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Cinque minuti di una vita

di Rosa Maria Melchionda
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Pubblicato il 29/12/2015 18:49:59

Cinque minuti di una vita



Anche quella mattina, guardandomi allo specchio dopo essermi lavata il viso, feci una smorfia di disappunto. Quella miriade di brufoletti rossi che avevano ricoperto lo strato di pelle dal naso agli zigomi, seguendo la linea del contorno occhi, non era sparita durante la notte. Da qualche giorno, per causa loro, mi sentivo impresentabile in pubblico; eppure dovevo uscire di casa, dovevo lavorare.
Le colleghe mi dicevano che poteva essere una reazione al caldo afoso ed improvviso di quell’inizio di giugno, giugno di un anno bisestile, quello del 1996.
Scherzavano, anche, prendendomi in giro: “ Dai, sarà l’acne giovanile ! “
Ed io: “ Sì, a trent’anni suonati! “ , tornando a dedicarmi alla grande gioia di seguire i piccoli della sezione semidivezzi dell’asilo nido comunale presso il quale lavoravo.
Mentre mi cospargevo il viso con una crema nutriente, ed idratante, mi rattristai al pensiero che di lì ad una ventina di giorni sarebbe scaduto il mio contratto di lavoro ed avrei dovuto lasciare quel posto, quei bambini, quelle educatrici che tanto mi avevano insegnato, la cuoca e le bidelle che con la loro affabilità e disponibilità a collaborare contribuivano a creare un ambiente sereno e piacevole.
Ma la miglior qualità era la … la pazzia … cioè la voglia di essere sempre allegre, riempiendo le giornate di gioia di vivere. Erano “matte schiante “ , per dirlo in gergo dialettale. Ed io ero come loro.
Inforcai la bicicletta e coprii la distanza fra casa e lavoro con un certo affaticamento fisico, affaticamento non previsto per un corpo allenato con la danza; nelle narici un odore forte trai veicoli incolonnati nel traffico dell’ora di punta: sembrava stesse bruciando una gran quantità di pneumatici. Ma le mie colleghe non avvertivano quell’odore, anzi affermavano che l’aria di quella mattina era quasi frizzante e quindi piacevole.
Ritenni di essere alquanto stressata e la prova era il ciclo che stentava ad arrivare.
Manuela, una mia collega che ascoltava in silenzio le mie lagnanze, disse:
“Per me dovresti prendere in considerazione un’altra cosa. Dovresti fare il test …”
Le chiesi: “ Quale test? “. Cinzia, l’altra collega, l’anticipò: “ Quello di gravidanza! “
La fissai, iniziai a scuotere la testa e: “No, no, no … non può essere … No! Sono stata attenta come sempre. E’ impossibile. Arriverà, vedrete! “ volli rassicurarmi. Ma non potei più negare che il ritardo mi stava preoccupando.
Terminato il turno, giunta a casa, avvertii dei dolori al ventre, decisi allora di recarmi in farmacia il mattino dopo.
“ Vorrei un test di gravidanza, per favore “ dissi al farmacista con un certo pudore, mettendomi una mano sulla pancia.
Lui mi chiese sorridendo: “ Di quanti giorni è il ritardo?”
Risposi con un filo di voce: “ Quattro …”
Il dottore riprese: “ Ecco il test per una diagnosi così precoce … ma osservandola e notando le sue smorfie di dolore posso dirle senza ombra di dubbio che lei è incinta. I miei migliori auguri! “ con un sorriso di felicità che mi paralizzò.
INCINTA? Quella parola frugò nella mia mente per trovare il suo posto, ma in quell’attimo era come se io non sapessi neanche che esistesse. Ringraziai e salutai decidendo di rimandare ogni considerazione a più tardi. L’unica cosa certa in quel momento era la decisione di non andare all’asilo in bicicletta, ma in auto, così non avrei sentito quell’odore di gomme bruciate, ma mi sbagliavo, mi perseguitò ancora.
“ Buon giorno, acne giovanile! Come va? ” mi accolse Cinzia.
