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Il ballo

Narrativa

Irčne Némirovsky
Adelphi Edizioni

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 17/09/2013 12:00:00

 

In questo breve romanzo ,datato 1928 ma pubblicato nel 1930, la Némirovsky porta in primo piano uno dei suoi leitmotiv, quello della madre arida d’amore verso la figlia, ed innamorata del piacere, del lusso e dello sfarzo che tragicamente poi le si ritorcerà contro. Il tema, ampiamente autobiografico, verrà ripreso ed ampliato ne Il vino della solitudine che vedrà le stampe nel 1935, ma in Italia solo nel 1947, dopo la fine della guerra e la tragica morte dell’autrice. Ne Il ballo, quindi, abbiamo una bimba che si affaccia all’adolescenza nella fastosa casa che i genitori si sono dati dopo una oscura e redditizia manovra del capofamiglia, che ha proiettato la famiglia dalla più triste modestia ad una vita di lussi. Ma, si sa, il danaro non basta per essere soddisfatti, bisogna che gli altri lo vedano, lo percepiscano, ne assaggino il gusto e il profumo. Quale miglior occasione se non uno sfarzoso ballo dove invitare la créme de la créme della società. Che poi a ben guardare si riduce a qualche funzionario, una manciata di vecchie signore e qualche astuto cicisbeo, perché è in questo demi-monde che la madre pesca per scrivere gli inviti, ma la vita dell’alta società è in salita e da qualche parte si deve pur cominciare. Un ballo è anche l’occasione per una fanciulla di fare il suo debutto in società, se non fosse che l’accidia della madre vuole relegare la piccola, nella fatata notte che potrebbe vederla finalmente rifulgere di luce propria, in un angusto sgabuzzino. Ma quasi per caso la bimba innescherà il diabolico meccanismo che la libererà per sempre dell’oppressione genitoriale e vedrà finalmente smascherati i due per quel che sono: dei miserabili, volgari arricchiti. E qui la narrazione incrocia un altro dei temi cari all’autrice: il denaro fatto con troppa facilità, o con espedienti poco puliti, non può portare alla felicità, è un denaro di cui non si può godere, è come il tesoro custodito da Fafner in Siegfrid, il drago non può far altro che giacervi e sa che sarà la sua rovina. Il breve romanzo, nella brevità delle sue 83 pagine nell’edizione Piccola Biblioteca Adelphi, ha la consistenza e la levità di un racconto ma riesce a mettere in scena una ricca complessità di sentimenti e situazioni degna di un romanzo.




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