Continuiamo la pubblicazione delle interviste ai primi tre autori classificati di entrambe le Sezioni (Poesia e Narrativa) del Premio letterario “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, II edizione 2016, allo scopo di farli conoscere, come persone e come autori, un poco oltre i loro testi che è possibile leggere nell’e-book del Premio: www.ebook-larecherche.it/ebook.asp?Id=200
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L’autore qui intervistato è Mauro Barbetti, terzo classificato nella Sezione B (Narrativa) con l'Opera “Terra di confine”.
Chi sei? Come ti presenteresti a chi non ti conosce?
Amo, ribaltando i miei dati anagrafici, definirmi un “giovane” scrittore, perchè la mia seconda vita letteraria è cominciata nel 2008. Sono una persona piuttosto schiva e la poesia mi dà il giusto occultamento e la giusta possibilità di introspezione. Sono nato e vivo nelle Marche dove insegno inglese nella scuola Primaria. Amo il lavoro che faccio e vivo, per mia fortuna, un'intensa e appagante dimensione familiare.
Quali sono gli autori e i testi sui quali ti sei formato e ti formi, e che hanno influenzato e influenzano la tua scrittura?
In poesia il mio primo innamoramento l'ho vissuto ai tempi del Liceo per Ungaretti e Montale e per Leopardi riguardo alla sua “weltanschauung”, mi sono poi avvicinato alle avanguardie del secondo Novecento (gruppo 63 su tutte) e tra le figure più recenti nutro un grande amore per la poesia di Giuliano Mesa e, su un diverso versante, per la lirica di Antonella Anedda (soprattutto quella di “Notti di pace occidentale”)
Non sono un gran lettore di narrativa invece, non mi interessano le storie e le trame in genere, sono più colpito dalle riflessioni e dalle complicazioni psicologiche che queste determinano. Quindi frequento più la letteratura fantastica (Borges e Calvino) che quella realista, mi piace essere sorpreso da un andamento non lineare degli eventi, ad esempio amo molto la tecnica narrativa di una scrittrice come Marguerite Duras.
Quale utilità e quale ruolo ha lo scrittore nella società attuale?
Non ci deve ingannare l'apparente marginalità della letteratura nel mondo odierno, la letteratura è uno dei “bisogni” dell'individuo: di poco posteriore al mangiare, al vestire, all'abitare, quello del raccontare (o leggere) l'esperienza comune è un dato insopprimibile che ci diversifica dalle altre specie animali, ovviamente cambia con il tempo e con i mezzi tecnici a disposizione, quindi si aggiornerà, si diversificherà e si contaminerà, ma non scomparirà mai del tutto. Il ruolo dello scrittore è sempre un ruolo di sentinella sul mondo, a volte anticipa, altre registra in modo indelebile lo scenario in cui si vive.
Come hai iniziato a scrivere e perché? Ci tratteggi la tua storia di scrittore? Gli incontri importanti, le tue pubblicazioni.
Il primo bisogno di scrivere risale all'età di 10 anni e mi ha poi accompagnato per tutta l'adolescenza. Dico “bisogno” perchè allo stato iniziale credo si presenti così un po' per tutti. Poi la consapevolezza fa sì che da questa necessità di dare voce a se stessi, si passi alla riflessione sul perchè e sul come farlo aprendosi ad una dimensione più “generale”. Penso comunque che la possibilità di operare in modo creativo sul mondo (scrivevo e contemporaneamente suonavo in qualche band locale) mi abbia “salvato le chiappe” in quel periodo esaltante e al contempo drammatico che è l'adolescenza. In quegli anni ho avuto anche modo di conoscere personalmente Franco Scataglini, grande poeta neodialettale anconetano, che teneva una bottega di scrittura presso l'associazione culturale di cui facevo parte. Devo dire che gli stimoli sono stati molti, ma anche le stroncature, io facevo riferimento ad esperienze un po' troppo lontane dal suo modo di sentire.
Poi alle soglie dei trent'anni ho mollato con la poesia. Lavoro, matrimonio, figli, c'era da mettere la testa a posto e tirar la carretta. Inoltre il mondo stava cambiando, certi ideali, all'ombra dei quali ero cresciuto, sembravano ormai svuotati della loro forza e della loro capacità di attrarre. Era il momento del cosiddetto “riflusso”. Ho passato quasi vent'anni così, vent'anni in cui comunque ho agito, riflettuto, immagazzinato esperienze varie, spesso senza neanche rendermene conto. Poi nel 2008 sono tornato a scrivere, forse avevo nuovamente qualcosa da dire, forse il momento era maturo. Il resto è storia recente, diversi premi vinti, due pubblicazioni in versi, la prima nel 2011 “Primizie ed altro” (La scuola di Pitagora ed.) e la seconda nel 2013 “Inventorio per liberandi sensi” (Limina mentis ed.) e un nuovo incontro importante con il poeta Danilo Mandolini che mi ha coinvolto nel progetto di Arcipelago Itaca che, nata come rivista online, è recentemente divenuta casa editrice.
