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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Amore, romanzi e altre scoperte

Biografia

Mario Fortunato
Edizioni Einaudi

Recensione di Emanuele Di Marco
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Pubblicato il 04/05/2008

Difficile conchiudere in una definizione univoca il libro Amore, romanzi e altre scoperte di Mario Fortunato. Racconto autobiografico inframmezzato da pagine scelte degli autori, per lo più omosessuali, amati in gioventù dall’autore, l’opera si presenta decisamente con i crismi di un’indiscutibile originalità. Fortunato ripercorre con una scrittura di rara nitidezza e voluta semplicità stilistica i momenti salienti della sua esperienza umana dalla prima fanciullezza fino al chiudersi della gioventù segnato dal conseguimento della laurea in Filosofia.
La tematica principale è all’inizio quella della scoperta e della progressiva consapevolezza della propria diversità, in seguito il racconto delle proprie esperienze sentimentali e sessuali lungo tutto l’arco della giovinezza. Si innesta su questa base contenutistica la particolare scelta espressiva dell’autore che ci propone la rivelazione di sé stesso e del mondo per mezzo di brani tratti dalle opere di quegli autori che hanno a vario titolo accompagnato e in qualche modo indirizzato il suo iter formativo: solo tramite questi Mario Fortunato trova il modo più sincero di esprimere i propri sentimenti.
Potremmo quindi definire Amore, romanzi e altre scoperte la storia di un’anima resa “per interposte persone”, l’omaggio di un lettore verso autori che sono stati e sono prima di tutto compagni di viaggio e poi maestri di vita. Le citazioni sono attinte dagli scrittori più vari: da Proust a Truman Capote, da Mann a Gide, da Isherwood a Musil, da Mishima a Vidal, dalla Woolf a tanti altri ancora, “mostri sacri” della letteratura contemporanea o autori meno conosciuti, ma purtuttavia fondamentali per la maturazione del giovane Fortunato. Gli artisti citati sono per lo più stranieri, inglesi e francesi in particolar modo, mentre fra gli italiani troviamo i nomi dei soli Pier Vittorio Tondelli, Natalia Ginzburg e Goffredo Parise.
Nell’impossibilità di ripercorrere tutti i passaggi del fitto intreccio vita–letteratura che caratterizza il libro di Mario Fortunato, ci limiteremo a ricordare quei passi in cui, a nostro avviso, più felicemente si coniugano sulla pagina l’esperienza vissuta direttamente con quella ripercorsa nella finzione della lettura.
Ci colpisce immediatamente la descrizione della scoperta della propria omosessualità da parte del bambino Fortunato così pienamente riecheggiata nelle righe di Confessioni di una maschera in cui con non comune sapienza è tratteggiata la prima estatica esperienza dell’attrazione verso un ragazzo dello stesso sesso da parte del fanciullo Mishima. Seguiamo, quindi, l’autore nel suo aprirsi al desiderio di un amore non solo platonico, nel suo rapporto con Gino, nel rivedere in questi l’Hans Hansen amato da Tonio Kroger nell’omonima opera di Thomas Mann. Eccezionale, poi, il perfetto intrecciarsi del racconto della nascita, dell’esplosione e della contrastata fine del grande amore per Franco, con la descrizione che Roland Barthes ci dà della beatitudine amorosa, delle emozioni suscitate dal corpo dell’amato, della catastrofe del rapporto d’amore in Frammenti di un discorso amoroso. Quanto sono simili, del resto, l’esperienza dell’autore alla morte di Franco e quella delineata con accenti accorati da Christopher Isherwood in Un uomo solo, storia del vuoto sopravvivere e invecchiare dopo la tragica scomparsa dell’amato.
Gli ultimi due capitoli del libro sono finalmente dedicati a scrittori italiani: in particolar modo toccante è il tributo a Pier Vittorio Tondelli, scrittore misconosciuto in vita e riscoperto in maniera tardiva e insincera dopo la morte, con cui l’autore visse una sodale e profonda amicizia.
Infine la chiusa del libro, dedicata al racconto “Amicizia” tratto dai Sillabari” di Goffredo Parise, è forse la parte più intensa e riflessiva di tutta l’opera: il brano è una bella metafora della giovinezza, delle amicizie che si intrecciano in quell’età tormentata e felice, dello svanire di quei rapporti e di quelle illusioni.
Ed il libro di Fortunato termina proprio con la fine della gioventù: ma di fronte al chiudersi di questa stagione della vita che l’autore ha saputo raccontarci con toni tanto vividi e con rara capacità di resa del proprio mondo interiore, non ci viene offerta una visione scorata del futuro quale, forse, avremmo potuto immaginare. Infatti, così conclude Mario Fortunato, l’amore, i romanzi e le altre scoperte di quegli anni contrastati ma in fondo indimenticabili, lo accompagneranno per tutta la vita e saranno il patrimonio di una giovinezza che non trova termine nel mero dato anagrafico.

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