Le risposi: “ Fastidi al basso ventre … Buongiorno. Ho comperato il test. Il farmacista ha sentenziato che sono incinta … Ho paura di farlo … Ma non voglio aspettare fino a stasera.“
Cinzia restò sorpresa, mi propose di aspettare Manuela che copriva il turno del pomeriggio e mi consigliò di usare il test subito, loro sarebbero state lì con me. Arrivate le tre educatrici del pomeriggio e le collaboratrici, l’organico, con la cuoca già all’opera da qualche ora, era al completo; quello poteva essere il momento giusto per chiudermi in bagno per i cinque minuti più importanti in assoluto della mia vita: la potevano cambiare e stravolgere definitivamente. Furono interminabili. Nell’attesa mi dissi che sì, ero innamorata di Massimo, quel folle pieno di energie che definivo un grillo per la sua incapacità a restare tranquillo per due minuti due … ma stavo con lui da pochissimo. Cioè da metà novembre!
Lui era così preso da me che a febbraio, passando davanti alle vetrine del negozio di arredamenti vicino casa sua, mi chiese di scegliere il tipo di cucina che mi piaceva di più perché in settembre voleva sposarmi! Troppo presto, troppa fretta … tanto entusiasmo non mi faceva star tranquilla. Non ci conoscevamo ancora e non c’erano le basi per costruire un matrimonio. Glielo dissi una domenica sera che ci vedemmo eccezionalmente da soli a gustarci un’ottima pizza. Obiettò che avevamo trent’anni, avevamo vissuto esperienze, aspettare anni non aveva senso, non ce lo potevamo permettere per avere figli … Perché ne voleva.
“ Ce la sapremo cavare. E poi, per conoscermi, bastano cinque minuti … Sono tutto qui, sono quello che vedi, sempre me stesso. Sono un uomo semplice.” aggiunse.
Cinque minuti …
Aveva intenzione di mettere su famiglia … da tre anni aspettavo un uomo che avesse simili progetti! Però parlavamo poco di noi, lui diceva che era importante il presente e non desiderava infilarsi in discorsi sul passato… mi inquietava perché gli individui sono il risultato di tante storie e vicende del passato e per conoscersi bene non si può ignorarle! Abitavamo a 40 km di distanza, lavoravamo, questo sicuramente aveva il suo peso, non avevamo tanto tempo per stare insieme … mi dicevo, quindi avevamo bisogno di più tempo per crearci quella complicità, quella confidenza, quella tenerezza alla base di un legame intimo e profondo.
Adorava le uscite in compagnia, le serate a far baldoria come le adoravo anch’io, ma non potevano bastare, per noi come coppia.
La mia mente iniziò a ripercorrere gli avvenimenti del mese di maggio per capire se ci fosse la possibilità di aver … fatto la frittata!
Beh: sabato 25, l’uscita con Massimo ed il gruppo di amici fino a tardi, molto tardi; la richiesta di fermarmi a dormire nella sua casa di campagna a Monte Paganuccio, evitandomi i quaranta chilometri di strada per tornare a casa mia, che accettai di buon grado perché ero piuttosto stanca per guidare. E fu una notte unica. Mai prima. Completamente fuori dal mondo e da ogni realtà.
Poco prima di addormentarmi, quando ormai albeggiava, mi soffermai a pensare al mio corpo, convincendomi che mi ero lasciata andare nel periodo giusto del mese e scivolai in un sonno sereno … Ma avevo sbagliato i miei calcoli, di 12 ore.
A questa distrazione avevano contribuito la stanchezza e lo stress della preparazione dello spettacolo di fine anno con la scuola di danza, l’influenza con febbrone da cavallo curata con l’antibiotico dei tre giorni e la conseguente debilitazione fisica e mentale … sì, era andata così.
I cinque minuti trascorsi nel bagno dell’asilo nido terminarono. Trepidante presi il test, guardai nel piccolo riquadro e poi lessi le istruzioni sul foglietto: POSITIVO!
Iniziai a tremare, mi si appannò la vista e scivolai sconfitta sul pavimento.