Come avviene per te il processo creativo?
Casualmente, non mi forzo, vivo lunghi periodi in assenza della scrittura. Dedico però molto tempo al “labor limae”, il che mi rimanda a un concetto di buon artigianato più che a quello di genio artistico. I miei testi cambiano molto dalla prima stesura, di getto, alla forma conclusa (ammesso che ce ne sia una, la tentazione di cambiare qualcosa infatti c'è sempre, quasi fosse un “work in progress” continuo). Ultimamente lavoro molto intorno a dei “concept” strutturando le cose che scrivo attorno a una tematica precisa, un po' come i vecchi album di musica “progressive”.
Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi con la tua scrittura?
Dopo aver “perso” una ventina d'anni dietro ad altra bisogna, non mi pongo grandi obiettivi. Vivo alla giornata senza aspettative troppo alte, né stress. In un mondo che si arrabatta per darsi visibilità, io aspetto. Ad altri l'ardua sentenza, se son rose fioriranno...
Che cos’ha di caratteristico la tua scrittura, rispetto a quella dei tuoi contemporanei?
Non lo so, sono gli altri che dovrebbero dirlo. Da parte mia c'è estrema cura nel coniugare forma e contenuto, nel fornire comunque a chi legge un percorso, che pure attraverso l'indeterminatezza propria del mezzo poetico, sia rintracciabile, intellegibile. Non amo il dire troppo diretto, ma il suggerire. Il tutto passa poi attraverso un linguaggio che deve essere lontano dal già sentito, dal troppo abusato. Cerco inoltre un ritmo, una sonorità nei versi, ma anche nella prosa, a questo certi miei trascorsi musicali non sono certo estranei. Ecco quello su cui baso le mie scelte, se però ci riesca è un altro paio di maniche...
Si dice che ogni scrittore abbia le sue “ossessioni”, temi intorno ai quali scriverà per tutta la vita, quali sono le tue? Come si è evoluta la tua scrittura dalle tue prime pubblicazioni?
Per quanto riguarda i miei (pochi) racconti ho notato che c'è sempre un evento che poi scatena un cambiamento del (o dei) personaggi e spesso questo evento è legato a una morte. Con un po' di humor nero potrei dire che evidentemente l'evento più interessante per me in una vita (da un punto di vista letterario) è la sua fine e il rapporto che si ha con questa.
In poesia direi che il tema dominante è il senso del tempo che passa e la condizione umana effimera e mortale. Non sono credente, quindi ritengo che il senso della nostra vita si debba trovare all'interno del nostro breve percorso, in ciò che si dà e si riceve. Trovo che ci sia qualcosa di eroico in questa lotta disperata per “darsi senso”. Credo anche nella funzione sociale dell'arte e in diversi testi penso che questo traspaia. Ad esempio nel 2014 sono stato premiato al Castelfiorentino per una breve raccolta che è una sorta di dialogo post-mortem con Margherita Hack, in cui si intrecciano i temi della laicità, della libertà di coscienza e del fine vita.
Per quanto riguarda l'evoluzione della mia poesia, forse si è via via fatta un po' meno sperimentale e un po' più lirica, ma l'intento sarebbe quello di riuscire a coniugare queste due anime, agire sul significante senza perdere il significato, destrutturare la forma senza perdere la potenza del suono.
Quale rapporto hai con la poesia e quale con la narrativa? Hai scritto sia in versi sia in prosa (racconti o romanzi)? Se la risposta è no, pensi che, un giorno, ti accosterai all'altro genere letterario?
La poesia è e resta il mio unico e grande amore letterario. Per quanto riguarda la narrativa invece mi ci avvicino in modo sporadico e per lo più casuale.
Quanto della tua terra di origine vive nella tua scrittura?
Ho sempre pensato a me stesso in senso illuministico come cittadino del mondo e mi sono sempre sentito molto distante da campanilismi, regionalismi, patriottismi e altri ismi del genere. Dopo di che, l'esperienza è quella che forma per buona parte le persone, perciò in certa misura è chiaro che sono influenzato dal luogo dove abito e dal suo modus vivendi e cogitandi. Comunque la mia poesia parla soprattutto di ambienti chiusi, di stanze o città anonime perchè oggi le vite e i luoghi dove esse si svolgono tendono a somigliarsi, ad omologarsi un po' tutti.
Qual è il rapporto tra immaginazione e realtà? Lo scrittore si trova a cavallo di due mondi?
No, per me esiste un solo mondo e lo scrittore ci vive dentro. L'immaginazione è solo una chiave per analizzarlo, sublimarlo, superarlo magari; comunque sia è con questo ben determinato mondo che dobbiamo fare i conti.
Quali difficoltà hai incontrato nel pubblicare i tuoi testi?
