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Luce sulla tua testa cade incerta, ma
io ti vedo lo stesso; credi in me ch'io
ti veda sempre eguale.
La luce ora non scende più molto chiara
sulla tua fronte incerta, il suo paesaggio
è tutto mio.
Hai luce dorata negli occhi che sfuggendo
non possono capovolgere la tua sorte
benefatta dal mio sguardo loquace la
mattina che ti incontrai, danzando, vicino
a quel tuo capezzale.
Vicino a quel tuo capezzale piangeva
la madre ed ero io che ti guardavo stringere
le palpebre.
A singhiozzi quasi tu rinasci, con un'erba
medica in mano vorrei ricompensarti di
quella pena provai a quel tuo capezzale
danzando la mattina quando avevo sonno
delle tue palpebre pesanti che rifiutano
alzarsi alla danza.
Ma tu non danzi anzi ti riposi steso
sul lettino d'ospedale dove c'incontrammo
fu un baciamano cortese.
A tratti la tua testa assume un aspetto
decisamente perverso: hai nello sguardo
una luce nuova che fa sospettare nuove
caratterizzazioni del tuo male.
Pongo una mano nell'aria che ci separa
quasi a toccare tanta acerbità: tu non
la vedi, sei troppo toccato dal tuo male.
Non ritiro la mano; la lascio lì sospesa
quasi fosse un vuoto da disubbidire, e
sovente vedo cangiarsi quella tua anima
che tu detesti fare ingrandire.
Nulla ne nasce; resta sempre eguale quella
tua testa forbita da speciali occhiali
quasi fosse una festa quel tuo sentirti
male.
Indietreggio, non mi nasce alcuna nuova
voglia di incantarti; sei nel tuo male
una zebra che muove, tesa nel suo
parco.
Ripongo la mia mano al suo lato, vedo
specialmente risvegliarsi luci e lanterne
sul tuo volto; è tardi ormai tu non puoi
raggiungere il bene.
Parole nude sul tronco dell'albero, nuda
vi sovrasto, pura l'intenzione, l'esegesi
non richiama altri esegeti. Basta che
esca dal tuo richiamo, la vita in corollari
non s'espone senza causa.
Hai fiamme nella tua bocca e sei la luna
stessa, hai occhio nella bocca per purificare
questo singulto, che ti chiama, con le
lettere del nome.
Ho posto il tuo nome dentro un cuore
che s'accerchia attorno un tronco, la
scorza invece tiene sempre a te, e non
ti travalica il monte.
Il gesto impuro sembra tocchi mete inconsulte;
tuo nome resta allacciandosi col vuoto
ti pongo scritto sulla scorza dura,
e mantieni il tuo voto.
[...]
[ da Serie Ospedaliera (1963-1965); Le poesie, Amelia Rosselli, prefazione di Giovanni Giudici, Garzanti ]