“No no no, non è possibile! Proprio adesso no! Che cosa ho combinato?!!” La testa mi scoppiava, il cuore martellava all’impazzata e sentii bussare con insistenza. Era Manuela, era preoccupata, mi feci coraggio, mi alzai, aprii e lei capì. Mi prese le mani, mi guidò fuori e mi intimò di respirare lentamente e profondamente.
“Sono stata attenta. Non è così che volevo restare incinta! Volevo prima sposarmi … e non sposarmi perché ero incinta! Ho sbagliato tutto. Nella mia vita non me ne è andata una come volevo, come l’avevo sognata, come l’avevo progettata …” imprecai. “Non ho ancora un lavoro sicuro, non ho una casa … dovrò trasferirmi tra i monti, lontano dal mio adorato mare, vivere nell’appartamento sotto a quello dei miei suoceri, in un paesino dove non conosco nessuno … quasi non conosco neanche il mio futuro marito!” mi spiegai. “Mi ha incastrata Monte Paganuccio …”
Manuela mi consigliò di rifare il test, per sicurezza del risultato e nel frattempo in quegli altri cinque minuti, mi aiutò a riflettere con calma sulla mia situazione: avevo 31 anni … ormai era ora di fare figli e i chilometri non erano che un ostacolo insignificante grazie alla superstrada. Avrei potuto rivedere il mare ogni volta che avrei voluto. Massimo aveva il lavoro vicino casa ed io ero sulla buona strada per ottenere il posto fisso; intanto, nei momenti da disoccupata mi sarei goduta il mio piccolino tutto il tempo!
Anche se lo shock non lo avevo superato, quando vidi il secondo test ero più tranquilla. Riuscii a sorridere davanti al responso POSITIVO perché avevo finalmente focalizzato che il sogno più grande della mia vita fin da bambina era stato quello di diventare madre e lo stavo realizzando.
“Ok ok ok. Manu, puoi chiamare la Cinzia? Voglio anche lei con me, per favore. Chiedi un minuto di collaborazione alle altre con i nostri bambini, devo telefonare a mia madre” e mi commossi immaginando quale sarebbe stata la reazione di quella donna con una vita di sofferenze e difficoltà alle spalle.
“Ma dov’è tua madre? Fa che non sia da sola, una notizia come questa può farle venire un colpo!” fu la preoccupazione di Cinzia quando fu messa al corrente dell’esito del secondo test e delle mie intenzioni. Mentre componevo il numero di telefono dissi:
“E’ al lavoro, in ospedale. E’ in una botte di ferro, non c’è miglior posto per svenire!”.
Le due colleghe risero ed attesero in silenzio; alla caposala del reparto maternità chiesi di passarmi mia madre, lei da premurosa ed affettuosa quale era, volle sapere se c’erano problemi e se stavo bene: non chiamavo spesso, quindi … La rassicurai, stavo bene, ma in effetti dovevo comunicare qualcosa di importante.
“Mamma ciao. Come va? A che ora torni a casa? Tutto bene, stai tranquilla … E’ che devo dirti una cosa … Diventerai nonna …”.
“Cosa? Cos’hai detto?”
“Ho detto che diventerai nonna!” ripetei.
“Davvero? Dai, non scherzare!” disse mia madre. Le assicurai che non stavo scherzando, avevo fatto il test due volte e lei:
“Diventerò nonna?!! UH cosa mi dici! Gioia mia …” e poi silenzio. La chiamai più volte, mi rispose la caposala:
“Tranquilla, è svenuta. Tu però potevi dirglielo in un altro modo!” mi rimproverò bonariamente.
Poi sentii: “Amore, sto bene. Oh Signore che notizia bella! Ci vediamo a casa. Grazie, grazie. Un bacio” mi salutò, un po’provata. Riattaccai, avevo gli occhi lucidi, Manu e Cinzia mi abbracciarono e mi chiesero di Massimo; sapeva del mio ritardo, la sera prima non aveva chiamato ed io neanche; avrei aspettato ormai la sera per dirglielo, prima delle 18:30 non era mai a casa. Andammo in giardino a riprendere il nostro lavoro e ad annunciare l’importante novità che mi riguardava.