Penso di essere stato abbastanza fortunato (oltre che cocciuto e coerente con le mie idee). Per chi vuole pubblicare versi la strada è piuttosto dura, l'assunto che “la poesia non vende” fa sì che la maggior parte delle pubblicazioni si realizzino con il contributo economico dell'autore. Sono sempre stato contrario a questa logica, soprattutto perchè se io pago per pubblicarmi non posso avere la certezza che le mie cose siano edite in quanto valide piuttosto che in quanto fonte di guadagno per l'editore che può speculare su bisogni e vanità dell'autore. Purtroppo di esempi in tal senso ce ne sono molti. Le mie raccolte di poesia sono uscite da due diverse selezioni letterarie in cui al vincitore veniva pubblicato gratuitamente il lavoro, perciò non mi posso lamentare di come è andata. Certo, sul versante del supporto promozionale in questi casi puoi chiedere ben poco all'editore. Non a caso conservo ancora le cose che ritengo migliori dentro il cassetto, perchè ho intenzione di pubblicarle solo con un editore che conosco e di cui mi fido.
Un'altra valida alternativa per far circolare il proprio materiale possono essere le pubblicazioni in ebook o in rete di cui la vostra rivista è un esempio meritorio.
Chi sono i tuoi lettori? Che rapporto hai con loro?
Penso proprio di non averne. I miei unici lettori sono le giurie a cui sottopongo i miei lavori e il (poco) pubblico che è presente alle mie (rare) performance poetiche (quasi sempre in collettiva). Manzoni era di molto al di là con i numeri in confronto.
“Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”. Che cosa pensi di questa frase di Marcel Proust, tratta da “Il tempo ritrovato”?
Sottoscrivo, assolutamente.
Hai mai fatto interventi critici, hai scritto recensioni di opere di altri autori? Quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare, se così ci è permesso dire, un testo? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona scrittura?
Nella mia veste di redattore di Arcipelago Itaca ho avuto modo di recensire alcuni poeti. Però non sono certo un critico letterario, l'ho fatto da amante della poesia. Non uso indicatori rigidi, ma i due cardini fondamentali su cui orientare l'analisi sono il grado la potenza comunicativa e l'originalità di contenuto e forma.
In relazione alla tua scrittura, qual è la critica più bella che hai ricevuto?
Ricordo con particolare piacere l'incontro con Marco Rota, presidente di giuria al Premio Aurelio Goretti di Lierna (CO) nonchè traduttore di fama. In quell'occasione mi disse che le liriche con cui avevo vinto l'edizione di quell'anno erano poesia “vera”. Sembrava sincero...
A cosa stai lavorando? A quando la tua prossima pubblicazione?
Per il prossimo autunno dovrei pubblicare una raccolta poetica (anche qui al termine di una selezione letteraria) con o/esse, nome con cui sta ripartendo l'ex Sigismundus, una casa editrice marchigiana che aveva un gran bel catalogo per la poesia, in cui spiccavano gli ultimi lavori di Roberto Roversi.
Quali altre passioni coltivi, oltre la scrittura?
Il viaggio, a volte gli stessi premi letterari mi danno modo di visitare luoghi fisici e realtà umane che non avrei altrimenti avuto modo di conoscere. Un'esperienza che ricordo con piacere è stata quella di un Premio Letterario in Olanda, a Den Haag: vi ho vissuto due giorni intensissimi per emozioni e scoperte. Poi la montagna, soprattutto attraverso lo sci escursionistico e da fondo, anche se le mie uscite si sono di molto diradate e il mio fisico si sta sempre più conformando alla prossima stagione, quella della terza età.
Sei tra i vincitori del Premio “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, perché hai partecipato? Che valore hanno per te i premi letterari? Che ruolo hanno nella comunità culturale italiana?
Sarò molto onesto, non attribuisco ai premi letterari per l'inedito grande valore, la bontà di uno scrittore si misura in altro modo e su un arco di tempo diverso. Però, mancando nella nostra epoca un mecenatismo delle arti, quella dei concorsi è forse una buona scusa per non sentire che quello che fai è solo una perdita di tempo e una rimessa economica. E l'essere riconosciuti come meritori di un premio fa sempre piacere. Il vostro è sicuramente un premio a cui la competenza della giuria e l'importanza dell'impegno culturale del vostro web-magazine danno grande lustro e valenza.
Hai qualcosa da dire agli autori che pubblicano i loro testi su LaRecherche.it? Che cosa pensi, più in generale, della libera scrittura in rete e dell’editoria elettronica?
Mi sembra veramente un'ottima palestra, io l'ho frequentata alla fine della mia partecipazione a un altro forum letterario, quello di Scripta Volant, e prima dell'inizio dell'impegno in Arcipelago Itaca. Ogni tanto ci faccio una capatina o leggo gli ebook che pubblicate, ho recentemente postato un contributo poetico in favore della concessione della grazia al poeta Ashraf Fayadh, mi sembrava un atto dovuto e sono contento dell'esito positivo della cosa.
Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?
No. Mi pare di aver parlato anche troppo. Grazie del vostro spazio.
Grazie Mauro.