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L’ultimo viaggio felice

di Alessandro Carnier
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Pubblicato il 23/12/2021 11:51:57

Sono seduto al volante sulla mia nuova auto sportiva rossa decappottabile accanto a mia madre.

È una splendida mattinata di sole primaverile e sto percorrendo la via centrale del paese dove vivevo.

Sono felice, è parecchio che non ho l'occasione di passare del tempo con lei. Ho dovuto migrare all'estero da quando è iniziata la crisi, più precisamente nel mare del Nord a 200 miglia dalla costa scozzese, su una piattaforma d'estrazione di petrolio. Questo accadde dopo che fui messo in mobilità da un importante cantiere navale della mia regione.

La vita nelle piattaforme e dura, ma si guadagna bene, e riesco anche a mettere da parte del denaro, forse tra una decina d'anni potrò rientrare stabilmente in Italia e aprire un ristorante, sempre che la situazione economica migliori. Mia madre ha superato i settant'anni, voglio portarla ad acquistare delle piante, perché è la sua grande passione.

Possiede una piccola serra nel giardino di casa, dove coltiva piante rare, e una fornitissima biblioteca di libri sull'argomento.

“Roberto non correre!”

“Non ti preoccupare, questa macchina è una delle più stabili del suo genere.” Le rispondo spavaldo.

Improvvisamente un gatto fuoriesce da un cancello, sterzo per evitarlo e perdo il controllo dell’auto, che sbandando sta per fuoriuscire dalla carreggiata stradale.

Non riesco a riprenderla, i miei movimenti sono rallentati, mentre l’auto ruota su se stessa e scivola lateralmente puntando verso un imponente portone di legno, sulla mia destra. È un portone di grandi dimensioni, ai suoi lati un alto muro di cinta di pietre. Il tempo si dilata, e ho la sensazione sgradevole di perdere l’udito. I suoni che riesco a percepire sono ovattati, e lentamente affievoliscono.

Quel portone mi ha da sempre incuriosito. Ho vissuto anni in questo paese, ci sono cresciuto, ma non ho mai voluto frequentare questa zona, me nè sono sempre tenuto distante. Quando vi passavo davanti in auto, acceleravo sempre, come se percepissi uno strano presentimento contrastante, d’attrazione e repulsione. Non riuscivo a decifrare quel particolare stato d’animo, e agivo perciò d'istinto.

Il comune dove risiedo, assieme ad altri circonda un importante città, ricca d'industrie, ormai per la maggior parte chiuse, e provincia della regione, in un’ampia pianura che dalla pedemontana giunge fino al mare Adriatico.

L’auto sta per sbattere violentemente contro il portone, che inaspettatamente si schiude, come se mi attendesse al varco. Lo oltrepassa derapando in discesa, lungo un viale dalle alte mura anch’esse di grosse pietre. Finalmente la lunga discesa dell’auto termina frenata da un cumulo di fieno, a ridosso di un vecchio fienile.

Sono intontito, ma nonostante tutto contento. La carrozzeria pare intatta.

A fatica esco dall’abitacolo, scavalcando la portiera, e mi libero dalle pagliuzze di fieno, spazzolandomi e battendomi la maglietta e i pantaloni con le mani.

Solo ora mi accorgo che mia madre non c’è, sarà andata a chiedere aiuto… cerco il cellulare nelle tasche, ma non lo trovo. Guardo nell'auto, sotto i sedili, niente... sarà volato in strada da qualche parte mentre sbandavo e impattavo sul cumulo di fieno.

 

Mi incammino lungo la stradina sterrata nell’istante in cui un refolo di vento crea un vortice di polvere che penetrandomi negli occhi, mi offusca la vista. Me li strofino con un fazzoletto di carta nel tentativo di pulirli. La strada conduce in salita, verso un gruppo di figurine che ho intravisto in prossimità del bosco. Vedo mia madre che cammina in lontananza verso delle costruzioni di legno. Avrà avuto anche lei la mia stessa idea, chiedere aiuto per rimuovere l’auto parzialmente coperta dal fieno.

Giungo finalmente all’altezza dei primi alberi, e mi accorgo che si tratta di ragazzi che stanno allestendo una specie di parco divertimento. Intorno, tutta una serie di costruzioni di legno, tipiche dei campi scout.

Mi avvicino a uno di loro: “Salve, ho avuto un incidente, sono finito con la mia auto addosso a quel fienile, laggiù in fondo…” E indico il lontano fienile.

“Vorrei poter telefonare, ma non trovo il mio cellulare, per chiamare un carro attrezzi, e far rimorchiare la vettura, nella più vicina officina.”

“Si è fatto male?” Risponde cordialmente il ragazzo.

“No, non mi sono fatto niente, grazie a Dio. Avete visto mia madre? È una donna sulla settantina. Ha i capelli biondi.”

“Sì. È passata di qua qualche istante fa, e ha proseguito in quella direzione, verso la grande serra... li potrà trovare aiuto.”

“Grazie.”

