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L’intruso nelle vecchie stanze. Romanzo

di paolo massimo rossi
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Pubblicato il 27/01/2021 09:41:28

L'intruso delle vecchie stanze. Solfanelli Editore
La scoperta di antichi documenti in una vecchia casa abbandonata accende la curiosità del protagonista, inducendolo a scrivere una storia che si sviluppa tra la ricerca di una verità oggettiva e la falsificazione letteraria della stessa.
Immerso in una sorta di anti umanismo che risente di filosofie di stampo popperiano, il protagonista Giulio vive la modalità del raccontare come necessità di interpretare il vero e il falso nascosti in documenti e parole che, di volta in volta, viene a conoscere.
Ambiti letterari dove i pretesti sono l'occasione di parlare d' altro: le condizioni al contorno della storia lentamente si trasformano nel centro della stessa, relegando ad ambiente ciò che inizialmente doveva essere il cuore del narrato.
Dunque, il non detto e il nascosto reclamano i loro diritti, mostrandosi in nuove vesti e facendo affiorare quelle che, inizialmente, sembravano solo apparenze da archiviare: un criptato da svelare per scoprirne verità e falsità.
L'intruso è tutto questo. Ma vuole essere anche un discorso sull'ambiguità e sul fraintendimento che si svincolano da quotidianità e ipocrisia per acquisire pretese letterarie.
E ancora, è storia di una formazione culturale e di un calarsi di questa nel parlarsi anche il più banale; è una riflessione sull'interpretazione; è una lunga ininterrotta dichiarazione di sentimenti amorosi; è, infine, una ricerca di parole minuziosamente perseguita per evitare il rischio della loro insignificanza.
STRALCIO DAL ROMANZO
La luce è bassa, diffusa dalla lampada con paralume a forma di calotta semisferica in metallo brunito.
«Non vuoi sapere come si concluse la storia di Eleonora?» Le chiedo.
Fulvia on risponde, ma un imbarazzato silenzio ha implicita la risposta.
«Soffrendo le lacerazioni del proprio corpo, credo che Eleonora cercò di conservare lucidi la testa e il cuore per sperare; una lucidità che, invece, scivolerà col tempo in una deriva esistenziale, in un progressivo trascorrere da insignificanti accadimenti del quotidiano in quelli blasfemi del plagio.»
«Tu sai?»
«La memoria può sapere da altri o può interpretare.»
«Vuoi dire che è stato necessario ricostruire?»
«Non più sui diari: voci del paese dicono che Simone morì alla fine degli anni Ottanta e lei e Francesco ne depositarono il corpo fuori del portone di casa, a disposizione dell’amministrazione e della chiesa.»
«Non ci credo.»
«Chissà, forse l’ennesimo passaggio del racconto ha finito per narrare un’altra storia. A ogni modo, fu seppellito nella cappella di famiglia e Francesco partì per Torino, per abitare nella casa del fratello Simone, in fondo il suo alter ego. Andò via, io credo, quando l’età e la decadenza fisica non gli permisero più la tentazione del letto della sorella Eleonora, così morbosamente amata. Ma, probabilmente, anche per non dover più sopportare la testimonianza della propria perdizione e del proprio egoismo.»
«Non sarebbe stato certo possibile un racconto del genere nella storia ufficiale; e lei, Eleonora?»
«Morì in una casa di riposo, qualche anno fa.»
Il silenzio avvolge lo studio dell’avvocatessa Derose; tanto era stato detto, eppure nulla aveva il crisma di una verità definitiva.
«E tu? Pensi di partire anche tu?»
«Solo per qualche giorno, poi tornerò al paese, non so per quanto tempo.»
Mi alzo, e Fulvia Derose subito dopo di me.
Tempo sospeso, momento che sembra corrompere sicurezze affidabili, pronto a essere usato per addentrarsi nella conoscenza del bene e del male, tra allegrezza e morbosi abbandoni.
Mi avvio alla porta d’ingresso, camminando tra le ombre delle stanze, mentre lei ha la sensibilità di evitare ogni ferita di luce. Nei suoi occhi, intravisti appena nella semioscurità e nel silenzio, sembra che ogni attimo possa dimenticare il precedente, non mi chiedo perché.
Ci salutiamo, vicini, lei immobile nell’eleganza del corpo, per un attimo lontana dalle pretese della mente, improvvisamente pronta a tradire l’equilibrio di un’armonia tra desiderio e ragione.
Esco e cammino di nuovo lungo il Marrucino, prenderò l’auto per tornare al paese, il tempo per i bagagli.

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