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La vita personale

Romanzo

Renzo Paris
Hacca

Recensione di Maurizio Soldini
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Pubblicato il 12/06/2015 12:00:00

 

   Mentre ci si accinge a leggere le battute finali del romanzo La vita personale, il capitolo finale “Ponte Milvio”, come succede per tutte le storie travolgenti, appassionanti, coinvolgenti, si ha la sensazione di mestizia per una storia che si avvia alla fine, mentre si vorrebbe che non finisca, che continui. Il romanzo di Renzo Paris prende dall'inizio e si lascia leggere in un baleno. È un libro molto denso, ben strutturato, sinolo di materia e forma, un corpo snello che mostra incarnato lo spirito della vita, in un gioco di poesia e vita perfettamente integrate.

Scritto molto bene, con leggerezza calviniana, pertanto con leggerezza formale, che nulla toglie alla profondità dei contenuti, si profila da subito pane per i denti per poeti, scrittori, amanti della vita tout court, e poi critici, storici, sociologi, psicanalisti, che hanno di che poter trovare per le loro "letture", dal momento che il romanzo si presta molto bene ad una plurivocità e ai più diversi registri che danno il fianco a possibili plurime ermeneutiche.

 Molto interessante, tra le altre cose, la rievocazione, tra realismo e idealizzazione, della seconda scuola romana di poesia, che permette di rivivere quel periodo di intensa elaborazione valoriale e culturale, quando si era popolo di persone immerse in una qualche relazione, quella appunto della “vita personale” che oggi sembra venuta meno, in accordo all'assunto di Alberto Asor Rosa, emerso nel suo ultimo saggio da poco in libreria Scrittori e massa (2015) , dell'atomismo individualistico, che ha portato al solipsismo della massa e di conseguenza degli scrittori.

Infatti, come recita la quarta di copertina, La vita personale è il romanzo della generazione dei poeti e dei critici della seconda scuola romana di poesia imbrigliata nella realtà e nell’immaginazione del sogno poetico, letterario e politico degli anni Sessanta e Settanta. Ma non solo, dal momento che nel romanzo abbiamo a che fare con una quarantina d’anni a cavallo di due secoli, tra il XX e il XXI. Anni in cui si sono giocate, nel bene e nel male, le sorti della nostra storia, civile ma anche letteraria, e in qualche modo si sono determinati non solo gli eventi, le passioni, tra ideologia e realtà, le ambizioni e i sogni del presente (che per noi è passato), le teorie e le pratiche letterarie tra tradizione e avanguardia, ma è stata provocata la storia degli effetti, la Wirkungsgeschichte, di quelle gesta e di quelle opere per il futuro, che è il nostro presente. Ecco allora che tra i personaggi reali come Dario Bellezza, Alberto Moravia, Pierpaolo Pasolini, Elsa Morante, Amelia Rosselli, Enzo Siciliano, Sandro Penna, Elio Pecora, Valerio Magrelli, e tanti altri, come Giovanni Raboni, Milo De Angelis e Maurizio Cucchi, della scuola di poesia milanese, di cui pure si parla, oppure personaggi sotto mentite spoglie, quali l’Hidalgo (Alfonso Berardinelli?) e Crudelia (Franco Cordelli?), che rappresentano la coscienza critica di quell’epoca e nel romanzo sono la coscienza del protagonista, spicca Luca Saraceni, alter ego dello stesso autore, Renzo Paris, in un gioco di identità e sdoppiamento di personalità. Paris si prende gioco tra la realtà e la fiction nel descrivere con realistica crudezza, ma nello stesso tempo con dolcezza, e con ironia, come è nel suo stile di narratore, nonché di poeta neo-antico, la temperie della sua (di chi? del protagonista del romanzo? dell’autore?) vita personale. Il romanzo, fondamentalmente, è una storia, d’amore, vissuta da Luca Saraceni con tre donne, Laura Buffetti, Karen Willis e Sara Frish. Tre storie, (vere? inventate? questo non importa ai fini della storia; e comunque ciascuno ne tragga le proprie conclusioni), ognuna con le sue caratteristiche, ma anche con molte identità, passate attraverso una complessa relazione edipica del protagonista, che si risolve solo in parte con l’approdo alla paternità, che in qualche modo riesce a cambiare la sua esistenza. Tre storie in cui si innestano vicende pubbliche e quindi la politica, nazionale, con i fatti di terrorismo, e internazionale, con le guerre e i disastri causati dai fondamentalismi religiosi. Tre storie in cui le vicende private sono ampiamente condite di sesso, così come le teorie di Reich avevano liberato la sessualità dagli anni Sessanta in poi, senza infingimenti, sotterfugi e ipocrisie, che ben ci condizionano, anche oggi, liberandoci da tanto insulso e ipocrita puritanesimo, purtroppo ancora presente, in questioni di sessualità, che non considerino l’uomo per natura sessuato e di fondo uno spirito-incarnato. Sessualità che fa parte del bagaglio culturale di Paris, studioso della poesia classica, greca e soprattutto latina, ma anche di quella concezione del sesso e della sessualità appartenenti alla cultura francese che Paris conosce molto bene anche per appartenenza accademica al mondo degli studiosi della cultura e della tradizione letterarie francesi. Non per niente, a un certo punto del romanzo (pag. 243), parlando della vita sessuale, tema tra i più presenti nel romanzo, Luca Saraceni fa questa riflessione a cavallo tra sessualità-bioetica-poesia, che la dice lunga sulla profondità del dettato della scrittura di Paris in un serrato confronto dialogico con la contemporaneità, che tolga spazio all’individualismo metodologico e alla spersonalizzazione:

 

Gli scienziati pensavano alla clonazione, a cancellare l’amore legato al sudore dei corpi, a fare a meno della paternità e della maternità. Che posto poteva avere la poesia in quella trasformazione micidiale? Nessuna.

 

Per tornare, allora, ad Asor Rosa, a Scrittori e massa (2015), che citavo prima, mi sembra di aver colto comunque una riflessione interessante fatta dal critico e storico della letteratura, ovvero che oggi gli scrittori, per lo più, vanno ciascuno per la propria strada in un individualismo serrato e ingabbiato senza dialogare tra loro e soprattutto con la tradizione. Sono d'accordo. Dico, allora, che bisognerebbe cominciare o meglio ri-cominciare da romanzi come questo, La vita personale di Renzo Paris, che invece dialoga sia col presente sia col passato, per ridare un cenno a quel canone, ma anche a quel candore, di cui abbiamo bisogno per de-massificare e de-individualizzare gli scrittori e di conseguenza la letteratura, anche attraverso i classici. Infatti, se Asor Rosa parla di Pasolini, Fortini e Calvino come degli ultimi classici, Renzo Paris dovrebbe essere collocato tra i neo-classici della nostra contemporaneità, per il fatto che riesce, a fronte della massificazione e dell’individualismo imperante tra gli scrittori, a colloquiare col presente e col passato in direzione futura. Non per niente, Renzo Paris è tra i pochi scrittori di un certo calibro che non disdegna il contatto col mondo letterario, sia reale sia virtuale, essendo assidua la sua presenza anche sui social network, come Facebook, dove è sempre pronto al dialogo con tutti e dove spesso nel suo diario narra storie colte col suo acume dalla realtà della strada e le trasfigura in forma letteraria tra realismo e ironico, apparente, disincanto per affidarle poi ad un profondo incanto per la vita. Come fa nel romanzo di cui ci stiamo occupando. E non per niente, Luca Saraceni, dice a pag. 249:

 

Il diario, le ho gridato, per giustificarmi, detto tutto è pur sempre una finzione, anche quando si nutre della realtà più intima.

 

Colgo l'occasione per ringraziare Renzo Paris per aver scritto questo romanzo, che consiglio di leggere a chi ancora non lo avesse fatto, anche perché dà la possibilità di cogliere come la vita sia "personale" nella misura in cui ci sono anche "altri" in una dimensione dialogica e relazionale e lo ringrazio, come già detto, per avermi fatto assaporare la temperie della scuola romana di poesia e i legami con la scuola milanese di poesia che non ho potuto vivere in diretta in quanto della generazione successiva.

Grato a Renzo Paris anche per avere ri-centrato la persona in questo suo romanzo. Per il fatto che sono anni che mi batto per una poesia e una letteratura tout court personalista. E non per niente il personalismo filosofico, a cui guardo, - potrò anche sbagliare, ma mi sembra di coglierlo in tanti passaggi della narrativa di Renzo Paris, - è una creatura della cultura francese (penso soprattutto al personalismo relazionale e comunitario di Emmanuel Mounier) e pertanto nell’alveo della formazione culturale del nostro autore. Personalismo sviscerato nella sua estetica in senso tutto esistenzialista dal nostro Luigi Pareyson, per il quale la letteratura e i suoi prodotti sono strettamente connessi con la vita dello scrittore. Non per niente, Luca Saraceni, alias Renzo Paris, a un certo punto del romanzo (pag. 249) afferma, ironicamente, ma non poi tanto, e comunque con lucida contezza:

 

Si dirà che mi manca la fantasia, ma io che ci posso fare se penso che senza la persona non c’è alcun personaggio che tenga?

 

 

 

 


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