Li saluto, sono un gruppo numeroso di giovani dalle diverse etnie e nazionalità, di bell’aspetto. Il posto a l’aria di essere un campo internazionale estivo, di studio, dove si praticano varie discipline sportive.

Sono giunto di fronte all’ingresso di quella che sembra un imponente serra, ricorda la forma di una cattedrale gotica, in vetro. Prendo fiato, prima di entrare, e mi accosto all'ingresso.

Sul cielo vedo dei lampi di luce in mezzo a nuvole plumbee. Il tempo è mutato, sta per scoppiare un temporale, si sentono già i primi tuoni rombare.

Mi affretto ed entro nella costruzione. Mi avvicino al bancone di legno con dei vasi pieni di fiori sgargianti, dietro c’è un giovane che mi saluta.

“Buongiorno.”

“Salve! Sto cercando mia madre?” Rispondo. Il suo volto è regolare, gli occhi celesti e i capelli biondi, lunghi e a boccoli, lo fanno assomigliare esteriormente a un modello o ad un attore, di quelli che si vedono solo nei film.

“Sua madre è laggiù, tra quelle piante.”

“Grazie!” Rispondo, tutto ciò che stava accadendo sembra strano, ma decido di raggiungere mia madre, senza fare altre domande. Lui è un tipo veramente simpatico, ed è investito da una particolare aurea di positività che invade l’ambiente, e mi estranea da tutto quello che mi era accaduto precedentemente, dimenticandomi del motivo per cui ero entrato. Guardo verso l'alto, la serra si innalzava solenne verso il cielo con una miriade di pinnacoli.

Raggiungo a fatica mia madre.

“Mamma perché non mi hai atteso, ero preoccupato.”

“Non ti agitare, questo luogo è tranquillo, guarda!” E indica una pianta dal fusto goffo e rigonfio e dalle foglie ovali, con dei fiori cremisi.

“Non mi pare un gran che...”

“È una Rosa del deserto, oleandro del Madagascar - Adenium obesum, è una pianta rara.” Il ragazzo della serra compare all'improvviso.

“Bravissima, lei è una vera esperta.”

“Le piante mi appassionano, sembrano posseggano anche loro un'anima, in qualche modo comunicano con noi.”

“Qui in questa serra abbiamo tutte le specie del mondo, nessuna esclusa.”

“Anche le stelle alpine, leontopodium alpinum? Di piante e fiori non nè capivo niente. Ma sulla stella alpina che avevo visto in montagna da ragazzo, avevo fatto una ricerca scolastica durante le scuole medie. Il nome latino mi era rimasto scolpito nella mente, poiché avevo preso un otto. Voto raro, per uno come me che all'epoca aveva i libri di testo intatti, in quanto raramente li sfogliavo.

“Si l'abbiamo.”

“Ma non è una specie protetta?”

“Qua tutte le specie sono protette!”

“Capisco.”

“Roberto... ci sono anche le rose Pierre de Ronsard!” Esclama mia madre sorpresa. “Voglio prenderne un vaso, quanto costano scusi?”

“Sono gratuite.”

“Ho capito state facendo una promozione?” Dissi io.

“No, qui tutto e gratuito, glielo porto io in auto.”

“Veramente la mia auto è piuttosto lontana da qui, ho avuto un piccolo incidente.”

“Lo so, ma non deve preoccuparsi.”

Tutta questa gentilezza a me pareva sconcertante, in paese questo non accadeva mai, i commercianti difficilmente accettavano sconti sulle merci, al contrario a mia madre sembrava tutto naturale, come se in questo luogo ci fosse già stata...

Uscendo dalla serra do un'occhiata al cielo, il temporale è cessato, e il cielo si è rasserenato, ora è di un colore blu cobalto. Sembra il paradiso terrestre.

Il ragazzo ci accompagna a fondo valle, verso il vecchio fienile dove ho lasciato l’auto. Tutti lo salutano, tutti lo conoscono e lo abbracciano calorosamente.

Ritrovo la mia auto intatta, pronta a partire, come se nulla fosse accaduto. Apro la portiera e mi siedo, sul porta oggetti accanto alla leva del cambio, c'è il mio cellulare. Il ragazzo appoggia una mano sulla mia spalla e mi saluta: “Ciao, vai tranquillo, va tutto bene, a presto signora…”

“Non mi hai ancora detto il tuo nome?” Gli rispondo.

“Angelo. Per gli amici Angel.” Io ingrano la prima, poi la seconda, e mi avvio, procedendo lentamente in salita lungo il viale. Il portone è rimasto spalancato. Esco in strada e prendo la via di casa. Dallo specchietto retrovisore vedo il portone richiudersi magicamente, e alle sue spalle non vedo né prati, né boschi. Ma il solito profilo piatto della pianura, pieno di case, campi, e capannoni industriali… Dopo qualche mese, mia madre morì di un male incurabile, fortunatamente senza soffrire troppo. La mia speranza è che ogni tanto vaghi tra le piante di quella meravigliosa serra.

 

Di Alessandro Carnier

20.01.2014


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