevola condiscendenza, più rara, e il disprezzo, più frequente. Spesso cambiava atteggiamento verso la stessa persona nel giro di poche ore, in relazione a particolari episodi o a semplici stati d’animo. Quando arrivò l’età dell’amore, vi si abbandonò con tutte le sue energie interiori: in esso infatti convogliarono i suoi desideri di avventura e di passioni intense. Non amava una persona in particolare, ma l’idea dell’amore. Perseguendo la solitudine ed inseguendo l’ignoto, si finisce per frequentare luoghi che la gente comune non nota neppure o dai quali si tiene sapientemente alla larga. Julie amava infatti spingersi fino alla rupe di Fogcliff per respirare il vento impetuoso che proviene dal mare aperto ed osservare rapita le strisce bianche di nuvole solcare veloci l’immensa e aperta volta del cielo azzurro sospesa sull’oceano. Sotto di lei le onde si frangevano contro gli scogli: la schiuma e gli spruzzi, trasportati dal vento, potevano arrivarle fin sul viso. 

 

 

 

 


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