Fui festeggiata dalle altre con baci, abbracci ed auguri; la cuoca, durante il pranzo nella cucina d’emergenza che da qualche mese occupavamo nell’ala dell’edificio messa in sicurezza dopo un crollo, volle brindare con tutte noi con quel bicchierino di vino che ci concedevamo per il pasto:
“A te e a noi! Questa notizia ci allontana ancora un po’ da quel giorno tremendo del crollo del soffitto della cucina! Siamo tutte insieme e siamo felici! Auguri!!”.
Già, il crollo. Cinque minuti prima e l’enorme macigno non avrebbe squarciato soltanto la mia sedia di metallo … Le macerie non avrebbero rotto e rovinato solo tavoli, credenze e ripiani … Avevamo appena terminato di pranzare, eravamo tornate tutte alle nostre attività …
Cinque minuti …
La mia mamma stava riordinando la cucina quando presi la cornetta per chiamare Massimo; avevamo mangiato mano nella mano, avevamo parlato a lungo per trovare in anticipo una soluzione ad ogni possibile difficoltà. Grande mamma!
La telefonata con Massi fu sorprendentemente deludente: fu impacciato nei preamboli, sbrigativo nel rispondere alle mie domande … forse aspettava con ansia notizie sul mio ritardo fisico e quando gli rivelai che ero incinta restò in un silenzio che mi spiazzò. Chiesi se fosse ancora lì, rispose che solo le analisi in ospedale erano sicure, allora lo rassicurai, le avrei fatte il mattino dopo, ma i metodi moderni erano affidabili. Gli chiesi a che ora sarebbe arrivato e lui:
“Perché? Per cosa?”. Altra delusione. Aspettavamo un bimbo, potevamo stringerci, parlare … Concluse, pratico:
“C’è poco da parlare, sappiamo cosa dobbiamo fare. Se vengo giù non risolvo niente. La frittata è fatta. Avremo tempo per stare insieme. Tutta una vita.”.
Lo salutai senza insistere oltre, né aggiungere altro. Cinque minuti che mi preoccuparono.
Chi era quell’uomo con cui stavo per mettere su famiglia? Mi lasciava sola in un momento simile! Ma poi il cuore mi suggerì che piuttosto lui aveva bisogno di digerire la notizia così come ne avevo avuto bisogno io.
Le analisi confermarono la gravidanza. Piansi per la commozione e Massimo si mostrò felice, ma anche spaventato da ciò che l’arrivo del bimbo comportava. Mentre io informai subito il resto della mia famiglia, lui non riusciva a decidersi di informare la sua: aveva bisogno di tempo per essere in grado di dare una tale notizia nel miglior modo possibile. Ma poi il tempo arrivò.
Il 28 giugno 1996 chiesi a mia madre di accompagnarmi con l’auto al lavoro; improvvisamente un dolore acuto e insopportabile al ventre mi fece urlare e piegare su me stessa. Mia madre corse a telefonare in ospedale e all’asilo, mi caricò in macchina, mi fece scendere davanti alla porta di ingresso del reparto maternità dove mi attendeva un medico con la caposala per condurmi subito nella stanza delle ecografie.
“Ecco, siamo pronti. Tranquilla, vediamo come sta il piccolino … Bene bene bene. Quel puntino che si illumina è il suo cuoricino. Batte. E’ tutto a posto.” mi rassicurò l’affascinante dottor Perrella.
“Guarda Anna! Quel puntino che si illumina è il tuo nipotino!” spiegò la caposala a mia madre. “Diventerai nonna, Anna!”.
Lei si fece sfuggire un singhiozzo, gli occhi le si riempirono di lacrime e poi rise al commento che seguì: “Auguri nonna! Tuo nipote è bellissimo! Dai, non piangere! ”. Lei obiettò che era solo un puntino quello che si vedeva, come faceva a dire che suo nipote era bellissimo? Si stava burlando di lei, lo aveva capito, quindi lo ringraziò per gli auguri.
Fui ricoverata per un inizio di distacco di placenta, ero intimorita e preoccupata per il mio bambino, accettai tutti i prelievi, i controlli, la cura e la prescrizione di assoluto riposo con sollievo; non ero mai stata ricoverata prima, grazie a Dio, e presi la novità come un’esperienza in più da vivere.
