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Una sostanza sottile

Romanzo

Franco Cordelli
Einaudi

Recensione di Maurizio Soldini
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Pubblicato il 19/02/2016 12:00:00

 

Sul romanzo di Franco Cordelli, Una sostanza sottile, possiamo dire di tutto e di più. E in effetti leggendo le prime recensioni lo si tocca con mano. Provate a leggere la nota di lettura di Andrea Cortellessa, che, più che una nota e più che una recensione, ha scritto un saggio molto bello e esaustivo. Oppure la recensione di Paolo Di Stefano o quella di Andrea Caterini o ancora quella di Giorgio Ficara. Leggete quindi tutte le recensioni, e sono davvero parecchie quelle che stanno uscendo a ruota libera sulla carta stampata e in rete, per rendervi conto che una cosa è certa: ci troviamo davanti a un libro di tutto spessore per diverse sue particolarità che lo rendono pregevole. Un libro, che nella valanga di libri di letteratura, e ne escono davvero tanti, sicuramente troppi, un libro dicevo, Una sostanza sottile, che si distingue dalla massa per il fatto di avere caratteristiche sue proprie. Ci è stato ricordato e sappiamo che Franco Cordelli, sulla scena letteraria ormai da più di mezzo secolo, è oltre che scrittore un grande lettore di romanzi e il suo acume critico è sopraffino. Per cui, quando decide di scrivere un libro, come questo, lo fa non solo con cognizione di causa, ma lo fa cercando di metterci dentro tutto il mestiere per offrire qualcosa di originale. Ho detto “libro”, quando avrei dovuto dire romanzo, come riportato sul risvolto di copertina. Ma possiamo definire “romanzo” questo libro? Sì e no. Dipende dalla prospettiva in cui ci poniamo. Dipende dalla concezione che abbiamo dei generi letterari e dalla teoria del romanzo che più ci aggrada. E già, perché sicuramente Cordelli ha scritto un libro, che prima di tutto e in modo incontrovertibile è una narrazione, ma è anche un saggio con puntate rivolte  alla riflessione filosofica fino a percorrere strade sapienziali e talora sfiorando la poesia con una convincente prosa poetica.

Un recensore per prima cosa ha il dovere di riassumere la trama del libro. E qualcosa dovrò pur dire in proposito, ma sarò molto breve, non solo per lasciare il gusto alla lettura di ognuno, ma perché nonostante il libro si snodi per 81 intensi capitoli, - sarà un caso che c’è una stretta corrispondenza con gli 80 + 1 capitoli del Libro della sapienza di Lao-tze? - la trama è già piuttosto snella di per sé e allora possiamo assumere lo stretto sunto per dire che abbiamo davanti un padre e una figlia, che vanno a svernare per una vacanza nell’amata Provenza, per fare il punto della situazione di un padre che, dovendo raccontare le sue vicissitudini di un recente ricovero per una embolia polmonare, che lo riduce in fin di vita, prende lo spunto per narrare alla figlia la sua vita presente passata e futura. La figlia è la voce narrante del “romanzo”, ora lo voglio chiamare così, perché a tutti gli effetti è anche per me un romanzo, per quanto non sia in assoluto auto-fiction, autobiografia, romanzo storico, e via dicendo come oggi la moda vuole. La figlia, dicevo, è la voce narrante del romanzo in quanto nella storia ha il compito di trascrivere tutto quanto il genitore le dice di lui, della sua vita, dei suoi dubbi e delle poche certezze, delle sue donne, dei suoi amori, dei suoi amici, dei suoi libri, dei suoi pensieri, dei viaggi, degli incontri, dei suoi libri, dei libri amati e di quelli odiati, del sesso, della religione e poi se non soprattutto della vita come della morte, che lui ha visto in faccia e è stato marchiato al punto da sentirsi non del tutto guarito, ma segnato una volta per sempre. La permanenza in alcuni ospedali dove il protagonista soggiorna per cura e per riabilitazione fanno sì che ci si trovi spesso a sentir dire di stanzoni bianchi, di medici, di infermieri, del bene e del male, della salute e della malattia (fisica e psichica), di terapie. Ma tutto filtrato dall’anima del protagonista, che a un certo punto mette in guardia dai medici e guarda caso li accomuna ai poeti, dai quali pure bisogna tenersi alla larga. Chissà perché. Anche se… Ma tralasciamo questo discorso. I poeti dicevo. E in Provenza non si può non finire a ritrovarsi a parlare di Petrarca, come spesso infatti sarà fatto. La malattia. La malattia del corpo. La malattia della psiche. Ma anche la malattia dello spirito. La questione si fa da organica a esistenziale in un ventaglio che si allarga facilmente. Al punto che il protagonista, superata la fase critica della malattia, si sente lasciato in balia di una guarigione imperfetta, che abbisogna di un percorso terapeutico che si chiama, guarda caso l’analogia, TAO. Ma in questo caso TAO è un acronimo e sta per terapia anticoagulante orale.

