Dicono quelli che logorano l'udito
“l’amore straccia i calendari, non li sfoglia.”
Guru da led, al tavolo con le gambe
una sull’altra: incrocio di fibre legnose
che si è fatto strada in un corpo solo,
il bacino dietro lo scudo della sedia.
Starei in amore, penso, ma non capisco
perché è sempre dannatamente confuso
nonostante gli stessi brividi della doccia fredda.
Esco, mi dico. Non sono ancora dentro, rifletto.
La soglia fa più di un gesto di sostegno,
riduce la porta socchiusa a testimone
di passaggio: l’agile ragazza dov’è finita?
La mancanza disegna pensieri. La penombra
sceglie i suoi toni e prolunga le fughe.
Il comune senso della pulsione segna
sul taccuino dei nervi la distanza lunga.
Il cardine geme al notebook e preme
il tasto all’osso, a resa quiescenza.
Talk di procellarie da ztl, uscendo.
Secondo queste comode voci, sarà
mai autunno se il bene può ancora reggere
al verde, nonostante su di te la neve schiumi.
Tardo amore con la tossicità della ginestra.
Non le dico molto, evidentemente;
l’ambito è zeppo di presenze ambite.
Il labbro sporto nel latte di segrete
conoscenze irride il silenzio che lo bacia.
Dal mistero personale verso cristallino
la sua dichiarazione d'indipendenza.
La leggerezza che mostra poggia
la bella ragazza unguento. Una fetta
del tempo è fatta di mille briciole
che si spargono un altro adesso.
Di lei seguo feromoni confusi. Memorie.
E si eccita la lingua a raccoglierne
a bella posta. L’amore tardo è portento
benché pare che nel suo mistero
non ci sia spazio per me: io dovrò
introdurre un nuovo elemento
perché lo spazio per crederci si crei:
una formula, serve. Nel formato
che le serve.
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