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Dov’č fuggito l’amore?

Poesia

Agapito Scipioni
MEF - Maremmi Editori Firenze

Recensione di Martina Federici
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Pubblicato il 18/01/2013 12:00:00

Sono parole quelle che cerco per affrontare il cammino poetico dei versi di fronte a me e comprenderli, penetrandoli, nella loro profondità. Eppure parlarne o descriverli non è cosa semplice e forse neppure possibile. Questo perché il poeta Agapito Scipioni conduce questa intima riflessione lasciandosi andare a sentimenti e sensazioni che fondano l’esistenza di ognuno e ridurre qualcosa di tanto emozionale a semplici discorsi non sembra corretto.

Il primo elemento che colpisce il mio sguardo è quel punto interrogativo che intitola l’intera raccolta e che torna sovente all’inizio di ogni sezione.

“Dov’è fuggito l’amore?”.

Probabilmente ognuno di noi si è domandato spesso se l’amore, oggi, ancora esista. E forse il nostro desiderio di sentirci parte di un unico universo che prova emozioni ed agisce di emozioni, ci porta a trovare amore in diverse occasioni. Ma poi, quando capita quell’attimo di vissuto che ci fa scontrare con eventi non calcolati distruttori delle nostre certezze, allora l’interrogativo si fa più forte…dov’è fuggito l’amore?

Il percorso che il poeta affronta nei suoi versi potrebbe, inizialmente, far pensare ad un inno all’amore, ma la riflessione si amplia continuando a leggere fino a toccare punte elevate e, spesso, inaspettate.

La prima sezione sembra ribadire con forza (l’esclamazione fa rimanere senza fiato) che “L’amore c’è!”. E con fare a tratti stilnovistico viene decantata la bellezza della donna amata attraverso immagini della natura che coinvolgono il poeta in una candida ispirazione. “…e sentirò/ la nostalgia degli occhi tuoi,/ ove si mira il cielo/ che sempre m’ha coperto/ coll’ampio suo mantello/ fin da bambino;/ ed ove alloggia/ la tenerezza della madre terra….ed ove regna/ la calma dell’oceano alla sera/ schiarato dalla luna.”. Ed ancora l’esaltazione della donna che “…sola puoi donare/ il grembo a un bimbo,/ che non ha spazio,/ che gravido è il mondo d’altro,/ di melma ingordo e sazio.” L’immagine del sorriso simile alla vocina di un bambino, “il silenzio di Dio/ che parla e sorride/ a chi nel cuore/ rimane bambino” ed infine “Tu/ il pretto sorriso/ che un giorno ho trovato,/ stanco,/ nel raro campo/ che genera affetti”.

La seconda sezione recupera l’interrogativo iniziale ed il dubbio “L’amore c’è?”…i toni si fanno più inquieti ed i versi si vestono di dolore. Negli “occhi scuri e profondi” della sua donna il poeta ravvisa dei tratti di mistero e nel cuore che “vuole amare” del profondo dolore. Ancora richiesta di amore ne “Ho sognato il tuo corpo” dove di fronte al sogno del corpo della donna vestito di nero, il poeta sente di avere “l’animo spento,/ le membra inondate tra l’acque malsane,/ e nulla potevo fare;/ sono riuscito solo a gridare:/ di andare altrove/ a cercare amore”. E nel tentativo di ricordare “ch’ebbrezza è la vita” ritorna la consapevolezza che “il mare è solo uno specchio,/ ed io son lontano, seduto/ su la panca di legno/ che mi fa compagna/ in questo caldo ricordo/ di nostalgia”. Tutto sembra aver fine… un giorno sereno, un amore simile a quello che tiene unito un bambino alla madre e così si chiude questo momento di ricerca interiore.

Ed ecco una nuova conferma “C’è altro amore!” che intitola la sezione seguente nella quale il poeta si richiama all’antico: “Destati, vate,/ invoca la Musa,/ tua madre,/ accorda l’arpa/ o la lira/ e fai melodia:/ canta la vita,/ tutta la vita,/ l’amore nella vita.” Cambia, mi sembra, il tono di questi nuovi versi che intendono cantare di un “amore più trasparente, universale, amico,/ che la mano tende/ al prossimo e al nemico,/ a chi sale e a chi scende,/ a chi soffre e a chi ride,/ a chi vive e a chi muore.” Sono poesie permeate dal ricordo che torna a far compagnia tanto nell’età infantile quanto in quella senile e gli elementi naturali – il vento, la luna…- si uniscono a questo cantare soave. Inni all’amore per i figli, a quello per la mamma ed in genere all’amore per la vita in ogni suo aspetto.

E quando tutto sembra assecondare il pensiero innalzato da un’esistenza fatta di amore, il poeta torna a meditare ed un nuovo sgomento riporta il dubbio nella quarta (ed in seguito nell’ultima) sezione.

”C’è altro amore?” assume così valenza di incertezza esistenziale e, mentre la città tace, la canzone del poeta coglie il dolore “e nelle zone/ profonde del cuore/ l’assorbe”. La vecchiaia “oggi non ha più casa né capanna;/ al posto del sorriso/ mostra beffardo un ghigno./ Dondola traballante nel giardino/ d’una casa di cura,/ sua stabile dimora./ Nutrita e rispettata come cosa!/ Se vuole raccontare la memoria,/ nessuno più l’ascolta.”. Dal rosso del mare la poesia giunge al buio più nero e la chiusura di questa sezione racchiude l’amara consapevolezza che “Son deserti d’amore,/ o di uomini soli,/ le nostre città e i paesi,/ dove crescono fiori/ senza profumo e colori” e ancora “Siamo già tutti morti,/ o ciechi, con gli occhi aperti;/ e più non cerchiamo/ il grande tesoro/ ch’ognuno ha nascosto/ nel fondo del cuore”.

Ma allora… “Dov’è fuggito l’amore?”. Non è con la delusione cosciente che tutto è perduto che questo delicato viaggio poetico ha termine, ma con la speranza di un tesoro che si cela in fondo al nostro cuore. L’amore esiste…è una farfalla che un bimbo prova a prendere, è addormentato dentro un sogno difficile da afferrare, è sommerso “nel pantano del cuore”. Ed il poeta fa un invito all’uomo che riesce ad incontrare nuove emozioni assaporando l’amore: “accendi la luce/ e una riga ai miei versi/ aggiungi anche tu.” Sembra quasi che questa poesia di vita sia ancora tutta da scrivere e che proprio le piccole sensazioni la arricchiscano ad ogni attimo. Attraverso questa intima fiducia viene ribadito che “Tutta la vita,/…è amica mia/ dall’alba a sera”, “Anche il mondo/ mi è amico/ ch’è uscito bello/ dal creato”, “Viaggia, poi, con me una dea,/ la poesia,/ anch’essa amica mia” ed infine “Ultimo e primo/ amico è Dio,/ mio compagno, da bambino:/ con Lui ho pianto e riso;/ e continuo il mio cammino/ verso l’infinito.” La presenza di Dio accompagna con costanza il poeta in questa ricerca di piccoli gesti, sguardi o semplici parole che portano la sua (e nostra) umanità a sentirsi completa. Si tratta di un volo leggero che permette però di prendere coscienza di quanto sia pesante la terra che calpestiamo o il cielo che spesso osserviamo con occhi assenti e distratti. Eppure la scintilla è lì davanti a noi e, cogliendola, tutto potrebbe divenire lieve e bello. La felicità è nelle nostre mani… perché non aprirle e guardare quanto di bello vi è racchiuso?


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