In fila per il riscatto
memorie e cose
nel simposio sordo dell’estate
e i morti pure che sentono
ancora sotto il piede
la trama bruciante di queste tenebre
chiedono soccorso alla persona sbagliata.
Perché non entrano cose supplichevoli
nella spoglia secca del Verbo
– Cosa delle cose –
che il polo solare dardeggia
a evocare l’indifferenza geometrica
del ritorno, nelle volute della spira.
Ammantata del passato la morte
ha scippato lo scettro all’eternità
perché possiamo empi adorarla
e il Tu è ormai un insensato Questo.
Tutto questo si proietta – spezzoni di akasha –
sulla parete di una stanza in penombra
e maestri bipolari ancora all’immanente circo
tentati nel deserto dal mostro sensuale
scuotono la sabbia dalle piaghe dei piedi
mentre si leva il dubbio sulle loro teste
come una nebbia o un’afa
che incontra l’altra,
celeste, pandemica.
Eppure non c’è guerra manifesta
ma la testa si interroga comunque.
E’ una domanda invisibile fino
al punto che un uncino sormonta.
La disputa mercantile degli uccelli
non è meno esibita ai nostri occhi
e siamo tra peccato e ignoranza
secondo i testi all’inseguimento del capro.
E’ una corrente, vibra, a volte sembra
avere un contenuto ma ne siamo dissuasi,
non è chi siamo, da dove veniamo
ma perché è così dolce così atroce
il nulla che non riusciamo a colmare.
Il bambino trovato morto
dimenticato dal padre nell’auto
dicono abbia lasciato un biglietto:
dopo qualche ora non riusciva
a rassegnarsi a quell’abbandono
e pensò che fosse una punizione.
Di certo aveva mancato
e ne chiedeva il perdono.
Ma era stata la sua sorellina
a convincerlo a gustare una sigaretta
dal pacchetto del padre
lasciato sul comodino
ingrommato del sedimento
di logori sogni senza futuro.
(riproposta)