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Canto alla durata

Poesia

Peter Handke
Einaudi

Recensione di Maurizio Soldini
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Pubblicato il 08/07/2016 12:00:00

 

Peter Handke è uno dei maggiori scrittori e poeti austriaci contemporanei. Cresciuto in una temperie tipicamente novecentesca e avanguardistica, si muta presto a un dettato minimalista e anti-novecentista, come nel poemetto Canto alla durata, scritto nel 1986 e ora riproposto nella Bianca di Einaudi, nel quale egli riflette su quella dimensione così comune ma nello stesso tempo sfuggente e difficilmente afferrabile e dicibile quale è il “sentimento della durata”.
La poesia di Handke ci conduce con leggerezza agli antipodi del mondo "liquido" in cui siamo immersi col rischio di annegare. Egli antepone, infatti, al transitorio, all'effimero, alla precarietà dei sentimenti, un forte senso della "durata", che implica fedeltà alle cose, ai luoghi, alle esperienze in genere, come i viaggi, e in particolare alle persone e a tutto quello che inerisce la memoria di un passato che tende a farsi presente per proiettarsi nel futuro. Dice il poeta: "Restando fedele/ a ciò che mi è caro e che è la cosa più importante,/ impedendo in tal maniera che si cancelli con gli anni,/ sentirò poi forse del tutto inatteso/ il brivido della durata/ ogni volta per gesti di poco conto/ nel chiudere con cautela la porta,/ nello sbucciare con cura una mela,/ nel varcare con attenzione la soglia,/ il chinarmi a raccogliere un filo".
Poesia realistica, ma nel senso più pieno e integrale del termine, quella di Handke, dacché si misura con la realtà esterna, ma anche con quella interna. E il substrato su cui si gioca la ricerca della durata è proprio "in interiore homine", là dove la poesia offre uno strumento di appercezione e riflessione sul mondo o meglio sul senso dello stare al mondo per ogni persona.
Nei versi del poeta austriaco, abilmente condotti su un registro prevalentemente minimalista e narrativo, ritroviamo il connubio di poesia e filosofia. Un pensiero "poetante" che si muta in modo intercambiabile in poesia "riflettente" sulla falsariga di Goethe, definito nello stesso poemetto "maestro del dire essenziale".
E già, perché per Handke è importante andare alla "sostanza" delle cose e il suo intento è quello di essere aderente a una dimensione ontologica, che dia contezza di un possibile senso della vita, che non sia precario né fugace, ma abiti stabilmente nello zoccolo duro della "durata", anche quando siamo imbrigliati nei gesti e nelle azioni più semplici e apparentemente innocui, come lo sbucciare una mela di cui sopra. Anche in tal caso c'è una durata che va al di là del transitorio. Ma nello stesso tempo c'è anche il transitorio nella durata. Ecco perché il suo poema è una ricerca, di indole filosofica, ma è soprattutto un "canto alla durata", là dove la poesia regna sovrana.
"È da tanto che voglio scrivere qualcosa sulla durata,/ non un saggio, non un testo teatrale, non una storia-/ la durata induce alla poesia. Voglio interrogarvi con un canto,/ voglio ricordare con un canto,/ dire e affidare a un canto/ cos'è la durata". Solo attraverso la poesia si può cogliere l’essenza del sentimento della durata. E in fondo, con un atto d’amore.

E allora non resta che dire col poeta che: "Il canto della durata è una poesia d'amore".
Un libro sicuramente da leggere e un poeta certamente da conoscere.

 


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