All’ora di pranzo informai Massimo dell’accaduto e quella sera corse a trovarmi, accompagnato dai suoi genitori che solo da qualche giorno erano stati informati dell’arrivo del primo nipotino e facendo quindi la nostra reciproca conoscenza.
I miei fratelli entrarono nella mia stanza con aria preoccupata: volevano diventare zii, gli era piaciuta l’idea dopo la sorpresa iniziale alla notizia del lieto evento. Ma stavamo bene, noi.
In quei giorni di riposo assoluto pensai molto, misi insieme i tasselli della mia vita e provai, alla fine, preoccupazione per il mio futuro, tanta stanchezza mentale, tanta voglia di tornare alla mia routine, ma lessi anche tante notizie serie e frivole sui settimanali, conobbi persone che condividevano difficoltà nella gravidanza, focalizzai ogni giorno di più che una creatura si stava formando dentro di me.
Il ginecologo De Marchi, ad un certo punto, mi disse che la cura stava ottenendo i suoi effetti, ma sarei dovuta restare in ospedale ancora qualche tempo, per essere sicuri del mio assoluto riposo. Si sa che a casa si può sgarrare.
“Può andare via, ma il rischio di complicazioni gravi aumenta. Decida lei. Ci pensi un attimo. Se vuole portare avanti la gravidanza resti qui.”
Per una minuscola frazione di secondo mi sfiorò l’idea che sarebbe stato facile evitare il matrimonio affrettato con uno quasi sconosciuto…bastava andare a casa. Sarebbe stato facile evitare lo sconvolgimento, tornare alla mia vita e ritrovare il tempo per fare le cose per bene … ero così stanca!
Ma qualcosa mai provata prima mi scosse come un getto di acqua gelida e mi ricordò che in quella situazione ci ero finita perché aspettavo un bambino, mi era arrivato il DONO di un figlio! Senza più attendere risposi di getto che sarei rimasta anche per un mese intero! De Marchi mi disse che non era necessario, sarei potuta andare al mare per tutta la stagione godendomi il riposo di quel periodo, forse l’ultimo per tanto tempo, una volta nato il bambino.
In quei cinque minuti decisi veramente della mia vita e da quel momento divenni madre per sempre.
Quando lasciai l’ospedale mi dispiacque, lo confesso, ero vissuta in un limbo sereno e fuori mi aspettavano i lavori per la casa, la sarta per il vestito da sposa, la scelta del ristorante, ecc. Andai a casa di Massimo anche se mi sentivo debole e frastornata, per dare il via a tutto, per preparare il nido al mio piccolino…sapevo con certezza che era un maschio.
Tornai alla mia città di lunedì mattina, dopo aver salutato tutta la famiglia che si era recata al lavoro; sulla via del ritorno, ad una manciata di chilometri da casa mia, un’auto mi tamponò non essendo riuscita a fermarsi in tempo ad uno stop. Fui presa dal panico, ripetei in continuazione che ero incinta, fu chiamata l’ambulanza e tornai in ospedale.
Restai quasi immobile sulla barella per tutto il tempo prima che dal Pronto Soccorso mi portassero in reparto per un’ecografia, le mani sulla pancia per proteggere la creatura, la preoccupazione di avvisare mia madre che si trovava fuori città.
“E’ forte questa creatura!” mi disse più tardi il mio medico. “Sta benissimo. Nessun pericolo, segua la cura e tutto andrà bene. Può andare a casa”.
Sì, andò bene, il piccolo fu davvero forte. Le nostre avventure fino alla sua nascita non finirono lì e forse per questo dal primo sguardo che ci fece conoscere si creò un legame speciale e profondo. Oggi sono la sua mamma orgogliosa e felice di avere avuto in dono quei cinque minuti che hanno stravolto la mia vita.
Pensando e ripensando a come sono andati i fatti, in tutti questi anni ho capito che il mio bimbo doveva nascere, doveva arrivare nel nostro mondo: lui era pronto, nel suo. Mi aleggiava sopra da due anni…me lo avevano detto…non ci avevo creduto al momento, ma…ma questa è un’altra storia…

(2015)









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