Pubblicato il 15/05/2015 17:22:07
Verso la seconda metà degli anni cinquanta, mio zio Federico aveva deciso di cambiare vita, economicamente parlando,pertanto si era dato anima e corpo al gioco del totocalcio; che allora prevedeva dodici punti per la massima vincita. Federico trascorreva i primi due giorni della settimana, impegnandosi nei pronostici calcistici, suffragato dalla consultazione dei giornali specializzati, che sovrabbondavano nella sua casa. Dopo essersi fatta un’idea sull’andamento delle partite in schedina, passava alla parte ostica, costituita dalla trascrizione manuale di tutte le schedine che il sistema richiedeva. All’epoca , non solo non esistevano i computer e le stampanti, ma non erano ancora previste le schede da sistema e nemmeno quelle a ricalco; quindi, Federico era costretto a scrivere una “infinità” di schedine per includere tutte le combinazioni da lui previste. Federico iniziava a “scrivere” il martedì sera e, a seconda dei suoi impegni lavorativi, “scriveva” anche di notte, poiché bisognava completare la trascrizione del sistema entro il venerdì sera. Il sabato mattina , il sistema era pronto per essere convalidato in ricevitoria. Devo dire che già da ragazzino ammiravo la ferma volontà con la quale Federico portava avanti i progetti in cui credeva, anche se stressanti, come in questo caso. Queste “performances” durarono un paio d’anni e ogni tanto la “fortuna” faceva capolino nella vita di Federico, senza mai nulla di eclatante, piccole vincite, che però gli consentivano di continuare a perseguire il suo obiettivo. Ma ecco che un giorno, la dea bendata bussò alla porta di Federico, gratificandolo di un pieno “dodici”. Quella notte, non si dormi nel palazzo dove tutti abitavamo; Federico, invitò subito tutti gli amici ed i parenti, che si precipitarono copiosi nella sua casa, per complimentarsi con il “fortunato”, ma soprattutto per gustare sfincioni, pizze, pollame e ogni possibile tipo di dolci e libagioni varie , che nel mentre, Federico aveva ordinato. Le prime luci dell’alba videro mio zio presso la sede del totocalcio, in via Terrasanta, dove all’epoca si procedeva allo spoglio delle schede e si attendeva di conoscere l’entità delle vincite. Quella volta il “dodici” vinse duemila lire, Federico aveva sborsato quattromila lire per cibi e libagioni varie. Mio zio Federico non “giocò” mai più e ancor oggi , quando qualcuno gli ricorda l’aneddoto, sia pure con una risata, non riesce a nascondere il suo, più che giustificato, disappunto.
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