Pubblicato il 17/11/2012 20:53:28
Verso Roma
(apollineo e dionisiaco)
Non puntare la tua
prua di legno verso
la città e le
cime non
attraccare sugli
eterni marciapiedi
di pietra bianca, il
tuo rostro
ha ancora gli
spigoli da smussare
su di me.
Puoi andare scalza
dentro la mia
stiva segreta se
vuoi e sentire lo
scricchiolio allegro
del legno di
noce nostrana, la tua
polena non
mostra ancora i
seni marci di
infinite rotte.
Non correre ti
prego non
aver fretta di
smettere il viaggio,
abbiamo ancora le
stive piene di
carne secca e
rhum del ‘63 e il
nostro sestante
scintilla di ottone e
mete.
I ponti
sono stati lustrati da
sapienti mozzi e il
cielo è sempre lì
coperto di
puntini bianchi e pigri
come il pigmento di
un’ ala di farfalla,
Roma …
Roma vedo
ancora lontana.
L’impero non è ancora caduto
perciò
l’Urbe rimane un impercettibile segno.
Non aver
paura degli Dei
sono soltanto
gocce, ciocche, giochi,
pesi insignificanti,
logori silfi marini
saranno e sulle
sartie superba
salta e dispiega
le tue vele per
sfidare il vento.
Io salirò
allora sulla
coffa più alta
dell’albero maestro
per urlarti felice e
primo che, c’è solo
cielo e mare
all’orizzonte,
siamo lo
scintillio dei flutti
di un mare nascosto.
La felicità di non
avere un solo
gabbiano che
faccia da spia
per la crosta di una
terra già
solcata di miseri
ricordi e pene,
Roma …
Roma vedo
ancora lontana.
Conoscerti senza misure severe
perciò
amarti di irraggiungibili segni al cuore.
Dall’amore alla vita il
passaggio è fuso,
saldato, confuso, dal
particolare
si va all’universale,
chi parteggia, chi
si universalizza, a
chi dei due il ruolo
madre senza
prima aver guadato un
fiume di viaggio?
Claudio Di Paola
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