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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Riflessioni di uno scrittore con le scarpe rotte 3

di Stefano Saccinto
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Pubblicato il 09/11/2011 11:30:40

Continuavano ad intervistarmi


Il futuro da scrittore incoerente, questa era la cosa certa di un'intera adolescenza. O il passato da scrittore adolescente. Incoerente. Significati che si logoravano nei mesi, negli anni. Ero partito dal dirompente credere di non credere a niente e quello era stato buono per il primo libro, ma poi?
È possibile, mi chiedevo, uno scrittore che alla fine non ha nulla proprio da dire al mondo e che può discorrere con una tastiera per ore ed ore senza in realtà sapere dove voglia arrivare con le proprie righe? Che genere di poetica può essere mai questa?
Boh, mi rispondevo, che cazzo ne so? Non rientrava nelle mie facoltà, farmi le domande e darmi le risposte. Troppi compiti. Fatemi le domande, pensavo, e vi darò le risposte, non posso fare tutto io. Ma le domande non le faceva nessuno.
 Lei che genere di autore si definisce?
 Io non lo so.
 I suoi libri quale messaggio vogliono diffondere?
 I miei libri no. Non lo so.
 Lo vuole il premio Nobel per la letteratura?
 I premi no, grazie. Sono molto contrario a tutto.
Mi facevo le interviste mentali e poi le cancellavo di colpo, sentendomi stupido.
 Ma, scusi, perché scrive?
Ah, basta, che cazzo! Però, in qualità di pensatore molto educato, mi veniva da rispondere lo stesso.
- Perché scrivo? Certe volte credo che sia solamente un vuoto narcisismo, il tentativo di creare una specie di mondo protetto tra te e te in cui puoi vendicarti di tutte le strane cose che subisci nella vita ed a cui non sai opporti. Sono un deficiente costellato di deficienze che crede di poter deficientemente sopperire alle proprie deficienze di uomo con le proprie deficienze di scrittore – e nel video dell'intervista mi accendevo una sigaretta.
Prendevo a camminare più veloce, cercando di seminare i miei avvilenti pensieri.
- Abbiamo saputo che in questa fase del suo percorso artistico si occuperà di completare il suo secondo testo, quello su un amore adolescenziale.
Niente. Le stupide domande erano tremende, ma non c'era modo di liberarsene. Neanche dare stupide risposte poteva avere effetto.
 Ma voi queste informazioni dove le prendete?
Ritornavo al secondo testo. Lo leggevo. Pensavo: è una buona storia. È scritta bene. Deve valere qualcosa. Ma davvero mi saltavano i nervi ogni volta che ne rileggessi parte, nel vano tentativo di proseguire. Mi chiedevo spesso come avevo potuto anche solo vagamente pensare, solo due secondi prima, che è una buona storia, è scritta bene, deve valere qualcosa.
C’era un problema che non ero mai riuscito ad affrontare. A dire la verità i problemi erano diversi, ma uno era quello su cui si potevano perdere le nottate: io, questa cosa dello scrittore, davvero non la volevo. Dovreste credermi. L’essere logorroici nello scrivere trasborda nell’essere logorroici quando si parla. È una cosa di cui non ti liberi. Riuscire ad essere sintetico con le parole non mi soddisfaceva mai. C’era sempre un modo migliore in cui le cose avrebbero potuto essere dette e su quello si incartava il mio cervello nei giovani anni. A me alla fine che me ne fregava? Tutti parlavano a cazzo, inventare storie era una cosa inutile e stare a convincere gli altri a leggerle, o almeno a sentirle, era davvero deprimente.
Però spesso mi tiravano fuori il fatto che queste cose fossero delle qualità. Io sospiravo e andavo avanti. Tutti questi spaccamenti di palle sono delle qualità, cercavo di convincermi. E mi dedicavo a quelle assurdità. Bevevo una birra da sessantasei centilitri e mi veniva l’ispirazione. Mettevo su la musica e scrivevo. A che cosa serviva? Non lo sapevamo né io, né le pagine e neppure chi credeva che ci fossero delle qualità.
- Le nostre informazioni sono strettamente riservate. Ci parli del libro e del suo lavoro di scrittore.
- Voglio tutto, bella – l’intervistatrice era sempre femmina. Mi piaceva l’idea, infondevo gran fascino – La realtà non mi basta. Questo è un tavolo? Non mi basta? Questa è una sigaretta? Non mi basta. Ne voglio un’altra subito dopo. Scriverne è un palliativo degno dell’originale. È fantastico. Quando scrivi sei dio che martella la mente degli uomini per punirli ed educarli. Devono comportarsi bene e tu lo sai che devono farlo. Se scrivi lo faranno. Non possono fare altrimenti. E tu devi inchinarti docilmente.
L’intervistatrice sembrava non capire. Ma io volevo zittirla per sempre.
- Il vero scrittore è in realtà un anarchico di natura. È inutile fingere. Ha un rapporto diretto con l’immortalità. Ha rinnegato gli dei, è come il diavolo, ha sbirciato da fessure da cui era meglio stare lontani e come un bambino dispettoso porta il mondo a conoscenza di quello che ha visto. Siete liberi di credergli o meno. Tanto lui ha visto e per questo possiede l’essenza. Ma è così stupido che non sa che farsene. Per questo la mostra a chiunque.





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