Nell’affabulazione che caratterizza la scrittura del libro ci si trova spesso a competere con una strenua possibilità ermeneutica offerta dalla narrazione, che con le sue continue allusioni, i ripetuti rimandi, gli intrecci, i flussi di coscienza, i passaggi di tempo dall’oggi al domani, per andare a ieri e per far ritorno all’oggi, abbiamo a che fare con un dettato che manda in deroga le logiche narrative degli scrittori odierni, che per lo più quando scrivono cercano di farlo linearmente rintracciando immagini e usando una strategia narrativa, che sia in riguardo di una possibile messa in scena del romanzo con una possibile trasposizione cinematografica. Quello che il romanzo di Cordelli non fa e non cerca è proprio questo, ovvero la possibilità di essere e di diventare un film. E questo è, a mio modo di vedere, un notevole pregio per una serie di motivi, ma soprattutto per evitare che la letteratura si trasformi in sceneggiatura. Sarebbe davvero arduo e difficile sceneggiare la scrittura di Cordelli, che narra pure, l’abbiamo detto, fatti, persone, luoghi. Ma lo fa senza nessuna velleità empirica. Il suo realismo non è analitico, di tipo logico-scientifico. È un realismo “integrale” – nel senso che contempla tutto quanto un uomo riesce a far contemplare - e i suoi personaggi come i luoghi sono trasfigurati da un atteggiamento proprio dell’anima, che svolge il flusso di coscienza in narrazione pescando dai vissuti depositati nelle more di una dimensione fenomenologica. Materia, fatti, spazio, tempo, organi e organismi, tutto esiste indubbiamente, ma quel che conta è la lettura, che ne offre il soggetto, in questo caso François, il protagonista del romanzo. E allora lo spessore non è delle cose ma delle relazioni con le cose. Si pensi al sottovia, che spesso viene chiamato in causa durante il racconto, la Galleria Giovanni XXIII, che più che un topos stradale è un topos dell’anima con tutte le sue significazioni simboliche possibili e immaginabili di un tunnel in cui si entra e non si sa se ne esce, tanto più per andar dove… A un certo punto si legge che nel romanzo “si tratta di una sostanza sottile, d’un tratto dell’anima, più dell’anima che del corpo. Ma l’anima senza il corpo certi scatti non li ha, s’addormenta”.

In questa frase c’è una delle chiavi per entrare nel senso, sempre che di senso ce ne sia solo uno, di questo romanzo, che vuole dire come si possa ancora oggi affermare nel XXI Secolo, nonostante tutto, e in controtendenza, che nella dimensione dell’uomo una ipostatizzazione si possa purtuttavia dare. Magari una ipostatizzazione certamente non alla Cartesio, aborrita giustamente da Wittgenstein, ma un tentativo di riabilitazione della substantia al modo degli antichi come Platone e soprattutto Aristotele e dei medievali come Agostino e Tommaso. E alla fine quello di Cordelli sembrerebbe proprio un tentativo di ipostatizzazione della realtà dell’uomo. E ci potremmo chiedere allora se non si voglia dare la primazia all’anima, che per lo stesso Cordelli sarebbe una cosa in controtendenza, dal momento che la sua formazione è materialista. Ma non è così. Infatti, Cordelli riprenderebbe più dall’antropologia degli antichi che non da quella dei moderni. Poiché se c’è qualcosa che non è presente in Cordelli è sicuramente l’idealismo con l’inneggiamento assoluto alla ragione. E infatti l’anima senza il corpo non avrebbe modo di esistere, come abbiamo trovato più sopra, giacché è il corpo a non fare addormentare l’anima. Per cui alla fine Cordelli ci offre la possibilità di riflettere in modo realistico su una concezione antropologica, che mette in chiara evidenza l’importanza della corporeità e secondariamente dei suoi vissuti.

Nel coacervo affabulatorio e affabulante della narrazione con quell’andirivieni da un fatto all’altro, da una cosa all’altra, da una persona all’altra, dal male al bene e viceversa, e così via, passando per vie talora logiche e talaltre illogiche, vi è un andare dalla ragione all’irrazionale, dall’empirico al sapienziale, dalla medicina alla religione alla superstizione, per dire che nei nodi esistenziali giocati tra il caso e la necessità, c’è quella sostanza sottile che tutto lega, che tutto correla e che offre l’opportunità, di avviarci sulla strada della salvezza, là dove vi è una coincidentia oppositorum data da uno stesso nome: il TAO. Il TAO, in senso fisico, è da una parte la terapia profilattica a scongiurare che il corpo si ammali nuovamente di embolia polmonare, la malattia mortale di cui ha sofferto il protagonista, e dall’altra il TAO è quello del Libro della sapienza di Lao-tze che aiuta ad uscire dal nulla, in senso metafisico, per fare approdare all’essere. Insomma, una delle possibili interpretazioni di questo romanzo potrebbe essere proprio quella di avere voluto rilanciare il messaggio di una concezione dell’uomo, che nell’antichità e nel medioevo erano ben lungi dal diventare così come oggi noi conosciamo l’uomo, che la scienza sperimentale ha reso alla stregua di una macchina. La scienza ha i suoi obbiettivi, che non vanno trascurati, tralasciati e abbandonati, perché la scienza può fare molto per l’individuo umano, ma anche la dimensione umanistica ha i suoi fini e non solo non deve essere tralasciata, ma deve essere recuperata e riabilitata al massimo, a contrastare l’egemonia della scienza sperimentale in campo culturale, attraverso l’arte, la filosofia, le religioni, e certamente non da ultima la letteratura, anzi, insomma il mistero, per aspirare anche alla sapienza. Allora il TAO presenta la sua ambivalenza, al di là del nome, che vuole riportare il nostro protagonista a una duplice salvezza. Alla fine, per quanto è possibile, il TAO è lo strumento, nella sua duplicità e completezza, per cercare di tenere in vita quanto più a lungo possibile e nel miglior modo possibile, in uno stato di salute fisico psichico e spirituale, François, in quanto uomo, come persona e non solo come individuo. Insomma, il messaggio di questo romanzo sembrerebbe essere tra gli altri che si cerchi di uscire da una deriva nichilista proprio attraverso una sostanza sottile (substantia), che con le sue interconnessioni e relazioni, ci consenta di accelerare, come fa il protagonista alla fine del romanzo, sulla via migliore, così per lui come per noi.

 

 


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